Interviste

ABISSI Le Pietre Dei Giganti scavano a fondo.

Intervista di Riccardo Gramazio

Ecco un altro gruppo molto interessante, Le Pietre dei Giganti. Diciamolo subito, la loro musica non è per tutti, ma questi ragazzi, per quanto mi riguarda, hanno davvero cose da dire, altroché. Direttamente dalla bella Toscana, il cantante Lorenzo Marsili ci racconta l’abisso, quello vero, da esorcizzare e combattere con la magia del suono, del rumore. Le Pietre hanno stomaco ed esigono stomaco. Ne abbiamo abbastanza? Sì, ne abbiamo, e ne sono certo…
In questo momento di grande difficoltà, per trovare conforto e magari energia, non resta che ascoltare la buona musica, la musica che portiamo su MDN.

Benvenuto, Lorenzo. Domanda di rito, la solita. Chi siete?

Ciao, noi siamo Le Pietre Dei Giganti. Lorenzo, voce, Francesco, chitarra, Francesco, batteria e Niccolò, basso.

Potenza e male esistenziale come se non ci fosse un domani. Abissi è l’essenza di questi elementi. Credo di aver compreso abbastanza il messaggio, ma vorrei sapere di più…

Abbiamo scelto il titolo Abissi perché è un concetto “liquido”. Il tema principale è l’irrisolto. L’immagine dell’abisso a me evoca un grande nero che ti inghiotte, una caduta che ti porta verso l’ignoto. Nel disco abbiamo provato a raccontare l’assenza di vie di fuga, il senso di annegamento, la mancanza di una spiegazione logica di una serie di situazioni. Per fare questo abbiamo dovuto mettere da parte la rabbia e fare spazio all’autoanalisi. Alcune canzoni vengono da storie esterne al nostro vissuto, altre invece sono il frutto di lotte interiori affrontate con la maturità della crescita. È stato un processo in parte terapeutico e infatti il disco ha anche una sua apertura verso una risalita. La nostra falena ha l’ala bruciata, ma continua a volare…

Il vostro è un lavoro particolare, alternativo, ma anche piuttosto ricercato. Potrei per esempio parlare di grunge, di hard o di stoner rock. Quali sono i vostri artisti di riferimento?

Sullo stoner ci hai preso di brutto. L’idea iniziale del progetto era quella di fare dello stoner “classico”, con le accordature basse e fuzz ovunque. Queste erano le premesse con cui abbiamo realizzato il nostro primo Ep, Fanno Male. C’è anche da dire, però, che nello stesso periodo io e Fra, chitarra, ci sfondavamo di afrobeat – per quanto non lo suonassimo. Uno dei motivi per cui ad un certo punto abbiamo deciso di tenere lo stoner come ossatura di base è che siamo tutti degli ascoltatori onnivori. Non volevamo negarci la possibilità di scrivere dei pezzi più dilatati e intimi, nonostante i vincoli del genere. Io non posso parlare per tutti, però ascolto moltissima musica “indie” d’oltreoceano, di quella che passa alla KEXP, tipo King Gizzard, Ty Segall, Courtney Barnett, Khruangbin, Growlers, Goat, Nils Frahm, ecc… tutta roba che, purtroppo, qui in Italia arriva a stento: ed è un peccato, perché potrebbe piacere ad un sacco di gente.

Il disco è cupo, diretto come un pugno nello stomaco. Parlatemi un po’ della produzione. Quanto tempo avete impiegato per ottenere il sound giusto?

La scelta del suono è stata fortemente influenzata dal produttore, Phil Liar dei Teverts. Questo è stato senza dubbio un valore aggiunto al disco. Phil ha scelto di tenere dei suoni meno saturi e più definiti, e infatti la sua produzione si distingue di netto rispetto a un disco di genere. Noi abbiamo contribuito preparando delle preproduzioni con Logic, che fossero indicative del tipo di sound o dell’atmosfera che volevamo evocare. Questo processo è durato circa dieci mesi. Ogni singola preproduzione è stata revisionata e valutata dal nostro discografico, Marcello “Mors” Venditti di Overdub Recordings. Marcello ci ha dato prima una mano consigliandoci sugli arrangiamenti e poi è stato presente in studio durante la registrazione. A dare una mano c’era anche Mario Possemato, che ha un orecchio spaventoso. È stata una bellissima esperienza.

Affrontare il malessere, il turbamento emotivo, non sembra crearvi problemi. La sofferenza è un po’ la vostra musa ispiratrice?

La musica è un modo meraviglioso per affrontare la sofferenza. Quando si riesce a canalizzare tutta l’energia negativa spesa nell’introspezione in energia creativa, spesso vengono fuori i lavori più ispirati. Canzone del sole è nata proprio così. Un momento di down fortissimo affrontato impugnando una matita ed un bloc notes. Non tutti i pezzi, purtroppo, vengono fuori così facilmente.

Come nasce una canzone delle Pietre?

Ci sono modi diversi. Quello più comune è che io o Fra buttiamo giù dei riff o delle idee coerenti di pezzo, poi creiamo gli arrangiamenti con Logic, sperimentiamo un po’ di soluzioni e mandiamo delle bozze di pezzo agli altri. La sala, solitamente, arriva dopo. Forse le uniche due eccezioni nate in sala sono DMA e Stasi, che infatti sono tra le prime che abbiamo scritto. Ora stiamo provando a sperimentare anche approcci diversi, come partire da un testo e dalle immagini che ci evoca. In futuro mi piacerebbe comporre utilizzando delle immagini o delle sequenze grafiche per buttare giù delle strutture.

Il disco presenta anche avventure acide e psicotiche. Da artista apprezzo moltissimo simili viaggi. Ho sempre pensato che la psichedelia rappresenti in qualche modo l’inconscio. Sto farneticando?

Ho presente quello che intendi. Io non escludo un’interpretazione freudiana della musica costituita da ritmi lenti e dei suoni dilatati. L’ascoltatore comincia a oscillare lentamente, come un neonato nella culla. C’era una versione live di un pezzo oscuro dei Pink Floyd, Embryo, in cui nel mezzo del tappetone sonoro si sentono i versi di un neonato. In quel contesto, è una cosa potentissima. Il bello della psichedelia è che ti comunica questo senso di infinito in senso positivo. L’immensità può anche essere spaventosa, ma è confortante riuscire a vivere l’infinito accettando il proprio limite e sentendosi parte di esso. A me i momenti dilatati di certe canzoni danno questa sensazione. Ed è per questo che i delay sono i pedali più fighi dell’universo…

Addolciamo un po’ la pillola, ora. Scena musicale fiorentina? Le vostre impressioni…

Tanta roba. C’è fermento, ci sono tante belle novità che non a caso compaiono quasi sempre nei contest più importanti. A ogni concerto facciamo delle nuove scoperte. L’ultima sono stati i NOCH: il bassista è un drago da palco e un cantante fenomenale. Abbiamo avuto il piacere di suonare al Glue con gli Zambra e gli Eileen Sol ed è stato una bomba, perché pur facendo tutti musica di nicchia la gente non è mancata. Lo stesso possiamo dire del release party al Titty Twister con gli OAK. Affinché si creino queste situazioni, e la musica e la cultura continuino a girare, è necessario che il locale riesca ad avere un pubblico proprio, come appunto i posti sopracitati.

E in Italia come siamo messi?

Eh, come anticipavo prima, non è scontato che un locale abbia un pubblico proprio e che quindi dia spazio alle nuove leve. O uno ha una bomba da sfoderare al primo colpo e lascia tutti attoniti, oppure, come il 99% delle band, al primo concerto farà schifo. In questo caso, dovrà farsi la gavetta tra pub con l’ampli al minimo e la distorsione sparata in faccia alla famigliola che sta cenando davanti al palco. Il nome della band comparirà su una locandina creata con paint: una scritta piccola piccola, in comic sans, come una postilla a fianco a “Stasera Juventus-Inter” scritto a caratteri cubitali. Il problema, però, non è il fatto che ormai i giovani vedono il rock come musica obsoleta o che gli adulti preferiscono la cover band di un gruppo famoso a dei ventenni che scrivono musica di proprio pugno. Il problema reale è l’insieme delle difficoltà a cui devono andare incontro i gestori. Abbiamo delle realtà incredibili, come il Todays festival, che rischia di chiudere a causa delle difficoltà burocratiche. Tra denunce dei vicini, controlli dubbi sui decibel e l’assenza totale di incentivi, per ogni locale ogni singolo anno di gestione è una scommessa. Si potrebbe fare tanto, ma finché la politica va avanti a selfie con mortadelle e porchetta, cadute di governo, allarmismi per gli immigrati, allarmismi per i virus e scandali sessuali, non ci sarà mai nessuno che si occuperà di questa situazione.

Cosa possiamo fare per riaggiustare un pochino le cose?

Beh io sono il primo a dire che prima di occuparsi del settore dell’intrattenimento bisognerebbe sistemare la scuola e la sanità. Nel nostro piccolo, possiamo comunque tutti fare lo sforzo di essere meno giudicanti o invidiosi – perché, ammettiamolo, siamo un paese di saputelli – e andare a buttare via 5€ per il concerto del nostro amico. E se non ci piace quello che fa, diciamoglielo! Bisogna crederci, quando si mette il like. Purtroppo, quello che succede di solito è che non facciamo in tempo perché ci dilunghiamo a cena. Per cui poi, improvvisamente, dopo due o tre anni e ci rendiamo conto che non abbiamo mai ascoltato il progetto del nostro collega, non siamo mai andato a vederlo suonare. Probabilmente avevamo rinunciato al live per farci la solita birretta con gli amici nella serata in cui, tanto, alla fine non abbiamo rimorchiato e non rimorchieremo mai. Quindi tanto vale andare a sentire gli ampli che stridono, no?

Torniamo alle canzoni, al già citato singolo Canzone del sole. C’è una canzoncina abbastanza conosciuta con lo stesso titolo, manca solo l’articolo davanti. Ve lo hanno detto?

Ci piaceva l’idea del titolo provocatorio.

Scherzi a parte, ciò che più colpisce all’ascolto è il netto contrasto tra titolo e pezzo. Un ossimoro studiato a tavolino o la cosa è più semplice?

Sì, in parte è voluto. Quel “suona la canzone del sole” è il diktat a cui sei sottoposto da quando impugni la chitarra in mano per la prima volta. Ma è anche Giulio Verme che vorrebbe salvare il mondo e invece partecipa a Mastervip. È il politico che vorrebbe riformare la sanità e invece si ritrova a fare le storie su Instagram in vacanza perché sennò non lo vota nessuno. Un abisso senza uscita. Che poi, il problema vero, è che quella, in origine, era pure una bella canzone.

Domanda difficile. La canzone di Abissi che vi rende orgogliosi?

Io non posso parlare per tutti, ma sono abbastanza sicuro che sia la title track. È un pezzo molto dinamico, con un testo scritto a quattro mani dai due “Franceschi” che parla dell’idea del mostro interiore come il migliore amico da cui non riesci a staccarti, ed è ispirato a Moby Dick di H. Melville. In generale, ci sembra di essere riuscito a creare un disco con un’ottima coerenza testuale e concettuale e questa, sicuramente, è una grandissima soddisfazione.

Cosa non vi ho chiesto? Fatevi una domanda e datevi una risposta…

Beh, allora andiamo con la classica: cosa possiamo fare per supportarvi?
Comprate il nostro CD. Lo so che il CD può essere considerato un oggetto obsoleto ma è sicuramente un token di apprezzamento per l’artista. Ha una copertina stupenda disegnata a mano da Margherita Cammelli, che la potete vedere anche nel nostro video di Greta. In alternativa, venite ai nostri concerti. Ogni volta che vediamo una faccia nuova motivata sotto al palco, cerchiamo di dare veramente tutto.

Salutate i lettori di MDN con una sola frase.

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LE PIETRE DEI GIGANTI – ABISSI

LE PIETRE DEI GIGANTI – CANZONE DEL SOLE

 

 

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