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DA ECOLOGISTI A ECOMOSTRI IL PASSO E’ BREVE

Di Carlo Amedeo Coletta

 

 

Ero tra i loro più accaniti difensori. E’ giusto dirlo, è un’onesta premessa e io sono onestissimo. E non me ne vergogno affatto perché ero convinto di aver colto il messaggio, il senso tanto sottile quanto inequivocabile e, nella sostanza, inquietante dei loro gesti. Ero addirittura perplesso per la campagna di demonizzazione a cui erano sottoposti. Una ghigliottina mediatica contro giovani idealisti messi alla gogna per un po’ di minestrina su Van Gogh. Potevo capire una carbonara, ma la minestrina… Tutto per distogliere l’attenzione dal reale motivo delle loro azioni, pregne di significato e senso sociale. Sì, perché dietro alle eclatanti azioni commesse, dietro alle opere d’arte imbrattate con i più disparati preparati alimentari reperibili in commercio, c’era un urlo sociale importante che in pochi, pochissimi, hanno sottolineato e che, con la memoria, mi ha riportato agli anni difficili della guerra alla mafia, quel periodo in cui c’era un attentato al giorno, prima agli Uffizi di Firenze in via dei Georgofili, e poi in altre città d’arte del nostro paese. Allora come adesso, le opere d’arte erano la moneta di scambio ma in ballo c’era ben altro.

Nel 1993, infatti, il messaggio arrivò forte e chiaro a chi di dovere: vediamo di trovare un accordo perché i boss, una volta arrestati, possono essere sostituiti con altri boss. Un’opera d’arte, invece, una volta persa è persa, non torna più, soprattutto se salta in aria con una bomba; se non troviamo un accordo, le facciamo saltare tutte in aria, una a una. E allora cambiò qualcosa, a noi comuni mortali non è dato sapere cosa, e le bombe smisero di esplodere.

Ecco, siamo nel 2023 e il messaggio dovrebbe essere altrettanto chiaro: ogni opera d’arte è unica, una volta persa è persa. Anche il nostro pianeta è unico, quanto meno è l’unico che abbiamo. Una volta perso, è perso.

Modalità e messaggio, se spiegati per bene, hanno un senso profondo, sono un allarme efficace.

E qui la riflessione dovrebbe prendere due strade: una per domandarsi la ragione per cui se ne parli sempre con leggerezza e superficialità. Un’altra, invece, allo scopo di provare a spiegare la deriva che questo movimento ambientalista sta prendendo negli ultimi tempi, banalizzandosi da sé e imbrattando, per esempio, il portone del Senato.

Ragionando sulla prima strada e sul modo in cui la stampa ha affrontato il tema, con voluta superficialità, bè, non ho grandi dubbi: l’ambiente, l’ecologia, tutta bella roba ma, insomma, se la si affrontasse davvero dovremmo cambiare abitudini e nessuno ne ha voglia. La comunicazione di questi anni ne è un chiaro esempio: il pianeta sta male; l’ambiente soffre; questo è il tuo pianeta, salvalo! Chi sta male? Un pianeta. E che pianeta? Il mio pianeta. Mio? E quanto si paga di IMU? No, non è mio, è nostro. E se è nostro vuol dire che è di tutti e se è di tutti, alla fin fine, non è di nessuno. E il pensiero ecologista scivola via. Pensate se la comunicazione di questi anni fosse stata differente, tipo: Tra dieci anni muori. Tu e tutti i tuoi cari e pure quelli che odi. Morti. Se non cambi abitudini sei morto. Ci risentiamo al prossimo piatto di plastica che butti in terra! Ecco, secondo me avrebbe funzionato di più. Tutti ecologisti saremmo diventati! Chè poi, a pensarci bene, già dalle elementari ci hanno insegnato che il pianeta ha subito asteroidi, glaciazioni, eruzioni, terremoti, inversione dei poli! Davvero un po’ di plastica gli può far male? Diciamo la verità: la Terra continuerà la sua straordinaria vita per altri milioni di anni, siamo noi che resteremo sterminati dai nostri rifiuti. Quindi la comunicazione dovrebbe vertere su noi, per essere efficace. Credo.

E come ogni movimento culturale che si rispetti, e qui veniamo alla seconda strada del ragionamento, anche quello dei moderni ecologisti si sta perdendo in mezzo a quei seguaci che, loro per primi, non hanno capito il motivo di gesti così eclatanti. Imparare solo il “come” si fa qualcosa e non il “perché”, rende il gesto vuoto di significato e quindi tanto vale stare fermi, buoni e sorbirsi la minestrina davanti alla Tv invece che lanciarla su un quadro (o meglio, sulla teca di vetro che lo protegge, tra l’altro).

Infine c’è il male del nostro secolo, i social, e tutto diventa magicamente spettacolo, deve essere condiviso altrimenti è come non aver detto o fatto nulla. E così, anche i primi protagonisti di queste insolite dimostrazioni ecologiste hanno dovuto soccombere sotto gli urli e gli strepiti di chi ha trovato un’occasione di visibilità personale in questi gesti. Non è più l’ambiente a essere protagonista ma l’egocentrico di turno. E tutto si svilisce, persino l’obiettivo da imbrattare. Vuoi mettere un Van Gogh con la porta del Senato?

E niente, gira che ti rigira, mi hanno tolto anche la voglia di difendere ciò che è diventato indifendibile. Eppure ci avevo creduto, mi ero sentito vicino a questi poeti moderni dell’ambiente. E adesso ne sto volentieri lontano, come da quelle villette abusive costruite negli anni sul litorale di molte zone balneari e lasciate a metà. Proprio vero, da ecologista a ecomostro il passo è breve.

C.C.A

P.s: Qui sotto avete tutto lo spazio per dire la Vostra. L’intento dell’editoriale è offrire una possibile chiave di lettura di un argomento attuale. E’ solo una delle tante chiavi e saremmo felici di conoscere la Vostra. Commentate e, se vi piace, condividete!

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