Articolo di Adriana La Trecchia Scola
L’ attuale compagine di governo si trova ad ogni ricorrenza (adesso il 25 aprile) nella difficile situazione di conciliare i doveri istituzionali con le posizioni ideologiche del suo elettorato. In realtà questa tensione non sembra logorare più di tanto la coalizione, nonostante l’ opposizione (risicata) cerchi di far leva sul tema dell’ antifascismo. Infatti il partito prevalente del governo (Fdi) non smette di ribadire la vittoria, rivendicando la sindrome di underdog (lo sfavorito) con orgoglio. Questi atteggiamenti che non esprimono serietà e responsabilità, dimostrano come è sempre complicato fare pace con il proprio passato. Per riuscire a stare al mondo bisogna superare il desiderio dell’ assoluto da un lato, la consapevolezza di non poterlo raggiungere dall’ altro: perchè la cosa importante è l’ equilibrio. Un formidabile perdente, ma sarebbe meglio dire un outsider, Wyndham Lewis ha detto una frase fulminante “c’è un unico nemico. Noi stessi”. Nelle epoche di transizione chi non si adegua è apparentemente uno sconfitto, al contrario si può considerare un eroe chi è così interessato a non tradire se stesso piuttosto che essere falso. A livello pop (di popular culture) gli stessi concetti li esprime l’ allenatore della Juventus, Massimiliano Allegri; secondo il quale le cose di una volta “non sono tutte da buttare” e “La vita e il calcio sono simili: è tutto una questione di equilibrio”. L’ equilibrio è il contrario del dogmatismo, ossia dell’ idea assoluta a cui si deve conformare per forza la realtà. Al contrario la teoria deve adattarsi di volta in volta alla pratica, diventando così rivoluzionaria ed eclettica. Nel calcio di oggi, come nel mondo attuale, si è affermato un pensiero unico tecnico e scientifico inconfutabile. In nome di questo taumaturgico progresso si annullano le differenze locali, in quanto portatrici di caos in un ordine artificiale. Invece l’ allenatore Allegri, cercando di reinventarsi in base alle variabili del momento, è riuscito nel caos a creare una stabilità. Infatti non c’è una regola in sè che bisogna seguire come fosse un dogma inoppugnabile, ma partendo da un’ idea si deve svilupparla sui molteplici fattori presenti. L’ Italia di solito è considerata un paese cialtrone, di certo non affidabile e produttivo. Gli stessi Italiani hanno una patologica esterofilia verso il progresso d’ oltralpe, d’ oltremanica o d’ oltreoceano per cui si sentono irrimediabilmente inferiori. Però il vero genio italico è l’ ecclettismo intelligente, che significa sapersi adattare anche con creatività e quindi non affondare mai. La storia conferma che l’ italiano è refrattario alle regole in quanto individualista e menefreghista; secondo Giuseppe Prezzolini è anarchico ma conservatore. Del resto il “Prezzo”, definito “uno scorretto per antonomasia, un non buonista d’ antan. E soprattutto uno scomodissimo irregolare e nello stesso tempo un grande curioso”, è autore di diari ma anche di aforismi anti-italiani scritti per amore dell’ Italia, la cui lettura andrebbe imposta ai politici odierni. Il “Prezzo” sapeva che far politica significa sporcarsi le mani, per cui “chi non è capace di mentire, di imbrogliare, di sottintendere, di far l’ istrione ecc. fa meglio a scegliere un altro mestiere”. Purtroppo il “carattere nazionale” capace sempre di reinventarsi, spesso vuol dire riciclarsi. Prezzolini era estraneo a questo aspetto, anzi lui non voleva essere italiano. Così “io non posso essere con il Fascismo trionfante quando non ci fui quando il Fascismo era pericoloso, e non posso stare, oltre che per questa elementara dignità, anche perchè non ne sento la retorica. Il mio ideale per la nazione mia, come per le altre, non è quello Fascista”. Sul Fascismo scrisse: ” Una cosa è ferma: si può dire molto male del Fascismo e di Mussolini; ma chi ne dice male deve sempre ricordarsi che non avrebbero avuto il buon successo che ebbero per ventidue anni, se non avessero trovato l’ appoggio, l’ entusiasmo, le imitazioni, la complicità e il benestare, almeno a segni e parole, del popolo italiano. Il Fascismo fu una situazione storica che il popolo italiano, salvo eccezioni, tutto quanto, plebe e magnati, clero e laici, esercito e università, capitale e provincia, industriali e commercianti e agricoltori fecero propria, nutrirono col proprio consenso ed applauso, e che, se fosse continuato oggi essi continuerebbero ad applaudire e a sostenere”. Difficile trovare per il carattere italiano una categoria più attraente e multifuzionale di quella “anarchica”: capace di restituire una dimensione anticonformista e libertaria a caratteri e atteggiamenti orgogliosamente individualisti. Il popolo italiano è anarchico nel senso di incapace di “fare sistema”, abituato nei secoli ad arrangiarsi in proprio e tradizionalmente sprovvisto di memoria, composto com’è (dixit il Prezzo) solo da “contemporanei”, senza antenati nè posteri. In pratica l’ anarchico italiano si muove in una dimensione sferzante ma autoassolutoria, perchè non avere nè antenati nè posteri significa sentirsi liberi da obblighi e doveri nei confronti sia di chi ci ha preceduto, sia di chi verrà dopo. Essere inclassificabili, senza etichette, nel caso italiano può diventare trasformismo, banderuola al vento. Invece l’ essenza e anche il bello degli eccentrici consiste nel mantenere fede a se stessi, non cercando di avere successo fingendosi qualcun altro. Nell’ epoca del pensiero unico, globalista, digitale e smart non servono giravolte azzardate per allinearsi (provincialmente) a quello che è la negazione delle proprie radici. Bensì occorre la memoria del passato per elaborare il futuro.