Articolo di Carlo Amedeo Coletta Ho letto: Nera di Malasorte
Autore: Marco Della Croce
Avete presenti le quotazioni dei cimeli rari, di quelli che non se ne trovano più in giro e se lo trovi fai una
giravolta, falla un’altra volta e suona le campane? Ecco, questo libro ha un valore enorme eppure è quasi
impossibile trovarlo. Più è raro e più vale, dicevamo. Parlo delle copie cartacee, non dell’online,
naturalmente. Vi assicuro, però, che quando uscì nel 2015 fece molto parlare di sé. Non abbastanza, forse,
nell’immediato. Ma sono passati anni e, spesso, ne risento parlare, sempre con piacevoli commenti. E non
potrebbe essere altrimenti, visto l’autore e il libro in sé.
Sono uno dei fortunati possessori del raro cimelio di carta con tanto di dedica e firma. Non vi dirò
ovviamente dove lo tengo nascosto né la combinazione della cassaforte, rischierei troppo. Potrei rivelarlo
solo all’autore, Marco Della Croce, che ho avuto il piacere di conoscere qualche anno fa. Una bella persona,
come il suo libro.
Veniamo a noi, sono qui per parlarvi del libro! Non vorrei mai che vi innamoraste dell’autore. Ne sarei
geloso, mica per altro.
Siamo nel 1969. La musica è sempre alta, come la tensione che si annida spesso nella folla quando, per un
motivo o per un altro, si riunisce o sfila in corteo. In questa città, tanto anonima e grigia in apparenza ma
baciata dal mare e dal meraviglioso Golfo dei Poeti, sembra non accadere mai nulla, almeno a confronto con
altre città ben più conosciute e attive. Siamo a La Spezia, ultimo angolo del levante ligure. La parte destra
della cartina guardando la Liguria, per intenderci.
La Spezia era ed è una città strana. Allo stadio, ve lo dico io, spesso si incoraggia la squadra locale con frasi
tipo “Spezia Nazione”, oppure con “Noi odiamo tutti i ……..” e metteteci gli abitanti di una qualsiasi regione
d’Italia. Tra i bersagli preferiti ci sono i toscani, vista la breve distanza che separa le due regioni. Ecco che, in
questa condizione già di per sé particolare, un giovane commissario pisano viene dislocato proprio a La
Spezia, per punizione, per aver svolto il proprio lavoro con coscienza e umanità in una situazione dove
sarebbero serviti, forse, più manganelli e forza bruta. Chi lo sa. Erano anni difficili, quelli, dove se avevi una
divisa eri un “fascio” e se ascoltavi la musica eri comunista. Se eri benestante eri un “fascio”, se te la passavi
così così eri comunista. Se eri colto eri comunista, se eri aristocratico eri “fascio”. Se poi avevi un titolo
nobiliare o parenti dal passato discutibile, eri quantomeno nostalgico se non monarchico. E tutto era
nettamente diviso in queste fazioni, specchio del passato, del presente e del futuro di una nazione uscita
dalla guerra ancora da troppo poco, apparentemente senza possibilità di riconciliazione, .
Ma a La Spezia, tanto, non succede mai nulla e uno come il commissario Sbrana, questo il nome del
personaggio, potrebbe rimanere ad ammuffire per anni senza mai far carriera e lasciando nel letargo più
totale le innate doti che, fino ad allora, ne avevano caratterizzato invece il cammino in polizia. Sì, a La Spezia
non succede mai niente, neppure adesso.
Eppure qualcosa accade. Accade che in una villa poco lontano dal centro viene rinvenuto un cadavere. E’ il
cadavere di una persona particolare venuta meno in circostanze altrettanto particolari, come l’unico
sospetto di cui si abbia una traccia, una donna vestita di nero.
Occorrerà un altro omicidio per far sì che un’indagine nata in sordina e ostacolata da molti insospettabili
prenda corpo. E non mancheranno personaggi a cui voler bene, a cui affezionarsi, o da cui prendere le
distanze. Tutto con un sottofondo musicale ben studiato, ben preparato, che accompagna la lettura e dilata
le emozioni, i tempi e le riflessioni. Sì, la musica è anch’essa protagonista anche se non lo dà a vedere. C’è e
si sente, invece, e spesso sovrasta il rumore di anni bui, pieni di rancori e ferite non ancora rimarginate.
Potrebbe essere in queste ferite che si annida il movente dell’assassino? O assassina?