Inferno canto terzo | Silvana Torto legge la Divina Commedia Silvana Torto @silvamarilli legge Dante Alighieri su #divinicanti la rubrica condotta su #libertĆ dipensieroMDN @libertdipensie2 #divinacommedia #dantealighieri #ladivinacommedia #poesia #poema #letteratura #arte #cultura #italia La divina commedia Inferno III āPer me si va ne la cittĆ dolente, per me si va ne lāetterno dolore, per me si va tra la perduta gente. Giustizia mosse il mio alto fattore: fecemi la divina podestate, la somma sapienza e āl primo amore. Dinanzi a me non fuor cose create se non etterne, e io etterno duro. Lasciate ogne speranza, voi chāintrateā. Queste parole di colore oscuro vidāio scritte al sommo dāuna porta; per chāio: Ā«Maestro, il senso lor māĆØ duroĀ». Ed elli a me, come persona accorta: Ā«Qui si convien lasciare ogne sospetto; ogne viltĆ convien che qui sia morta. Noi siam venuti al loco ovāiā tāho detto che tu vedrai le genti dolorose cāhanno perduto il ben de lāintellettoĀ». E poi che la sua mano a la mia puose con lieto volto, ondāio mi confortai, mi mise dentro a le segrete cose. Quivi sospiri, pianti e alti guai risonavan per lāaere sanza stelle, per chāio al cominciar ne lagrimai. Diverse lingue, orribili favelle, parole di dolore, accenti dāira, voci alte e fioche, e suon di man con elle facevano un tumulto, il qual sāaggira sempre in quellāaura sanza tempo tinta, come la rena quando turbo spira. E io chāavea dāerror la testa cinta, dissi: Ā«Maestro, che ĆØ quel chāiā odo? e che gentāĆØ che par nel duol sƬ vinta?Ā». Ed elli a me: Ā«Questo misero modo tegnon lāanime triste di coloro che visser sanza ānfamia e sanza lodo. Mischiate sono a quel cattivo coro de li angeli che non furon ribelli nĆ© fur fedeli a Dio, ma per sĆ© fuoro. Caccianli i ciel per non esser men belli, nĆ© lo profondo inferno li riceve, chāalcuna gloria i rei avrebber dāelliĀ». E io: Ā«Maestro, che ĆØ tanto greve a lor, che lamentar li fa sƬ forte?Ā». Rispuose: Ā«Dicerolti molto breve. Questi non hanno speranza di morte e la lor cieca vita ĆØ tanto bassa, che ānvidiosi son dāogne altra sorte. Fama di loro il mondo esser non lassa; misericordia e giustizia li sdegna: non ragioniam di lor, ma guarda e passaĀ». E io, che riguardai, vidi una ānsegna che girando correva tanto ratta, che dāogne posa mi parea indegna; e dietro le venƬa sƬ lunga tratta di gente, chāiā non averei creduto che morte tanta nāavesse disfatta. Poscia chāio vāebbi alcun riconosciuto, vidi e conobbi lāombra di colui che fece per viltade il gran rifiuto. Incontanente intesi e certo fui che questa era la setta dāi cattivi, a Dio spiacenti e aā nemici sui. Questi sciaurati, che mai non fur vivi, erano ignudi e stimolati molto da mosconi e da vespe chāeran ivi. Elle rigavan lor di sangue il volto, che, mischiato di lagrime, aā lor piedi da fastidiosi vermi era ricolto. E poi chāa riguardar oltre mi diedi, vidi genti a la riva dāun gran fiume; per chāio dissi: Ā«Maestro, or mi concedi chāiā sappia quali sono, e qual costume le fa di trapassar parer sƬ pronte, comāio discerno per lo fioco lumeĀ». Ed elli a me: Ā«Le cose ti fier conte quando noi fermerem li nostri passi su la trista riviera dāAcheronteĀ». Allor con li occhi vergognosi e bassi, temendo no āl mio dir li fosse grave, infino al fiume del parlar mi trassi. Ed ecco verso noi venir per nave un vecchio, bianco per antico pelo, gridando: Ā«Guai a voi, anime prave!
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