Articolo di Emilio Aurilia
Eric Clapton, Mick e Larry Taylor, Peter Green, Jack Bruce, John McVie, Hughie Flint, Dick Heckstall-Smith, John Hiseman, Jon Mark, Johnny Almond, Keef Hartley bastano per introdurre John Mayall novantenne dal 29 novembre?
Non esiste musicista degno di figurare nella storia del rock che non abbia fatto parte dei suoi Bluesbreakers una sorta di scuola formativa, trampolino per molti musicisti che avrebbero detto la loro sia da soli, sia in formazioni future.
Nato col blues Mayall è stato uno sperimentatore interessato via via ad altre strade da scoprire, transitando appunto dal blues elettrico degli inizi, a quello acustico realizzato con il chitarrista Jon Mark e il sassofonista-flautista Johnny Almond futuri protagonisti di un duo molto interessante ed interessatosi al jazz con l’imperdibile “Jazz Blues Fusion” (1970) in cui il lavoro corale è molto evidente, specialmente quello di Blue Mitchell (tromba) e Clifford Solomon (sax).
È del 1973 il doppio “Ten Years Are Gone” un prodotto di notevole energia. Nel 1975 Mayall, probabilmente a corto di idee per i pregressi sforzi profusi, recluta una cantante donna (Dee McKinnie) per l’incisione di “New Year, New Band, New Company” un album non imperdibile dal titolo emblematico.
Da lì in poi i dischi del bluesman si susseguono con una invidiabile media quasi annuale, fino al recentissimo “The Sun Is Down” (2022), ma il suo standard ormai nei lustri fissato, non riesce a interessare più il grande pubblico.
Mayall resta un personaggio non di grande bensì di enorme spessore per tutto ciò che è riuscito a dare nella sua lunga carriera al blues e non soltanto.