a cura di Salvatore Alfieri
Non è passata in osservata, lunedì 2 agosto a Firenze, verso le 11 del mattino, la performance organizzata dai ragazzi del collettivo “Entropia” a Firenze. Ma cos’ha spinto a Firenze, un gruppo di giovani artisti (Corso Zucconi, Gianluca Braccini, Claudia Di Francesco) già reduci da alcune esperienze sperimentali particolarmente immersive e socialmente complesse, a prendere dei gessetti in mano per un flash mob assolutamente semplice e alla portata di tutti? E’ in che cosa consiste il tutto? Colorare. Colorare sfruttando le tipiche pietre del centro storico fiorentino, il manto stradale di via Sguazza, stretta e piccola stradina (100 metri di lunghezza x 3,50 di larghezza) dell’Oltrarno, quartiere che ancora conserva una propria particolarissima identità. Crocevia di strade e di piazze, vissuto da clochard bohemien, da musicisti di mezza età di talento alcolizzati che suonano e s’intrecciano con un pubblico fatto da studenti stranieri, l’orefice ambulante e la catechista stitica di nobile famiglia forgiano ogni settimana in queste vie una piccola ed intensa visita spesso piena di fantasia e pregiudizi. Questo piccolo mondo di antiquari, barbieri, cantanti di strada, ragazzine dai capelli fluo con le glove, mani sfregiate dal lavoro, bocche piene di note, rimpianti e pochi denti e amori di una vita o di una notte ricamati sugli scalini di pietra di Santo Spirito, discorsi infiniti su quanto è bello e/o deprimente essere giovani 35enni con idee artistiche abuliche o vecchi 28enni fuori corso che fanno filosofia da piazza (che è sempre la migliore o per lo meno quella che più arriva e prima sfiorisce), mercati di ecologisti ribelli e alberghi popolari; sta velocemente scomparendo. Come una lunga e triste favola neorealista quasi al termine, l’Oltrano sta svanendo. Il finale del suo racconto secolare si svolge in leggeri sussurri, tenuti quasi nascosti, come se chi ha vissuto, si vergognasse di continuare a narrare, anche se con gli occhi ancora pieni di meraviglia, come se stesse bisbigliando qualcosa di grosso sfuggito da flebile labbra ma che la luce degli occhi arricchisce ogni giorno. Questo mondo, il mondo di Guenda, Alessandro, Corso, Margherita, Giacomo, Simone, Andres, il mondo delle figlie e dei figli di Santo Spirito è in pericolo, arginato e combattuto perché incompreso. Perché è folle e libero, triste nella follia e nella libertà, felice nella follia e nella libertà. La libertà espressiva di cui il quartiere si fa carico. L’espressività nel vestire, nel parlare, negli atteggiamenti di cui è laboratorio umano. La ricchezza e la varietà antropologica che da decenni lo abita e lo illumina. Tutto questo è in pericolo. Un piccolo mondo che man mano è sempre più spoglio della sua magia e si avvicina ad un’idea di città borghese. Così Oltrarno si è fatto sentire, i figli del quartiere si sono fatti sentire in modo spontaneo e naturale, come i salmoni che istintivamente risalgono il fiume, facendo quello che sempre erano abituati a fare, parlare, ridere, cantare, suonare, ballare. Ovviamente sono stati visti come vandali dai giornalisti locali, povera ignoranza. È stato interessante oltretutto vedere con quanta facilità sia stata deformata o riportata parzialmente la realtà dei fatti.
“Oltre tutto vorrei aggiungere che sono passato mesi, ho fatto decine di chiamate e mail ai vari uffici per l’occupazione del suolo pubblico.” ha dichiarato Corso Zucconi. Aggiunge anche “Uffici che tra l’altro sono aperti due mattine a settimana e con una scarsa efficienza e grande mancanza di risposta nella richiesta di poter svolgere questa performance dei gessetti che prima volevamo fare in piazza Santo Spirito, poi abbassando il tiro, in una stradina dell’Oltrarno. Ed è stato triste ed esilarante al tempo stesso vedersi passare la patata bollente dei gessetti colorati da un ufficio all’altro, senza risolvere alcunché. Alla fine ho deciso di agire e di fare a modo mio.”
Guarda il video della performance su Youtube:
E difatti, grazie alla volontà di ragazze e ragazzi che hanno risposto ala chiamata, chi con i figli e chi con gli amici, ma anche numerosi passanti, stranieri e non, incantati nel vedere la strada prendere colore sotto i loro occhi e le loro mani, è stata una gioia immensa. Il potenziale di quest’azione artistica risiede nella sua semplicità disarmante: chiunque può tenere in mano un gessetto, anziani o bambini. Non è necessaria alcuna padronanza tecnica. Tutto questo è efficace nella sua forza infantile, semplice ed immensa, perché è fatta dalla comunità, dalla comunità per la comunità, poiché è realizzata in strada, sul suolo pubblico, lo spazio dove la comunità vive e si incontra. Proprio la sua a-concettualità la rende per tutti e di tutti, ognuno vi partecipa, sperimentando nell’immersione del colore, nell’infanzia, il ritrovamento della gioia e della fantasia. Attuare quindi un’azione del genere, in una città come Firenze, simbolo mondiale dei benefici e dei costi del turismo di massa, città tutto sommato fortemente borghese e quindi individualista, (l’individualismo del fiorentino precede di gran lunga la nascita della borghesia), caratterizzata da enormi vincoli architettonici e paesaggistici e da una non indifferente avversione al dinamismo e alla sperimentazione (alla quale consegue di fatto l’emarginazione dei giovani) diviene quanto mai necessario. Libertà, comunità e colore sono le categorie che vengono espresse quasi nella loro metafisica purezza, spogliate da intrecci plastici o riferimenti simbolici, e sarà proprio intorno alla promozione o meno di queste tre categorie e al dialogo tra di esse che si deciderà il destino di Firenze e dei fiorentini.