Film del 2021 per la regia di Leonardo di Costanzo. đź”” RECENSIONE SENZA SPOILER đź””
In una remota e non specificata zona d’Italia il vecchio carcere è in procinto di chiudere.
Gli agenti di polizia penitenziaria stanno festeggiando l’ultima notte alle Mortane in attesa di una nuova collocazione.
Un intoppo della complessa macchina burocratica però fa saltare i piani e, mentre la maggior parte del personale e dei reclusi viene trasferita e le attività del carcere abbandonate, dodici detenuti e un manipolo di guardie devono continuare a presidiare il penitenziario in dismissione.
Costretti in spazi angusti e con i servizi al minimo, la tensione sale e le cose sono pronte ad andare terribilmente storte.
Film presentato alla 78° Mostra del Cinema di Venezia, fuori concorso, e viene distribuito nelle sale il 14 ottobre 2021.
Leonardo di Costanzo, al suo terzo lungometraggio personale, riprende il discorso mai sospeso con lo spazio e l’essere umano che lo vive.
Sceglie di ambientare la sua storia in un carcere, un luogo angusto ed in questo caso abbandonato e fatiscente: la scenografia è curata in maniera magistrale da Luca Servino (che torna a collaborare con di Costanzo dopo L’Intrusa del 2017) e riesce ad accentuare la drammaticità delle parole, delle azioni e delle emozioni.
In un dedalo di corridoi scrostati e un ambiente esterno di selvaggia bellezza come solo la Sardegna sa essere, le vite delle guardie e dei carcerati si intrecciano in una situazione assurda quanto verosimile, sempre sull’orlo dell’improbabile ma mai, nemmeno per un attimo, impossibile.
Una storia fatta di dialoghi, in cui l’intercalare è il vociare della moltitudine, espediente che tradisce il mutuato dal teatro greco, e dà vita a una lenta discesa dentro se stessi.
Dapprima diffidenti, arroccati nelle proprie convinzioni e sovrastrutture, tutti fanno il medesimo percorso catartico, certo timido, ma inarrestabile.
La scelta di affrontare ruoli così ambiziosi, antichi e modernissimi, non poteva che essere sottoposta a due degli attori più potenti del panorama italiano attuale: Silvio Orlando e Toni Servillo.
Entrambe maschere assolute, attori che farebbero emozionare anche se interpretassero un comodino, accettano la tenzone dello scontro, prima istituzionale, poi personale ed infine emotivo in una pantomima feroce ma mai violenta.
Servillo interpreta l’Ispettore Gargiulo, maturo ed esperto agente della penitenziaria. Solido e integerrimo ma con abbastanza mestiere da sapere che senza la compassione non si va da nessuna parte.
E’ il suo personale codice etico che rende il lavoro piĂą di un mestiere e gli regala, parole sue, “una serenitĂ che Lagioia non potrĂ mai conoscere“.
E Lagioia è interpretato da Silvio Orlando, impassibile e speculare alter ego del personaggio di Servillo: se quest’ultimo ha l’ascendente necessario per governare un carcere, il personaggio di Orlando ha l’ascendente necessario per farlo esplodere.
Due mondi che si gravitano intorno e non si toccano mai, che ogni tanto si sfiorano per prendersi le misure. Nonostante ciò che sembra, ARIAFERMA non è un film sul carcere né sulla situazione delle carceri (in Italia o altrove) ma è piuttosto un film sulle “Prigioni di Dentro”, quelle che non hanno sbarre ma da cui è estremamente più difficile evadere.
Il cast è ricco di talento: c’è Fabrizio Ferracane, Salvatore Striano e Roberto de Francesco in una parte piccola ma capace di mettere in luce tutta la sua bravura.
Curiosa la quasi totale assenza di commento musicale: la colonna sonora realizzata da Pasquale Scialò, che oltre a essere compositore è anche musicologo e accademico, è una pervicace progressione ritmica di percussioni e battiti di mani, una rappresentazione del tempo stesso che trascorre ma non passa, un marziale girotondo sempre uguale a se stesso, scandito e perfetto.
Emozionante come sempre la fotografia del mitologico Luca Bigazzi, che sembra empatizzare più del solito con l’ambiente, prediligendo l’illuminazione naturale ma quando costretto, ad esempio nella scena della cena con le torce, dà il meglio di se affilando una luce che sarebbe piaciuta a Caravaggio.
Un film solido che ha i suoi pilastri in Servillo e Orlando; è incredibile come questi due abbiano sempre la faccia che serve, è qualcosa che davvero trascende il talento.
Una sceneggiatura profonda ed emozionale, scritta dal regista insieme a Bruno Oliviero e Valia Santella, che soffre però di una messa in scena discontinua.
Mentre il primo atto è avvincente e serrato, il secondo perde mordente cedendo su alcuni punti che se avessero tenuto avrebbero giovato alla drammaticità .
Ad esempio: c’era modo di portare avanti l’evoluzione del personaggio senza rivelare il reato per cui è detenuto?
Questo particolare passa in secondo piano per tutto il film, una scelta azzeccatissima, e quasi si resta delusi quando il detenuto confessa il delitto per cui sconta la pena.
PiĂą volte i personaggi di contorno hanno rilevanza istantanea e il peso che sembrano avere in particolari scene poi si rivela nullo.
Qualche semplificazione di troppo qua e lĂ tradiscono lo spirito ermetico delle intenzioni.
Peccati assolutamente veniali che in film di questa caratura però pesano anche senza inficiare troppo il risultato d’insieme.
Il dialogo finale tra i protagonisti è semplice ed essenziale, scarno nell’avarizia di parole: trasforma per un attimo l’Universo in un puntino piccolo piccolo. Emozionante.
VOTO: Quattro ciaKKini 🎬🎬🎬🎬, per un film che ha lo spirito del Deserto dei Tartari e l’aspetto del miglior Cinema italiano. Una storia potente sulle catene che ci costringono e sulle scelte che potrebbero spezzarle.
Cristiano Dalianera, 29/04/2022
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