Torno a scrivere e torno a farlo avendo avuto il tempo di riflettere. Una riflessione che non ha la pretesa di esser condivisa, né quella di esser verità, ma semplicemente l’elaborato di una serie di situazioni che i “capiscer” avevano già sentenziato ad agosto mentre il sottoscritto chiedeva “tempo al tempo”.
Lo chiamavano Maestro e quando Andrea Pirlo da Flero, un piccolo comune della provincia bresciana, decise di accettare l’incarico di guidare la panchina della squadra più titolata d’Italia, non pensava che la laurea conseguita accarezzando un pallone su tutti i più importanti campi d’Europa non avesse valenza alcuna una volta passato sulla sponda di chi gli allenamenti invece di sostenerli li dirige. Lo chiamavano Maestro dicevo, per la sua innata qualità di insegnare calcio, di “spiegarla” ad ogni avversario gli si contrapponesse di fronte o cercasse di limitarne il raggio d’azione. E lui l’appellativo se l’è guadagnato sul campo, riconosciutogli da tutto il mondo del pallone e considerato come uno dei centrocampisti più forti dell’ultimo ventennio, accostato ad altri mostri sacri, come quelli blaugrana, Xavi e Iniesta.
Ma tra giocare e allenare passa una differenza nemmeno tanto sottile ed è proprio quella sulla quale io stesso avevo scommesso. Perché se è vero che nella vita come nel lavoro la gavetta e l’esperienza sono step imprescindibili è altrettanto vero che esistono le eccezioni e che magari proprio queste, specie se appoggiate dall’ambiente e dallo spogliatoio (in tema di sport) possono rivelarsi delle piacevoli sorprese.
Pirlo aveva cominciato la sua avventura con un carico di idee ed un grande entusiasmo nel volerle applicare, tra mille difficoltà determinate dall’assenza di preparazione e tutto un contorno che in tempo di Covid ha certamente inciso negativamente sullo sviluppo delle sue idee.
Andrea aveva pian piano trovato il bandolo della matassa ed in questa ciò che più era balzato agli occhi della critica, una critica che non gli ha mai risparmiato nulla in ragione del suo nome, era l’aver avuto il coraggio di puntare sui giovani, di lanciarli nel grande calcio senza la paura di esporli in un mondo di squali. Da Frabotta, a Di Pardo, da Dragusin a Fagioli, da Wesley a Portanova sino a Rafia, Andrea Pirlo aveva compiuto un mezzo capolavoro, coinvolgendo i ragazzi della Juventus U23 nel progetto più ambizioso della prima squadra. Perché, per chi non lo sapesse, da questa stagione i vertici bianconeri si sono gettati anima e corpo nello sviluppo della U23 da cui far emergere possibili campioni di un domani (si spera nemmeno troppo lontano) e altri ragazzi da cui sviluppare operazioni di mercato vantaggiose e remunerative.
Pirlo stava facendo quello che in tanti sottovalutavano, cercare di continuare a vincere inserendo nuove leve che, facendo esperienza, avrebbero accelerato il processo di apprendimento del DNA bianconero. Poi è arrivata la batosta di San Siro e lì qualcosa si è inceppato. Da lì in poi Pirlo ha smarrito sicurezza, idee e quella sana sfrontatezza necessaria a chi vuol fare strada e farla con personalità. Si è involuto nelle scelte e nella disposizione tattica che in un momento delicato come quello attuale, sono almeno 7 le assenze pesanti, sarebbe stata opportuna rivedere. Pirlo, che da neofita era impensabile non sbagliasse, doveva continuare a farlo inseguendo le sue idee, invece ha scelto la strada peggiore: sbagliare snaturando se stesso.
Ora la Juventus dopo una decade si trova in una posizione di classifica a cui non era più abituata e tanta parte della tifoseria mugugna anche perché spesso lo fa da ingrata. I cicli hanno un inizio ed una fine e prima o poi arriverà il giorno in cui staremo a guardare gli altri festeggiare, ascolteremo i clacson festanti dei vincitori e probabilmente lì capiremo meglio questi 9 anni di successi in fila quale enormità hanno rappresentato per chi doveva subire la Juventus Campione. Ricostruire significa anche saper accettare questo, accettare di non vincere per ripartire subito l’anno seguente avendo gettato le basi. Ma devi avere il coraggio di rischiare inseguendo le tue idee perché se ti volti in panchina e hai un Nicolò Fagioli, classe 2001, giovane rampante e con caratteristiche che farebbero al caso tuo e guardi in campo e ti accorgi di aver schierato contemporaneamente Bernardeschi, Rabiot e Ramsey e non hai il coraggio di cambiare, allora caro Pirlo, sappi che le tue certezze, il tuo entusiasmo e le tue idee sono naufragate ancor prima che tu possa esser Maestro anche in panchina.
Mancano 14 giornate alla fine, 15 per la Juventus che dovrà recuperare il famoso match di andata contro il Napoli e in teoria i giochi sono ancora tutti aperti. Questo non per farci illusioni, ma perché Pirlo ha tutto il tempo per riprendere la rotta giusta, programmare, impostare e portare avanti le proprie idee. C’è una Juventus giovane che stava nascendo, che ha l’obbligo di centrare la qualificazione Champions, che ha già vinto il primo trofeo stagionale con la Supercoppa italiana (che non conta solo quando è la Juve a vincerlo) e che dovrà giocarsi la Coppa Italia in un’interessantissima sfida di finale contro l’Atalanta.
Tutto questo per un allenatore che da giocatore chiamavano Maestro potrebbe essere un buon viatico per una luminosa carriera. Una carriera da costruirsi inseguendo le proprie idee.
FONTE: IL BLOG DI LUCA GRAMELLINI
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