Adriana legge Nâzım Hikmet
Alle porte di Madrid e Lettere dal Carcere
Alle porte di Madrid
Non ascoltare le voci delle sfere dell’aldilà
né intrecciare nella trama delle righe
“poesie ermetiche“
né cercare
con pazienza di orafo
rime graziose
e fini espressioni,
stasera, grazie al cielo, io sto più su
di tutto ciò.
Stasera io
sono un cantastorie di strada.
E la mia voce è semplice, senza artifizi,
e tu
non puoi udire la mia canzone…
È notte
Nevica.
Tu sei alle porte di Madrid.
Davanti a te hai l’armata dei nemici,
che è venuta per uccidere
tutto ciò che c’è di più bello:
la libertà,
il sogno,
la speranza
e i ragazzi.
E nevica.
E forse,
i tuoi piedi nudi gelano,
Nevica…
Ed ecco,
in quell’istante
che io penso a te con tutto il mio cuore,
forse
una pallottola spezzerà la tua vita
e per te non ci sarà più
neve
né vento
né notte
né giorno…
E nevica.
So
che anche prima di gridare
“No pasaran”
e di montare la guardia
alle porte di Madrid
tu esistevi!
Chi eri,
di dove sei venuto?
Forse
dalle miniere delle Asturie?
Forse
una benda insanguinata sulla tua fronte
ha coperto
una ferita che ti sei presa al Nord?
Forse
sei tu quello che per ultimo
sparò nella notte che gli junker
bombardavano Bilbao?
O servivi come bracciante
nelle tenute di un qualche
conte Fernando Valesquero di Cortolon?
O avevi una botteguccia
alla Porta del Sole
e vendevi la frutta dai colori spagnoli?
Forse, non avevi alcun talento,
o forse avevi una bella voce?
O eri uno studente,
un futuro giurista
e i tuoi libri
sotto i cingoli d’un carro armato italiano
sono rimasti
nella città universitaria?
Forse non credevi in Dio,
e forse invece portavi una piccola croce di rame
a un cordino in seta?
Chi sei,
come ti chiami,
quanti anni hai?
Non ho visto la tua faccia,
e non la vedrò.
Forse
essa ricorda le facce di quelli
che batterono le bande di Kolciak in Siberia?
O, in qualche tratto,
tu ricordi coloro
che sono caduti
a Domlupinar?
O somigli a Robespierre?
Non hai udito il mio nome,
e non l’udrai.
Tra noi due, fratello,
ci sono i mari e i monti,
e le maledette catene,
e le prescrizioni
del comitato di non intervento…
Non posso venire da te,
non posso mandarti da qui
né una cassa di cartucce
né uova
né un paio di calze di lana…
So
che in questo gelo
i tuoi piedi nudi,
là, alle porte di Madrid,
come due bimbi
gelano al vento…
E so
che tutto ciò che in questo mondo
c’è di grande
e di bello,
tutto ciò che sarà fatto dagli uomini, –
tutta la Verità futura
e la Grandezza,
che io aspetto con tanta ansia nel cuore, –
tutto questo riluce nei tuoi occhi,
sentinella mia,
stanotte
alle porte di Madrid…
E so
che oggi non posso,
come non potei ieri
e non potrò domani,
fare nient’altro
che pensare a te
e amarti!
POESIE DAL CARCERE
1942
Il più bello dei mari
è quello che non navigammo.
Il più bello dei nostri figli
non è ancora cresciuto.
I più belli dei nostri giorni
non li abbiamo ancora vissuti.
E quello
che vorrei dirti di più bello
non te l’ho ancora detto.
1943
Amo in te
l’avventura della nave che va verso il polo
amo in te
l’audacia dei giocatori delle grandi scoperte
amo in te le cose lontane
amo in te l’impossibile
entro nei tuoi occhi come in un bosco
pieno di sole
e sudato affamato infuriato
ho la passione del cacciatore
per mordere la tua carne
amo in te l’impossibile
ma non amo la disperazione.
1943
Che sta facendo adesso
adesso, in questo momento?
È a casa? Per la strada?
Al lavoro? In piedi? Sdraiata?
Forse sta alzando il braccio?
Amor mio
come appare in quel movimento
il polso bianco e rotondo!
Che sta facendo adesso
adesso, in questo momento?
Un gattino sulle ginocchia
lei lo accarezza.
O forse sta camminando
ecco il piede che avanza.
Oh i tuoi piedi che mi sono cari
che mi camminano sull’anima
che illuminano i miei giorni bui!
A che pensa?
A me? o forse… chi sa
ai fagioli che non si cuociono.
O forse si domanda
perché tanti sono infelici
sulla terra.
Che sta facendo adesso
adesso, in questo momento?
1944
Se per i buoni uffici del signor Nuri spedizioniere
la mia città, la mia Istanbul mi mandasse
un cassone di cipresso, un cassone di sposa
se io l’aprissi facendo risuonare
la serratura di metallo:
due rotoli di tela finissima
due paia di camicie
dei fazzoletti bianchi ricamati d’argento
dei fiori di lavanda nei sacchetti di seta
e tu
e se tu uscissi da lì
ti farei sedere sull’orlo del letto
ti metterei sotto i piedi la mia pelle di lupo
con la testa chinata e le mani giunte starei davanti a te
ti guarderei, gioia, ti guarderei stupito
come sei bella, Dio mio, come sei bella
l’aria e l’acqua di Istanbul nel tuo sorriso
la voluttà della mia città nel tuo sguardo
o mia sultana, o mia signora, se tu lo permettessi
e se il tuo schiavo, Nazim Hikmet l’osasse
sarebbe come se respirasse e baciasse
Istanbul sulla tua guancia
ma sta’ attenta
sta’ attenta a non dirmi “avvicinati”
mi sembra che se la tua mano toccasse la mia
cadrei morto sul pavimento
1948
I giorni sono sempre più brevi
Le piogge cominceranno.
La mia porta, spalancata, ti ha atteso-
Perché hai tardato tanto?
Sul mio tavolo, dei peperoni verdi, del sale, del pane.
Il vino che avevo conservato nella brocca
l’ho bevuto a metà, da solo, aspettando.
Perché hai tardato tanto?
Ma ecco sui rami, maturi, profondi
dei frutti carichi di miele.
Stavano per cadere senza essere colti
se tu avessi tardato ancora un poco.
1948
In questa notte d’autunno
Sono pieno delle tue parole
Parole eterne come il tempo
Come la materia
Parole pesanti come la mano
Scintillanti come le stelle.
Dalla tua testa dalla tua carne
Dal tuo cuore
Mi sono giunte le tue parole
Le tue parole cariche di te
Le tue parole, madre
Le tue parole, amore
le tue parole, amica.
Erano tristi, amare
Erano allegre, piene di speranza
Erano coraggiose, eroiche
Le tue parole
Erano uomini.
1949
Sei la mia schiavitù sei la mia libertà
Sei la mia carne che brucia
Come la nuda carne delle notti d’estate
Sei la mia patria
Tu, coi riflessi verdi dei tuoi occhi
Tu, alta e vittoriosa
Sei la mia nostalgia
Di saperti inaccessibile
Nel momento stesso
In cui ti afferro.