Articolo di Carlo Montrone
L’esperienza dell’uomo in un nido è un po’ come un foglio di carta adagiato nell’acqua.
La mia identità personale e professionale, ormai definite, hanno dovuto fare i conti con una nuova ricerca di equilibrio, come quando si entra in una cristalleria e ti accorgi di avere ai piedi, due bellissimi scarponi da sci. Normalmente si può sapere quando la ricerca dell’identità sia davvero finita, ma gli aspetti dell’affettività ne sono stati completamente stravolti.
Come possiamo dar torto al consueto pensiero che l’essere femminile, la persona donna, sia la più idonea a occuparsi delle necessità di una persona che non sa parlare, ma di cui vadano gestiti alcuni aspetti fisiologici e organici e di crescita?
Quali sono i confini da osservare nell’azione di un uomo al nido? dell’azione di un coordinatore pedagogico? E quali sono gli effetti dell’azione di un educatore in un asilo nido? Queste sono le domande che mi accompagnano sin dall’ipotesi di aprire un servizio dedicato esclusivamente alla prima infanzia e che da formatore di educatrici del servizio specifico, mi hanno permesso di addentrarmi non più solo sulle riflessioni pedagogiche di pedagogia di cura, di comunità o di pratiche di intervento in ambito, motorio, cognitivo e relazionale, ma di considerare anche gli aspetti personali e le propensioni di un adulto che si avvicina a un mondo così “percettibilmente epidermico”.
Per formalità richiesta, occuparsi della prima infanzia e non come padre, ha voluto significare: aprire la propria sensibilità all’interpretazione dei segnali corporei e non verbali con un grandissimo senso di responsabilità per tutti i bimbi e le bimbe in maniera indistinta. Accogliere ognuna e ognuno con un sentimento differenziato perché ognuno/a di loro ha sottolineato e sollecitato la personalizzazione di un’identità specifica.
Aldilà delle informazioni organiche e delle tecniche della pedagogia e dell’eduzione o della psicologia dello sviluppo, ho dovuto soffermarmi sulla capacità della gestione del rapporto cibo/pianto, sugli aspetti visibili come il rapporto cambio pannolini/arrossamenti e possibile pianto, sull’esplorazione del rapporto tra sonno regolare/irregolare e probabile pianto, sull’identificazione delle fasi dentizione/sintomi e sostenibili pianti; quello che ha richiesto maggiore attenzione nell’interazione con la prima infanzia è stata la capacità dell’infante di comunicare meraviglia, curiosità, soddisfazione, piacere, spirito di intraprendenza, malessere, tollerabilità alla soglia del dolore per malesseri articolari e intestinali, affetto e disapprovazione. I bimbi e le bimbe raccontano in maniera diversa e oltre la distinzione di genere, all’interno dei gruppi maschietti e femminucce ancora delle differenze di profonda capacità di rilettura degli stimoli.
Non è facile restare a osservare e decifrare con precisione i messaggi dei bimbi e delle bimbe al di sotto dei 16 mesi, per via della componente ancora non determinata del linguaggio, invero, è che alcune espressioni ci riconducono a emozioni primordiali, ma quelle complesse?
Per le emozioni complesse ho dovuto considerare la rischiosa compromissione tra l’intelligenza emotiva e quella cognitiva per noi adulti sono già abbastanza definite nel loro manifestarsi, dobbiamo decostruire la nostra capacità di riappropriarci della memoria viscerale e dell’intelligenza percettivo-motoria per poter corrispondere alle sollecitazioni.
Un asilo nido è una palestra formidabile per chiunque abbia interesse a riappropriarsi di alcuni aspetti emotivi e socio-relazionali specifici della nostra specie, che nell’abitudine interazionale vengono dismessi o abusati; sottovalutare i nostri automatismi percettivo-motori ed elaborazioni cognitive, ci facilita quando siamo immersi in una società pensata per adulti capaci e attivi.
Potremmo ipotizzare una sorta di responsabilità sociale e non individuale che agisce a nostra tutela, ma è pur vero che noi adulti attivi nella nostra dimensione critica, siamo capaci di fermarci un momento e riflettere sulle nostre scelte: quali sono gli elementi primari della mia emotività? Quali sono i fattori prioritari del nostro benessere emotivo? Con quali strumenti ho intenzione di comunicare il mio pensiero critico agli altri? Qual è la mia intenzione comunicativa verso il prossimo?
Tornando all’asilo nido, lavorare con i bimbi e le bimbe ti permette anche di affrontare la responsabilità relazionale rispetto al genere. Non è vero che tutti i bambini sono delicati e belli, non è vero che sono tutti sensibili, non è vero che la sensibilità è una e oggettivizzabile e soprattutto avere in braccio un bimbo o una bimba ha la capacità di inondarti come quei cavalloni che arrivano all’improvviso. Quali emozioni coinvolge e influenza?
Se l’antipatia e la simpatia potessimo considerarle come fattori endogeni e aprioristici, credo che si scontrerebbero e alienerebbero davanti all’approccio con la prima infanzia. Da qui andrebbe però rimodulato un concetto dell’empatia e intenderlo come flusso emotivo condiviso e non come processo di immedesimazione. Se rimanessimo sull’immedesimazione e sull’idea di “mettersi al posto di”, commetteremmo l’errore di non percepire più insieme all’altra persona, ma di percepire con la nostra consueta modalità ben cristallizzata e definita.
Facciamo un esempio pratico: immaginiamo di essere cresciuti con l’idea di non poter fare una determinata cosa, come mangiare prosciutto, fare il digiuno per alcune festività religiose. Non tutte le religioni lo richiedono, contrariamente invece alle pratiche familiari di tradizione popolare. Immaginiamo che a un certo punto, ci venga offerta una chiarificazione in tal senso e quindi di poter scegliere se mangiare o meno, interromperemmo quel divieto con cui siamo cresciuti, senza battere ciglio? Cosa sentiremmo? Riusciremmo con facilità ad andare contro a quell’emozione di rifiuto?
Le domande incalzano e resto piacevolmente con una riflessione aperta: quanta differenza ci sarebbe nella definizione degli interventi educativi se come gruppo operativo, avessimo solo un confronto tra educatrici e quali sarebbero i risvolti per una metodologia di concertazione alla progettazione educativa e pedagogica al nido?
Ragionare sulle differenze, aprirà solo tante altre domande e ci permetterà di migliorarci come persone prima e attori sociali dopo.