A pochi giorni dall’entrata in vigore dell’obbligo di fatturazione elettronica, la vicenda sembra quasi irrimediabilmente nelle mani del Magistrato, che è stato già interessato con esiti al momento non risolutivi.
Il macigno messo sulla strada della e-fattura è il provvedimento del Garante della Privacy del 15 novembre scorso. In esso, si faceva rilevare l’esistenza di un “…rischio elevato per i diritti e le libertà degli interessati, comportando un trattamento sistematico, generalizzato e di dettaglio di dati personali su larga scala, potenzialmente relativo ad ogni aspetto della vita quotidiana dell’intera popolazione, sproporzionato rispetto all’obiettivo di interesse pubblico, pur legittimo, perseguito…”
È stato successivamente attivato un tavolo tecnico tra MEF, Commercialisti, Consulenti del lavoro ed AssoSoftware per rispondere alle criticità sollevate dal Garante ed, all’esito di tale tavolo, è arrivato il Provvedimento del Garante dello scorso 20 dicembre. In esso:
Il giorno successivo, L’Agenzia delle Entrate ha immediatamente adottato un Provvedimento che tiene conto dei suddetti rilievi e si impegna a non memorizzare i dati della fattura elettronica previsti dall’art. 21 lettera g) del DPR 633/1972 (natura, qualita’ e quantita’ dei beni e dei servizi formanti oggetto dell’operazione) ma solo i dati fiscali necessari per i controlli automatizzati. Fatta salva la facoltà del contribuente di richiedere esplicitamente l’adesione al servizio di conservazione sostitutiva.
Ma, e qui viene il bello, l’Agenzia continuerà a memorizzare tali dati fino al prossimo 3 luglio, quando terminerà il periodo transitorio di cui l’Agenzia ha bisogno per di predisporre la funzionalità di adesione al sistema di conservazione sostitutiva e l’ulteriore periodo di 60 giorni concesso al contribuente per aderirvi. Fino a tale data continuerà tutto come prima, i rilievi del Garante resteranno lettera morta e tutti i rischi paventati saranno pienamente effettivi.
Da questa sequenza di atti, emerge la (irrisolvibile) contraddizione di fondo della fattura elettronica. Essa, per definizione, deve contenere dei dati sensibili che però non servono ai fini dei controlli automatizzati. Poiché l’Agenzia (per non parlare delle software house intermediarie) viene giocoforza in possesso di tali, viene costretta dal Garante a distruggerli, offrendo comunque la facoltà al contribuente di poterli consultare e farli conservare dall’Agenzia. In quest’ultimo caso, assumendo coscientemente il rischio di violazione dei dati sensibili.
Ma, distruggendo i dati relativi a natura, qualità e quantità dei beni i servizi fatturati, l’Agenzia si ritrova a disporre, sostanzialmente, degli stessi dati di cui già disponeva con lo spesometro. L’unica differenza è che diventa uno spesometro in tempo reale. Ma a cosa serve il tempo reale, se i controlli automatizzati non possono partire prima del fatidico 16 del mese in cui arriva l’F24 con i versamenti, e solo in quel momento è possibile rilevare le eventuali incongruenze?
In sostanza, la montagna della fattura elettronica (con tutto l’enorme dispendio di tempo e denaro), dopo l’intervento del Garante, ha partorito il topolino dello spesometro in tempo reale. Strumento che, con frequenza trimestrale, c’era già e garantiva un’efficacia anche maggiore della e-fattura in termini di gettito e lotta all’evasione. Un ‘capolavoro’ i cui nefasti effetti si manifesteranno in pieno nei primi mesi del 2019.
Giuseppe Liturri @giuslit su startmag.it
Una battaglia di Libertà
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È inutile, dannosa e controproducente.