Articolo di Riccardo Gramazio
Libertà, arte e follia. Nessuna ricetta, nessun ordine e, soprattutto, dosi abbondanti. Definirei più o meno con queste parole l’anima di Syd Barrett, genio di cristallo che diede inizio alla leggenda dei Pink Floyd, allargando, cambiando, stravolgendo i concetti della musica contemporanea. Chiaro, avendo in squadra personalità come Roger Waters, Richard Wright e Nick Mason era praticamente impossibile non portare a casa risultati, ma l’anarchica espressione del musicista inglese, oltre a porre le basi della magica architettura sonora di una delle più importanti band della storia, ha toccato e ispirato artisti del calibro di David Bowie e Paul McCartney.
Tuttavia il Diamante pazzo non ha offerto al mondo un numero davvero consistente di incisioni o una vasta discografia. Una candela, la sua, consumatasi prestissimo, più o meno nel giro di tre anni. Il viaggio di Syd Barrett è illustrato fondamentalmente nel visionario e a tratti spaziale The Piper at the Gates of Dawn, esordio dei Pink Floyd del 1967, che rimane l’unico con lui al timone, e nei due lavori da solista, The Madcap Laughs e Barrett, pubblicati entrambi tre anni dopo. Basterebbe questo aspetto prettamente numerico per comprendere la grandezza delle sue allucinazioni artistiche e il valore della conseguente eredità lasciata; così poco materiale eppure così tanto di cui parlare. Syd Barrett appartiene senza dubbio a quella cerchia ristretta, quasi mitologica, di personalità controverse e spiritualmente maestose, capaci di cambiare le regole del gioco, delle vibrazioni e dell’arte in generale. Servirebbero pagine e pagine per raccontare la vita, le vicende e in qualche modo gli oscuri tormenti di Roger Keith Barrett da Cambridge, classe ‘46, e in ogni caso sarebbe piuttosto difficile aggiungere dettagli o parole che già non siano state dette o scritte a riguardo. Il materiale biografico non manca di certo e, anno dopo anno, aneddoti, racconti e testimonianze continuano ad affiorare, alimentando inevitabilmente il mito. Internet, per la cronaca, è già un oceano infinito di nozioni…
Ma come si muoveva esattamente la musica di questo alieno dallo sguardo vuoto e assente? Impossibile dirlo con esattezza. In realtà la sua non era altro che un’esasperata ricerca del suono, un vortice onirico e totalmente sperimentale, costituito da immagini nevrotiche, all’apparenza quasi prive di logica o di buon gusto. Art rock, in tutto e per tutto, una libertà compositiva che talvolta riusciva a irritare e a spiazzare compagni e produttori. L’amore per la pittura e la passione per il nonsense, che in campo letterario oltre ai continui giochi di parole presentava universi alterati, distorti e spesso di pura fantasia, infiammarono la scrittura. Ovviamente le droghe e i disturbi mentali fecero il resto.
The Piper at the Gates of Dawn, album di culto che ha praticamente dato il via al tanto osannato rock psichedelico, ritrae di fatto il pensiero complesso di Barrett, qui in veste di autore, cantante e chitarrista. A dominare la scena le sonorità incredibilmente innovative e le liriche a dir poco bizzarre. Astronomy domine, Interstellar overdrive, The Gnome e Bike, giusto per citare qualcosa, anche a distanza di decenni hanno il potere di proiettare l’ascoltatore in spazi paralleli, in ambienti fuori da ogni forma di schema. Il disco confonde, stupisce e talvolta inquieta. Ascoltandolo si ha davvero l’impressione di essere in balia di un intenso trip da LSD. Nei testi poi c’è davvero tutto ciò che serve per mandare il cervello altrove. Dopo oltre cinquant’anni, The Piper at the Gates of Dawn continua di fatto ad attrarre e a far parlare i fans dei Pink Floyd, i musicisti e gli appassionati in generale.
L’avventura di Syd Barrett terminò ufficialmente nell’aprile del ‘68. I suoi continui e ormai proverbiali colpi di testa, l’imprevedibilità delle sue stravaganti azioni sul palco e nella vita portarono inesorabilmente alla rottura con gli altri membri e con gli addetti ai lavori. Quello fu purtroppo l’inizio di un amaro declino. Esclusi i due dischi del 1970, firmati esclusivamente a proprio nome, il pittoresco artista non produsse più nulla. Egli si ritirò presto dalle scene, molto presto, con una flotta di demoni a riempirgli l’anima. A dire il vero, ci sarebbe quella cupa e triste storia del 1975, avvenuta negli studi di Abbey Road durante le registrazioni per Wish You Were Here, ma credo che la questione necessiti di un articolo a parte…
I problemi mentali del cantautore britannico cercano ancora oggi una reale definizione. Sono varie le teorie esposte: schizofrenia, bipolarismo, abuso di droghe e persino epilessia. Tante le ipotesi, ma nessuna in grado di far chiarezza. Meglio così, forse: leggenda e mistero sono da sempre concetti decisamente legati, inscindibili.
Da tempo isolato dal mondo e dal passato, Roger Barrett trascorse gli ultimi anni a Cambridge, dedicandosi alla pittura e al giardinaggio. La sua fiamma si spense nell’estate del 2006, lontana da qui, lontanissima, quasi sicuramente in un altra galassia.
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