Calcio

3 punti a partita – COME SE SI FOSSE ROTTA LA STATUETTA DEGLI OSCAR

 

Articolo di Carlo Amedeo Coletta

 

E’ come quando ti metti a guardare un vecchio film, uno di quelli diventati cult, anche se addirittura in bianco e nero. Te ne stai lì, trasportato dal fascino delle immagini, ammaliato dalla bravura degli attori, cullato dalla colonna sonora e poi, all’improvviso, durante la scena culmine, ti viene in mente che l’attore protagonista, nella vita vera, non c’è più, ci ha lasciato. E di lui resta proprio quella scena che stai guardando. Sono i fotogrammi che lo immortalano nel momento più significativo della sua carriera e, agli occhi del mondo, lui era, è e sarà sempre identificato con quell’espressione lì, mentre recita quelle due battute, proprio quelle. Tutto il resto lo si potrà poi trovare nelle biografie. Ecco, se facessimo un salto nel 1970, in Messico, planando nella calda notte del 17 Giugno, potremmo vedere uno di quei protagonisti. E’ vero, non stanno proiettando un film nello stadio Atzeca di Città del Messico. C’è una partita di calcio che si gioca a 2200 metri di altitudine. Un posto strano. Eppure, ci si gioca un mondiale perché in campo ci sono le due squadre semifinaliste, l’Italia e la Germania. Le moderne tecnologie, con un inutile sforzo grafico, hanno voluto dare colore alle immagini di quei momenti, entrati invece nella storia in bianco e nero. Il risultato è aver tolto magia e forza al racconto di quella che è stata decretata come la partita del secolo, almeno dello scorso. Fuori dallo stadio, anche adesso nel 2023, c’è una bella targa, quasi fosse la locandina di un vecchio cinema. Dice proprio che lì, in quel lontano Giugno del 1970, si è giocata la partita del secolo. Tutti noi la conosciamo con il titolo che più ci aggrada, Italia Germania 4 a 3, proprio come i film stranieri di cui vengono tradotti i titoli, storpiandone spesso senso e significato. Bè, oltre ai nostri eroi azzurri, quali Albertosi, Riva, Mazzola, Boninsegna e tanti altri, c’è un protagonista anche con la maglia della Germania Ovest. Per certi versi, è davvero il protagonista della serata. Ruba la scena a tutti e, alla fine, perde, come nelle migliori storie drammatiche. Lui è Franz Beckenbauer, insuperabile mediano di centrocampo, tecnico e forte, intelligente e preciso, potente e astuto. Uno che sa giocare e che lo dimostra anche in quell’occasione, come in tante altre. Poi il colpo di scena: uno scontro in campo. E’ il 65esimo minuto. C’è ancora molto da giocare e la partita è dura. E Beckenbauer si fa male. Spalla lussata. Che si fa? Si abbandona la scena? Macchè! C’è un oscar da portare a casa, c’è una storia da poter raccontare, ci sono immagini in cui restare per chissà quanto tempo, indelebili, nella memoria sportiva del mondo. E allora, una bella fascia, braccio legato al petto, immobilizzato, e via di nuovo in campo, con il numero 4 della maglia che non si legge più, coperto dalle bende, strettissime, utilizzate per il tanto improvvisato quanto improbabile intervento ortopedico. Vincere o perdere, tutti assieme, soffrendo, senza risparmiarsi. Un’interpretazione da oscar, in una partita persa sul campo ma vinta per tutta la vita.

Bè, se n’è andato anche lui, Franz Beckenbauer, uomo intelligente e deciso, figlio di una Germania che non esiste più, nato 4 mesi dopo la morte di Hitler e la fine della guerra mondiale. Una delle ultime icone del calcio che, come quella Germania, non esiste più, surclassato dalle televisioni a pagamento e da uno sport che è sempre più intrattenimento e meno gioco. Uno dei pochissimi ad aver vinto coppa campioni e mondiale sia da giocatore sia da allenatore. Un fenomeno del suo tempo, insomma, e del suo calcio. Ci mancherà? Non lo so. Ormai non abbiamo più neppure il tempo per pensare al passato e anche la sua dipartita colpirà i nostri cuori giusto per il tempo sufficiente e necessario per farci dire: oh, hai sentito che è morto Beckenbauer?

Ci tocca tornare, quindi, ai nostri giorni e guardarci intorno. C’è stata la coppa Italia ma, prima ancora, c’è stata l’ennesima discussione sulle scommesse. Sinceramente, tutte queste parole vomitate sull’argomento mi hanno davvero stufato e quindi, giusto per sbuffare più sonoramente, ne parlo qualche secondo. Protagonista delle ultime esternazioni è il nostro vecchio portierone della nazionale, oggi delegato al posto di Vialli, Gigi Buffon. Qualche giorno fa, intervistato, ha espresso il suo parere sull’argomento dicendo che scommettere non è reato. Un calciatore non deve scommettere sul calcio, certo, ma se scommette su altro non sta infrangendo alcuna regola. E io mi chiedo: con tutto ciò che un ragazzo di 20-30 anni può fare con i milioni di euro che guadagna, possibile che debba per forza scommettere e che qualcuno debba spendersi per difendere questo tipo di attività? Abbiamo decine di squadre sponsorizzate direttamente dalle agenzie di scommesse, persino alcune manifestazioni sportive portano il nome di alcune di queste. Possibile che non si riesca a dare un segnale chiaro, almeno da parte di chi sguazza nel grande circo chiamato “calcio”. E’ come la mela di Adamo ed Eva? Una sola cosa non dovresti fare e allora, pur di farla, usi siti illegali, scommetti sulle corse dei cani, ti indebiti a dismisura e, infine, c’è pure qualcuno che ti giustifica e, anzi, scagiona? Incredibile. Arriverà irrimediabilmente il giorno in cui i sospetti dei tifosi saranno più forti delle emozioni. E allora finirà tutto. Meno male che ci sono ancora immagini di repertorio, in bianco e nero, a ricordarci cosa e chi ci piace di questo sport.

Arrivederci dall’altra parte, Beckenbauer.

E buono sport a tutti

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