Di Riccardo Rage Gramazio
Impossibile non pensare al country, quando si parla di musica e di Stati Uniti. E’ innegabile, nella mente iniziano a ruotare quelle mitiche fotografie al limite del cliché: far west, fattorie, cowboys, suonatori di banjo e fuochi accesi sotto la luna.
Nato nei primi del ‘900 dalla fusione di tutte le sonorità tradizionali del sud degli States, nel corso del tempo si è trasformato in un vero e proprio mondo.
I nomi più importanti del primissimo periodo furono Jimmie Rodgers, Hank Williams e la Carter Family. Questi artisti contribuirono notevolmente alla crescita del country, influenzando persino giganti come Elvis Presley, Bob Dylan, Johnny Cash e Jerry Lee Lewis. Le canzoni, spesso ballate figlie del folk più puro, raccontavano storie destinate alla gente comune. I principali temi trattati erano l’amore, la vita, la malattia e la povertà. Il country riuscì a ritrarre in maniera semplice e al contempo efficace i costumi e il pensiero dell’epoca. Moltissimi poi i movimenti nati dalla primissima scuola: il bluegrass, il cajun, l’outlaw country o il lubbock sound ideato da Buddy Holly.
Negli anni ‘60 il country cambiò faccia, diventando una vera e propria azienda in grado di muovere milioni e milioni di dollari. La città simbolo di questa sorta di rivoluzione fu Nashville, nel Tennessee, ancora oggi considerata la capitale mondiale del genere e, complessivamente, tra le città più vive e attive a livello musicale.
Il cosiddetto suono di Nashville spinse il tutto verso nuovi confini, raggiungendo un pubblico molto più vasto e soprattutto diverso. I produttori più importanti apportarono diverse modifiche allo stile, inserendo nel quadro elementi tipicamente pop, dando meno spazio ai ricchi assoli e decorando i pezzi con nuovi e accattivanti ornamenti. Interessante fu anche l’utilizzo della steel guitar, che accompagnò con costanza le grandi voci della scena.
La grande industria musicale di Nashville diede nuova vita al country, reggendo alla grande il confronto con la potenza del rock and roll e con la floridezza dell’ondata inglese.
Certo, molti principi e molti aspetti del country originale, quello davvero rurale, erano stati abbandonati o lasciati ai puristi, ma il successo fu sotto gli occhi di tutti. Jim Reeves, Charlie Rich e Patsy Cline sono solo alcuni dei grandi artisti che animarono le scene e che sfornarono singoli a raffica.
In reazione al fenomeno di Nashville, a Bakersfield, in California, si sviluppò un’altra corrente country, più asciutta e un po’ meno vicina al pop. Essenzialità e schiettezza, le parole d’ordine; musica divertente, da ascoltare o da ballare nei locali. Anche questa forma ottenne buonissimi risultati. Il personaggio di punta fu sicuramente Buck Owens, che con i suoi Buckaroos riuscì a piazzare parecchi brani in vetta alle classifiche americane. La scena di Bakersfield pose inoltre le fondamenta del country rock, genere tanto caro, per esempio, a gruppi leggendari come gli Eagles o i Lynyrd Skynyrd. Che dire, formazioni entrate nella Rock and Roll Hall of Fame e che tutti continuiamo ad amare e ad apprezzare.
Tante belle cose, tante interessantissime vicende storiche e culturali.
Per comprendere realmente la magia del country bisognerebbe ovviamente approfondire moltissimi altri aspetti, respirare in maniera profonda le atmosfere che certi ambienti hanno regalato. Sì, e bisognerebbe ripercorrere tappe e strade, varcare le soglie dei locali mitici, ascoltare affascinati le testimonianze di chi ha vissuto in terra americana i ‘60 o i ‘70. Tutto, ne sono certo, avrebbe un sapore incredibilmente nostalgico. E on the road, aggiungerei.
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