Di Adriana La Trecchia Scola
Con quella lucidita’ tipicamente francese Marguerite Yourcenar scriveva il 22 dicembre 1976 su Le Figaro:”La stagione dei Natali commercializzati e’ prossima.Per quasi tutti-a parte i miserabili che costituiscono masse di eccezioni-il Natale e’ una sosta calda e luminosa nel grigiore dell’ inverno.Per la maggior parte degli odierni celebranti,la Grande festa cristiana si riduce a due riti:comprare,in modo piu’ o meno obbligativo,oggetti utili o meno,e ingozzarsi,o ingozzare le persone della propria stretta cerchia,in un inestricabile miscuglio di sentimenti in cui entrano in parti uguali il desiderio di far piacere,l’ ostentazione,e il bisogno di spassarsela a propria volta un poco.E non dimentichiamo,simboli antichissimi della perennita’ del mondo vegetale,gli abeti sempreverdi tagliati nel bosco e che finiscono di morire nel calore della nafta e le funivie che scaricano gli sciatori sulla neve inviolata.
Pur non essendo cattolica (se non per nascita e tradizione),ne’ protestante (se non per alcune letture e per l’ influenza di alcuni grandi esempi),e neppure veramente cristiana nel senso pieno del termine,non sono per questo meno portata a celebrare questa festa cosi’ ricca di significati,col suo corteo di feste minori,San Nicola e Santa Lucia,che sono feste nordiche,la Candelora e l’ Epifania.Ma limitiamoci al Natale,una festa che e’ di tutti.Si tratta di una nascita,e di una nascita come dovrebbero sempre essere le nascite,quella di un bambino atteso con amore e rispetto,che porta in se’ la speranza del mondo.E’ la festa dei poveri,un’ antica ballata francese presenta Maria e Giuseppe a Betlemme mentre vanno alla ricerca di una locanda alla portata dei loro mezzi,respinti dappertutto per far posto ai clienti piu’ illustri e ricchi,e alla fine insultati da un oste che “odia la povera gente”.E’ la festa degli uomini di buona volonta’,come si affermava con stupenda espressione che in genere non si ritrova piu’,purtroppo,nelle versioni moderne dei Vangeli,della serva sordomuta dei racconti del Medioevo che assiste’ Maria nelle doglie,di Giuseppe che scalda davanti a un misero fuoco i panni del neonato,e dei pastori impregnati del grasso della lana greggia e giudicati degni della visita degli angeli.E’ la festa di una razza troppo spesso disprezzata e perseguitata,dal momento che come bambino ebreo il Neonato del grande mito cristiano appare sulla terra (e uso qui beninteso la parola mito con rispetto,come la usano gli etnologi moderni,e come a significare le grandi verita’ che sono al di sopra di noi e di cui abbiamo bisogno per vivere).
E’ la festa degli animali che partecipano al mistero sacro di questa notte,simbolo mirabile di cui san Francesco,con pochi altri santi,ha avvertito l’ importanza,ma di cui troppi cristiani di taglia comune hanno negletto e trascurato di ispirarsi.E’ la festa della comunita’ umana,poiche’ e’,ovvero lo sara’ tra qualche giorno la festa dei Tre Re di cui la leggenda vuole che uno sia un Nero,a simboleggiare cosi’ tutte le razze della terra che recano al fanciullo la varieta’ dei propri doni.E’ una festa di gioia,ma anche adombrata di patetico,poiche’ il bimbo che si adora sara’ un giorno l’ Uomo dei Dolori.E da ultimo e’ la festa della stessa Terra,che nelle icone dell’ Europa orientale si vede spesso prosternata sulla soglia della grotta ove il bambino ha scelto di nascere,dalla Terra che nel suo procedere supera in questo momento il punto del solstizio d’ inverno e ci transporta tutti verso la primavera.E cio’ spiega perche’,prima che la Chiesa avesse fissato questa data per la nascita del Cristo,essa fosse gia’ ai tempi antichi la festa del Sole.
Si ha l’ impressione che non sia male ricordare queste cose,che tutti sanno,e che tanti di noi dimenticano”.
Ebbene il Natale non e’ per forza quella favoletta buonista,utile al sistema consumista-capitalista,per cui “siamo tutti piu’ buoni”! A parte l’ ipocrisia di prendere a mazzate quotidianamente il prossimo, salvo “ravvedersi” in tempo per i regali e il banchetto:non sta scritto da nessuna parte che dobbiamo seguire i canoni prestabiliti. Il vero canto di natale e’ impersonato dall’ arcigno Ebenezer Scrooge,che difatti e’ il protagonista dell’ omonima opera dickensiana.Tralasciamo il finale edificante,dove tutto si ricompone secondo i dettami moraleggianti della grassa borghesia,l’ atteggiamento iniziale di Scrooge e’,per quanto doloroso,onesto. Perche’ essere obbligati a fare regali,a donare soldi ai piu’ poveri,a mangiare lauti pasti? Siamo sicuri che questo percorso sia volontario e non diretto dal sistema sociale? A questo punto l’ umanita’ non rappresenta l’ individuo con i suoi sentimenti,pensieri,sofferenze;ma l’ insieme delle regole sociali che annientano la possibilita’ di salvezza.Forse oggi sembra anacronistico il concetto di “sacro” tanto siamo immersi in un eterno presente tecno-trans-umano.Ma,al di la’ di un significato religioso,esso rappresenta quel mistero che deve accompagnare la vita umana.Solo riconoscendo le nefandezze intrinseche all’ esistenza che sono senza speranza si puo’ aspirare alla salvezza. Emblematica la vicenda del grande Manzoni:lui,considerato fervente cattolico,fu colpito nel giorno in cui si celebra la nascita del Salvatore da uno straziante lutto,la morte dell’ amata moglie. Tale tragedia porta la fede a vacillare e di questo e’ testimonianza una poesia incompiuta,Il Natale del 1833.Tuttavia Manzoni non cerca di trovare una risposta alla sofferenza,anzi quando giunge al dilemma intellettuale di negare la provvidenza o di accusarla,scopre che anche nel silenzio di Dio vi e’ un disegno provvidenziale,preferendo allora il silenzio. Al contrario un dimenticato scrittore,Mario Pomilio,partendo dal silenzio di Manzoni elabora un breve romanzo,misto di realta’ e finzione,per percorrere la straordinaria vicenda spirituale che si dipana dal lutto. La storia di una coscienza religiosa che scopre le asprezze della fede e la lontananza tra l’ uomo e Dio,quando egli non risponde alle richieste umane,diventa il pretesto per indagare la malinconica certezza dell’ esistenza del male nonostante Dio.La conclusione del libro di Pomilio e’ una specie di assioma consolatorio:”La croce di Dio ha voluto essere il dolore di ciascuno;il dolore di ciascuno e’ la croce di Dio”,per cui se Dio per la salvezza dell’ uomo ha dovuto pagare il prezzo della sua agonia,allora l’ opera del riscatto continua a passare attraverso la sofferenza.
Di solito gli album di canzoni natalizie sono ricchi di motivi zuccherosi e allegri con un profluvio di campanelle e coretti.Non e’ contemplata l’ opzione riflessiva e instabile in base alla quale non si vuole o non si puo’ piu’ di tanto festeggiare.All’ inizio degli anni sessanta il genere e’ codificato e di successo per cui appare coraggioso e irriverente il disco This time of year di June Christy.Lei era una bravissima cantante jazz californiana,dalla voce calda e quasi ruvida.Il suo unico album di natale non contiene nessun classico natalizio ma solo inediti scritti dalla coppia di marito e moglie,Arnold Miller e Connie Pearce,con gli arrangiamenti perfetti di Pete Rugolo. E’ sbagliato descrivere This time of year come un disco triste dato che e’ una meditazione ironica e con ritmo sul tempo che passa e sulla voglia di ricominciare. Infatti la chiave di lettura e’ nel pezzo finale:”Quando calera’ il sipario su questa notte gelata,ti risveglierai in un mondo tutto nuovo e luminoso,perche’ l’ inverno ha un asso nella manica:la primavera”.