Articolo di Adriana La Trecchia Scola
La difficoltà maggiore è capire l’ essere umano, anzi prima trovarlo. Viviamo in un mondo che non è neanche al tramonto, ma è diventato subumano o postumano, in cui predomina la tecnica con i suoi corollari. Forse gli stessi uomini sono diventati macchine sia nel corpo che nella mente: i desideri, i pensieri, gli sforzi sono di carattere meccanico e dipendono da un meccanismo. In realtà l’ uomo rimane incommensurabile ma quello che prevale è la misurazione e la quantificazione degli eventi. Bisogna essere performanti, giovani, alla moda, di successo (significa strumenti del consumismo). A questo punto non si può credere che la bellezza salverà il mondo, perchè risulta effimera e futile. Probabilmente non c’è spazio per la salvezza (è un’ illusione), ma solo per la memoria: il ricordo della nostra essenza, degli affetti più cari. Vivere consiste nel costruire se stessi e la propria vita fin quando permane una potenza vitale. Non si tratta di distinguere tra giovinezza e vecchiaia, che sono categorie indotte dal consumismo; ma di esprimere la nostra forza vitale. L’ ultimo film di Wim Wenders (Perfect Days) è stato interpretato come un elogio della felicità attraverso le piccole cose (quelle semplici che sono le più autentiche). In verità non si tratta di un manifesto della consapevolezza, quanto della motivazione. La felicità è inafferrabile perchè inconsistente, ciò che conta è coltivare i propri interessi a prescindere dal rutilante “gioco” esterno. In un mondo che impone degli standard omologati (uniformi per tutti) risulta rivoluzionario scegliere di non aderirvi. Il giorno perfetto si raggiunge quando riusciamo a fregarcene di quello che gli altri (gli estranei) pensano di noi e coltiviamo il nostro spazio (che diventa sacro) nel mondo.