Intervista di Riccardo Gramazio (Ricky Rage)
Artista forte e dinamica, la cantautrice Alessandra Giubilito, idee piuttosto chiare, liriche impegnate e grandissima voce. Il suo ultimo raffinato lavoro in studio racconta strorie di donne, ma non è dedicato solo alle donne, anzi. Passione, stile e se vogliamo, un pizzico di coraggio; questi gli ingredienti delle straordinarie composizioni. L’ universo femminile è al centro di un progetto lontano anni luce da ogni forma di pregiudizio. Inutile dire che l’ascolto di questo disco saprà sicuramente arricchirvi. E poi, lo ripeto, con una voce così…
Per cominciare, beh, la cosa più semplice e al contempo la più difficile. Con chi ho il piacere di parlare?
Ciao! Mi chiamo Alessandra Giubilato e sono una cantautrice indipendente, di origini venete e friulane. Ho pubblicato il mio primo album nel 2018, La rosa del deserto, e il 22 maggio, finalmente, pubblicherò il mio secondo lavoro, La poesia di una donna (anche sotto un vestito).
È possibile definire il tuo nuovo disco, il tuo gran bel disco, La poesia di una donna, un concept album a tutti gli effetti? Mi riferisco soprattutto alle figure ritratte, che insieme vanno a raccontare l’universo femminile, attraverso una vasta gamma di sfaccettature e di espressioni…
Beh innanzitutto ti ringrazio. Certo, non voglio che si pensi che mi sia svegliata una mattina dicendo: “Realizziamo un album sulle donne, potrebbe funzionare!”. Semplicemente negli anni mi sono accorta di aver scritto numerosi brani a tema femminile. Il perché? Probabilmente il subconscio mi spinge a immedesimarmi con certe figure e certe situazioni, è stato anche un lavoro di introspezione psicologica. Non credo sia un caso che tutte le donne descritte fossero all’epoca etichettate come immorali, pazze, vanitose o quant’altro; eppure sono tutte donne che, qualcuna più, qualcuna meno, hanno cambiato il corso della storia. È purtroppo un argomento molto attuale, che ho vissuto io stessa sulla mia pelle, e che proprio in questi giorni è ritornato alla ribalta in seguito ad alcuni fatti di cronaca. Una scelta, una decisione presa, un vestito un po’ più corto (o un po’ più lungo!) non ti rendono “più donna” o “meno donna” delle altre. Nessuna donna (e nessun uomo!) dovrebbe sentirsi limitata nella propria libertà per paura delle etichette e dei giudizi altrui. È una cosa per cui mi batterò sempre e spero di riuscire a farlo tramite il linguaggio della musica.
Hai omaggiato personalità importanti, controverse e talvolta fragili. Alda Merini, Isadora Duncan, Alice Prin e Maria Montez. Presumo che dietro le canzoni ci sia anche un grande lavoro di ricerca. Empatia, certo, ma per raccontare storie di questo tipo è necessario calarsi nelle varie parti, entrare realmente in sintonia…
Il lavoro di ricerca, talvolta, mi richiede giorni e giorni di lavoro: scritti personali, biografie, articoli, film e documentari. Non me la sento di scrivere su un’altra persona senza prima essere sicura di aver colto perlomeno la sua essenza. La difficoltà sta spesso nel saper leggere tra le righe, perché la percezione di persone terze è spesso errata, fuorviante e superficiale, soprattutto se la persona in questione non è più su questa terra.
Donne celebri, ma anche situazioni difficili. Mi riferisco a Spose Bonsai o a Vento Di Tempesta?
Certo, Vento di tempesta è una canzone che celebra la presa di coscienza di una donna nei confronti di una relazione tossica. Ci tengo a sottolineare che per “violenza domestica” non si intende solamente violenza di tipo fisico, ma anche violenza di tipo psicologico. È importante che ognuna ed ognuno di noi impari a riconoscerla. Dico “ognuno” perché spesso ci dimentichiamo che la violenza (psicologica in primis) avviene anche nei confronti dell’uomo.
Spose bonsai, invece, tratta ovviamente della realtà delle spose bambine. Ho deciso di affrontare questo tema a sedici anni, dopo aver conosciuto una ragazza su Internet che mi disse di essere scappata in Francia, per sfuggire a un matrimonio combinato (con un uomo molto più anziano di lei). Anni dopo ho ripreso in mano la canzone e l’ho rifatta da capo, leggendo diversi articoli e libri e guardando molti documentari. Per convenienza ho ambientato la canzone in Yemen.
I testi sono curati, viscerali e incredibilmente poetici. La tua penna è senza dubbio straordinaria, complimenti. Stiamo parlando però di canzoni e, di fatto, non solo di parole. Ecco, raccontami un po’ tutto. Scrittura, scelta dei suoni, lavoro in studio. Come componi e come ti comporti?
A volte nasce prima un testo, a volte una melodia, a volte la struttura armonica. A volte nasce tutto insieme. Generalmente porto in studio un testo praticamente finito e una bozza di musica, che viene poi elaborata da Sabino Dell’Aspro, nel caso lo ritenga necessario. Sabino si occupa interamente degli arrangiamenti e dell’armonizzazione (che cura veramente nei minimi dettagli, su questo è veramente un perfezionista!). Ci è capitato anche di non sentirci del tutto soddisfatti e di rifare tutto da capo. Per quanto riguarda i suoni, c’è stata moltissima attenzione al rispetto dell’emotività, delle dinamiche e delle sfumature vocali. Per questo motivo sono stati preferiti dei suoni classici.
Hai parlato del pianista Sabino Dell’Aspro. Quanto è stato importante questo musicista per la realizzazione del disco?
Assolutamente fondamentale, niente di tutto questo sarebbe stato possibile. Innanzitutto, se non lo avessi conosciuto, non canterei come canto ora, a livello musicale sono cresciuta alla velocità della luce. Sabino è uno dei pochi professionisti “di vecchia leva” rimasti, cresciuto in una realtà musicale diversissima, la Milano degli anni ’80. In pochi, a mio avviso, suonano ancora così. La carta vincente credo sia stata proprio l’unione di due generazioni, capacità ed esperienze diverse.
In genere, noi artisti non amiamo troppo etichettare le nostre cose. Provaci almeno per questa volta. Alessandra Giubilato può rientrare in un preciso genere musicale? Io ci vedo spirito cantautorale, classico e jazzistico…
Per me è davvero difficile rispondere: con il cantautorato e con la musica classica ci sono praticamente cresciuta, mentre mi sono avvicinata al mondo del jazz negli ultimi cinque anni. Per me la musica è spontaneità ed emotività, perciò cerchiamo di usare tutto quello che sottolinea un mood al meglio, senza affidarci troppo a schemi prefissati.
Prima di tutto questo grande e infame caos, ti stavi dedicando all’attività live?
Assolutamente, più che altro ci stavamo preparando alla stagione estiva, perché abbiamo dedicato gli ultimi mesi “pre-coronavirus” soprattutto alla produzione (e per fortuna! Almeno siamo riusciti a finire in tempo!).
Il primo ricordo legato alla musica?
Quando colorai di giallo tutti i tasti del pianoforte mentre mia mamma era al telefono? A parte gli scherzi, credo che il mio primo ricordo legato alla musica sia stata la pianola Bontempi che mio padre mi regalò quando avevo tre anni. Ricordo chiaramente la scena, come se fosse ieri. Avevo chiesto a mio papà di attaccare un’etichetta con un numero su ogni tasto e di scrivermi su un foglio i vari numeri corrispondenti alle note di una canzone. La prima canzone che imparai fu la canzone de L’apprendista stregone, del cartone Fantasia, della Disney. La cosa divertente è che ogni tanto, quando non ho una tastiera a disposizione, la uso ancora per comporre.
I dischi della tua vita? Solitamente ne chiedo uno, ringraziami…
Ricordo lunghi viaggi in macchina con tutta la discografia di De Andre’, De Gregori, i Simon & Garfunkel e Cat Stevens. E adesso ti dico una cosa che non sa nessuno, è una specie di “segreto di famiglia”, da piccola mi piacevano un sacco anche I Gufi, che furono un gruppo musicale e cabarettistico milanese degli anni ’60, so tutte le canzoni a memoria…
Progetti futuri?
Soprattutto quest’anno ci ha insegnato a non fare troppi progetti e ad essere sempre capaci di reinventarci. Spero solo di riprendere presto con la musica dal vivo e vedere dove mi porterà questo album. Al momento stiamo anche lavorando su nuove canzoni.
Potrebbe muoversi anche altrove la tua voce? Hai un incredibile talento, ma anche parecchia duttilità, a mio avviso. Intendo dire, chissà, in ambiente rock…
Mai dire mai, ma sento che questo tipo di musica mi appartiene totalmente. A dire il vero, però, tra i brani inediti e non pubblicati abbiamo realizzato anche alcune ballad rock.
Quanto conta per te l’immagine nel mondo dello spettacolo?
È una bella domanda ed è un discorso complesso. L’immagine nella musica conta troppo. Nel mondo dello spettacolo gli stereotipi sono radicati nel modo più assoluto, perciò mi sembra che spesso, se non rientri nello stereotipo del tuo genere, rischi di non venire preso/a sul serio. Ad esempio, non puoi fare jazz e andare anche a ballare in discoteca, se fai “indie” (che poi cosa vuol dire? Non vuol dire “indipendente”?) devi fare per forza l’alternativo e “cantare scazzato”, se fai pop devi assolutamente essere bella/o o stravagante. Nella musica l’abito fa il monaco e mi dispiace tanto. Nella mia vita ho fatto tante cose diverse, non necessariamente collegate tra loro. Molte cose che ho fatto erano legate all’immagine, allo sport, ma non solo. Diciamo che ho sempre fatto ciò che avevo voglia di fare o ritenevo necessario per la crescita della mia persona. Posso pure affermare con assoluta certezza che se non avessi fatto tutto ciò che ho fatto non sarei qui, non avrei avuto la forza di cantare di fronte ad un pubblico. Oggi cerco di scrivere testi dal contenuto importante, scrivo di queste tematiche sin da piccola, eppure mi sembra che in molti fatichino a prendermi sul serio, ho la sensazione che qualcuno mi guardi di sbieco. Ogni tanto mi chiedo se non sia il caso di cambiare la mia immagine e di rientrare nello stereotipo di chi fa musica d’autore. Ma ogni volta ci penso un attimo e poi mi dico: “No, è proprio di questo che canto, è proprio questo che racconto”. Io voglio un mondo libero e senza pregiudizi. Utopia? Forse. Ma un grande diceva: “Solo coloro che sono abbastanza folli di pensare di cambiare il mondo lo cambiano davvero”. Questa frase l’ho scritta bella in grande sull’anta del mio armadio quando avevo sedici anni e faccio in modo di ricordarmela in ogni mio momento di sconforto.
Credi che ci siano troppe differenze tra uomo e donna? Magari, di tanto in tanto, si scivola nei luoghi comuni…
Anche questo è un discorso molto lungo e complesso. Sì, le differenze ci sono, ma a volte sono favoriti gli uomini e a volte sono favorite le donne, dipende dalla situazione. Ho scritto un album sulle donne, sono una donna che si è spesso sentita vittima di etichette e giudizi, non mi sono mai sentita “libera di essere”, ma voglio dare a Cesare quel che è di Cesare. Io mi ritengo femminista nel significato originale del termine, l’accezione data da quel movimento che rivendica la parità di genere. Ma voglio anche dire che noi donne non possiamo avere la parità solo dove ci comoda. Credo che ci sia ancora molto da lavorare, da ambo le parti.
Un messaggio per i lettori di MDN. Un motto, magari…
“I pregiudizi e i cliché sono parte dell’essere umano, ma spetta alla nostra intelligenza smontarli e trasformare le differenze in oro.”
Non so, ho scritto questo di getto, ma sento che è il messaggio principale che voglio trasmettere tramite la mia musica. Un caro saluto a tutti!
I LINK DI ALESSANDRA
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