Il padre George, la mamma Beatrice e la sorella Fabiana sono nati a Buenos Aires; David, invece, nasce a Rouen, in Francia, il 15 ottobre 1977. Il papà, che è stato giocatore professionista, ha militato per quattro stagioni nel Rouen; poi, scaduto il contratto, ha riportato tutta la famiglia in Argentina. Trézéguet cresce nelle giovanili del Platense. All’età di diciassette anni, è chiamato in Francia dal Monaco. «È stato Jean Tigana a scoprirmi e, ritrovarmelo come allenatore, è stato un onore per me. Era uno a cui piaceva il bel calcio ed io mi sono adattato subito al suo sistema di gioco, alla sua mentalità. Al Monaco, però, avevo diciassette anni, mi allenavo con la prima squadra e poi, magari, al sabato andavo in panchina con la prima squadra e la domenica tornavo a giocare con la Primavera».
Inizia nel 1995-96 con quattro presenze, prosegue nel 1996-97 con cinque ed esplode nel 1997-98, anno Mundial, con diciotto goal in ventisette partite. Possiede tutte le doti del vero attaccante: controllo, lucidità e senso del goal; fortissimo di testa, calcia indifferentemente con entrambi i piedi. Nell’anno d’oro, il giovane bomber del Monaco segna una tripletta e quattro doppiette. Vince uno scudetto e, con la Nazionale Under 21 francese, diventa Campione d’Europa. Arriva, inevitabilmente, la prima convocazione in Nazionale. L’ex bianconero Didier Deschamps è il suo sponsor più convinto: «Trézéguet ha delle qualità incredibili, in area possiede una freddezza inconsueta. Sarà un grande attaccante».
Debutta il 28 gennaio 1998 contro la Spagna allo Stade de France, venti minuti al posto di Guivarc’h, il cannoniere dell’Auxerre: «Ho fatto il mio esordio contro la Spagna, sono entrato venti minuti. In otto mesi sono rientrato anche tra i convocati della Nazionale dei Mondiali 1998. È stata dura fino alla fine, perché la lista era composta da ventotto giocatori e poi cinque non sono stati scelti dal Mister. Un colpo duro per quelli che sono andati via, penso che non sia semplice per nessuno. Ho fatto parte di quel gruppo che ha fatto la storia: il Mondiale vinto in Francia, dopo la finale vedere due milioni di persone tutte insieme, senza dimenticarci che la Francia è un posto più particolare, a livello di razzismo, e veder tutti uniti penso sia stata una grandissima vittoria per tutta la Francia».
Dopo i Mondiali del 1998, con i francesi Campioni del Mondo, la carriera di Trézéguet prosegue ancora nel segno del Monaco: trenta presenze e ventidue goal nel 1999-2000, mettono in moto i grandi club italiani. Il padre, che gli fa da procuratore, riceve una timida offerta dal Milan che Campora, presidente del Monaco, non ritiene degna di attenzione.
A questo punto, però, l’Italia è entrata nel cuore e nella testa di David. L’amico Candela gli racconta un paese splendido, un football frequentato dai migliori calciatori del mondo e tante belle donne disposte a concedersi un capriccio con il bomber da copertina. L’ex ragazzo del Platense sogna; quando Candela gli dice che in Italia si giocano partite di campionato di fronte a 50-60.000 spettatori gli si illumina il volto, stenta a crederci, poiché sugli spalti del Monaco non ha mai visto più di 3.000 anime.
Così, inizia a fare delle pubbliche relazioni a mezzo stampa; dice di ammirare Ronaldo e Totti e che il suo modello è Batistuta: «Sono cresciuto con l’immagine di Maradona, i miei primi ricordi sono stati i Mondiali del 1986 in Messico; però devo dire che per il mio posto sicuramente è stato Batistuta quello che mi piaceva di più, perché era un attaccante molto forte, aveva l’immagine del giocatore bello da vedere. Parlando calcisticamente, la cosa più bella che mi è capitata è stato ritrovarlo, lui nella Roma ed io nella Juventus; è stato un momento bello da ricordare perché negli anni passati stavo a guardarlo davanti alla TV».
Alla fine del campionato 2000 arriva la sorpresa; nel futuro di Trézégol non ci sono né Totti né Batistuta, ma Del Piero e la Juventus. Arriva a Torino con in tasca la fresca medaglia d’oro dell’Europeo (grazie al suo Golden-gol contro l’Italia) e con la benedizione di Zidane, che gli ha assicurato mille assist vincenti. Tuttavia, non gli assicura il posto in squadra Ancelotti, che deve difendere il patrimonio della società Del Piero-Inzaghi: «Sono arrivato a ventidue anni in mezzo a tanti attaccanti eccezionali, come Del Piero, Inzaghi, Kovačević, Esnaider, Fonseca; l’importante, all’inizio, era cercare di imparare da loro, avere la fiducia dell’allenatore e di tutto il gruppo».
Trézéguet, all’inizio, accetta le decisioni del tecnico, poi comincia a domandarsi il motivo del suo acquisto; insomma, pesta i piedi, ma senza clamorosi capricci. La soluzione ad Ancelotti la offre Inzaghi, che entra in digiuno volontario del goal. Scocca, dunque, l’ora di David. Il campionato 2001 si conclude sotto il segno della Roma ma anche sotto il segno dei goal firmati dal franco argentino. Di testa o di piede, sotto porta oppure in acrobazia, c’è solo l’imbarazzo della scelta. Trentadue presenze, quindici goal è il suo bottino; niente male per un debuttante.
Arriva il campionato 2001-02: «Il momento più bello è stato quando ho vinto il primo scudetto con la Juventus, per com’è venuto, all’ultima giornata, con il sorpasso sull’Inter a Udine, in uno stadio pieno; un traguardo che la squadra non riusciva a raggiungere da alcuni anni. Per me, poi, era stata un’annata molto positiva, avevo segnato tanto vinto la classifica dei cannonieri; un obiettivo che uno juventino non raggiungeva da quasi vent’anni, dai tempi di Platini».
Dalla prima all’ultima partita, i suoi goal sono il viatico della Juventus tenacemente protesa al titolo, che manca da troppo tempo. Sua la micidiale doppietta all’esordio contro il Venezia e sua la rete che, il 5 maggio 2002 a Udine, prepara la grande festa. In tutto, ventiquattro prodezze che ne suggellano il titolo di re dei bomber, con l’appendice di nove goal in Champions League.
Nel 2002-03 vince la Supercoppa Italiana da spettatore, perché infortunato e un altro scudetto. È una stagione sfortunata, David è spesso in infermeria, ma ciò non gli impedisce di segnare nove reti in campionato e quattro in Champions League, di cui due nelle due semifinali contro il Real Madrid. La finale di Manchester contro il Milan non regala gioia; dopo una prestazione incolore, Trézéguet si fa parare il suo rigore da Dida e manca, in questo modo, l’appuntamento con la “Coppa dalle grandi orecchie”.
Nel campionato 2003-04 vince un’altra Supercoppa Italiana; la finale si disputa a New York contro il Milan; la gara si decide nuovamente ai rigori dopo che il suo goal aveva salvato la Juventus. Anche questa stagione è caratterizzata dagli infortuni e per la Juventus piena di delusioni; fuori agli ottavi di finale di Champions League, il terzo posto in Serie A è il massimo che riesce ad ottenere.
Nell’estate del 2004 sembra che debba lasciare la Juventus, ma il nuovo allenatore, Fabio Capello lo convince a rimanere. Un infortunio alla spalla lo tiene lontano dai campi di gioco, ma non fa mancare il suo contributo. Tra i suoi quattordici goal, da ricordare quello in rovesciata al Real Madrid negli ottavi di finale di Champions League e quello di testa rifilato al Milan a San Siro, su assist di Del Piero in rovesciata, che consegna lo scudetto alla “Vecchia Signora”.
«Le due reti con il Real Madrid le ricordo per la bellezza, e poi perché il Real Madrid è sempre stata la squadra da battere. Avevamo davanti giocatori come Figo, Ronaldo, Zidane e noi, con le nostre armi, siamo riusciti a fare due partite di un livello straordinario; ho avuto la possibilità di segnare sia all’andata che al ritorno e, per questo, quella con il Real rimane una delle più belle partite della mia carriera. Mi ha deluso tantissimo la finale di Manchester; era quello che ci chiedevano tutti i tifosi, è il mio più grosso rammarico fino a oggi. Mentalmente mi sono detto: ritornerò a giocare una finale. In realtà non ci sono più tornato e, con il tempo, sta diventando un peso, perché la Champions è la competizione più bella, in cui giocano le squadre più forti. Quell’anno, abbiamo vinto il campionato con quasi venti punti in più del Milan e non è vero che il Milan aveva più fame di noi; il Milan non meritava più di noi. Purtroppo i rigori sono una questione anche di fortuna. Io ho tirato, ho sbagliato e mi sono preso le mie responsabilità, ma quello penso che faccia parte del calcio. Ho più rammarico di avere sbagliato questo rigore rispetto a quello del Mondiale, perché questa squadra la sento mia, qui ho vissuto i momenti più belli e più brutti di questa società e, quindi, spero di poter arrivare a disputare un’altra finale di Champions. E se ci sarà un rigore, lo tirerò di nuovo, perché per me sarà una rivincita».
Trézéguet disputa un’altra ottima stagione nel 2005-06; segna ventinove reti e vince l’ennesimo scudetto; le delusioni, come al solito, arrivano dalla Champions League. La Juventus è eliminata dall’Arsenal ai quarti di finale e subisce una violenta contestazione da parte dei propri tifosi. A Bruges, nella partita di Champions, Trézéguet realizza il centesimo goal con la maglia bianconera per poi diventare il miglior bomber straniero nella storia della Juventus, superando tre monumenti del passato bianconero, come Platini, Charles e John Hansen.
Quell’estate, vola in Germania, per disputare i Mondiali; a causa di forti incomprensioni con l’allenatore Raymond Domenech, disputa solamente due partite. Entrato all’undicesimo minuto del primo tempo supplementare della finale contro l’Italia, è tra i rigoristi della partita; il suo tiro colpisce la traversa della porta dell’amico Buffon e la Francia deve dire addio a sogni di gloria: «Ho vissuto un Mondiale molto difficile, perché erano sempre gli stessi undici che giocavano e gli altri erano da parte. Io ho la visione di gruppo diversa; se un gruppo è composto da ventitré giocatori, l’allenatore deve stare più attento a quelli che non giocano. E, in Germania, non era così. Sono dispiaciuto per i miei compagni per il rigore sbagliato. Personalmente, niente di più e niente di meno. È stato, per me, un Mondiale negativo dall’inizio alla fine. Ero dispiaciuto per quei giocatori che erano sempre in campo. Non ho mai sentito la fiducia nei miei confronti e in campo si è anche visto; però, sono rimasto sempre tranquillo perché ho sempre dato il massimo per la Nazionale».
Nonostante la retrocessione in Serie B della Juventus, decide di rimanere a Torino; affitta un palco dello stadio Olimpico, per permettere alla propria famiglia di assistere a tutte le partite casalinghe della squadra bianconera: «Le motivazioni erano poche per me come per gli altri, per la società stessa e per i tifosi. Nessuno meritava di disputare un campionato di Serie B. Però, ci siamo trovati in quella situazione, calcisticamente non è stata un’esperienza né positiva, né negativa. Ci siamo ritrovati dei giovani che l’anno prima erano in Primavera. Abbiamo creato un gruppo molto più umano, perché le aspettative erano diverse; la cosa positiva è che siamo risaliti subito in Serie A».
Non è una grande stagione per David; non sempre riesce a trovare gli stimoli necessari e il suo score è di quindici reti in trentadue partite. Nell’ultima partita stagionale, contro lo Spezia, si rende autore di un gesto polemico verso la società; segnato il goal del momentaneo pareggio, si volta verso la tribuna e, con le mani, fa un gesto che significa: «Ho segnato quindici goal e mi volete mandare via!»
Tutto presuppone che David debba lasciare la Juventus, ma la società, il 25 giugno 2007 la Juventus annuncia il prolungamento del contratto dell’attaccante francese, fino al 30 giugno 2011. Le prime parole dopo la firma sono state: «Ho fatto una scelta decisiva per la mia carriera e per la mia vita». Quasi a confermare queste parole, nella stagione che segna il ritorno in Serie A della Juventus, David mette a segno venti reti, sfiorando la vittoria nella classifica cannonieri, preceduto solamente da Del Piero.
La stagione 2008-09, invece, sarà molto avara di soddisfazioni; causa problemi fisici, David totalizza solamente quindici presenze, saltando quasi tutto il campionato e la Champions League. Anche il bottino delle reti ne risente pesantemente, tanto è vero che riesce a mettere il pallone dentro la rete solamente una volta, contro il Palermo. Per uno come lui, che è abituato a essere sempre in doppia cifra, è un vero e proprio evento: «Non è stato un anno molto positivo per me, soprattutto per via dell’infortunio che mi ha costretto all’operazione, ma per fortuna adesso mi sento molto bene. Poi nella seconda parte del campionato ho avuto qual che problema con Ranieri, che non mi faceva giocare. L’unico aspetto positivo è che ho recuperato alla grande e ora ho tanta voglia di giocare, se non alla Juve in qualche altra squadra che mi dia la possibilità di essere protagonista».
Nonostante queste dichiarazioni, David si presenta puntualmente al ritiro a Vinovo; ma il 3 settembre 2009 rilascia un clamoroso annuncio: «È un anno importante per me, mi piacerebbe finire con una vittoria. Ho deciso di concludere la mia avventura con la Juventus a giugno, ne ho parlato prima con la mia famiglia e abbiamo deciso di tornare a casa. Francia oppure Argentina? Ancora non lo so, dopo dieci anni qui alla Juventus ho fatto la mia storia e credo sia arrivato il momento giusto di lasciare. Il contratto non è un problema, Ciro Ferrara è già al corrente della mia scelta. Nessuno mi ha chiesto di andare via, è una decisione che ho maturato da qualche tempo, mi piacerebbe uscire di scena con un titolo in tasca».
Ma la vita riserva sempre delle sorprese. Basta un goal all’Olimpico di Roma contro la Lazio, per far vacillare David: «È vero, nella mia testa sono cambiate tante cose. È bastato veder rotolare la palla in rete per capire che forse non voglio più cambiare squadra. Sto valutando se non sia meglio, sicuramente più bello, chiudere la carriera qui alla Juventus. Ne ho parlato anche con Alessandro Del Piero. Mi hanno veramente emozionato i miei compagni. Ho rivisto il tutto in televisione, erano più contenti loro che il sottoscritto. Li ho ringraziati a uno a uno, mi hanno fatto sentire veramente importante per questo gruppo».
David ritrova d’incanto la via del goal: segna contro il Genoa, il Bologna, la Sampdoria, il Napoli, l’Atalanta, il Bari. Realizza anche l’inutile rete contro il Bayern, nella partita che costa l’eliminazione dalla Champions League della Juventus. Anche contro il Fulham, in Europa League, il suo goal in apertura non riesce a evitare l’eliminazione della squadra bianconera, con Zaccheroni in panchina al posto di Ciro Ferrara.
Quella che si conclude è l’ultima stagione di David Trézéguet con la Juventus. Infatti, il 21 agosto 2010 arriva la conferma del suo trasferimento alla squadra spagnola dell’Hercules Alicante, città di origine della moglie. Trézégol si toglie, dopo dieci stagioni, la maglia numero diciassette bianconera.
I suoi numeri: 320 presenze, 171 goal (miglior marcatore straniero della storia), quattro scudetti e una Supercoppa Italiana.
«Dieci anni nella Juve, è stata una grande storia d’amore. Io David Trézéguet resterò per sempre tifoso della Juve. Anzi, il giorno in cui la squadra bianconera vincerà lo scudetto andrò a Torino e chiederò alla famiglia Agnelli di inventare una maglia con la terza stella. E sarò il primo a indossarla. I due titoli che ci hanno tolto sono stati una clamorosa ingiustizia. Lo penso io, lo pensa chi ama la Juve, ma ne sono convinti anche i giocatori dell’Inter con i quali ho parlato. L’ultima Juve riparte quasi da zero. Una scelta coraggiosa. Però bisogna avere il coraggio di dire alla gente bianconera che ci vorrà un po’ di tempo per tornare a essere la squadra da battere. Da amico della Juve penso che sarebbe bellissimo riconquistare la Champions e centrare l’Europa League. Sarebbe una stagione da dieci. Lo scudetto è pane per Inter e Milan. È bello vedere Andrea Agnelli presidente. Io sono cresciuto nel mito dell’Avvocato. Quando veniva al campo eravamo tutti imbambolati. Come se lui avesse vinto dieci mondiali, dieci Champions, dieci scudetti. Andrea Agnelli dovrà ricreare la stessa magia con i più giovani. La mia più bella vittoria nei miei dieci anni in bianconero è stata la promozione dalla B alla A. Una fantastica esperienza di vita. I tifosi ci consideravano degli eroi perché avevamo scelto di restare. Si sentiva stima, amore. E intorno a noi abbiamo visto crescere dei ragazzini che oggi sono dei grandi giocatori. Penso a Chiellini, a Marchisio. Se qualcuno credeva di ammazzare la Juve scaraventandola in Serie B allora ha proprio sbagliato tutto. Quell’esperienza ha reso ancora più grande il mondo Juve».
ANDREA AGNELLI:
«Io sono stato, come tutti i tifosi juventini, legatissimo a David e ai suoi 171 goal in dieci anni. Un giocatore che ha una media di diciassette goal all’anno non ha bisogno di commenti. E’ stata una vera storia d’amore, David rimarrà per sempre nel cuore di tutti noi juventini».
ALESSANDRO DEL PIERO:
Caro David, è arrivato il momento di dirsi ciao. Ho perso il conto delle stagioni che abbiamo giocato insieme e dei goal che abbiamo fatto. Di sicuro, siamo la coppia che ne ha segnati di più nella storia della Juventus, più di Charles e Sivori (due immensi campioni) e questo lo sai bene è un grande orgoglio per entrambi. Quante formazioni in questi anni finivano così: Del Piero e Trézéguet, Trézéguet e Del Piero. Quante vittorie, quante delusioni (per fortuna, molte meno delle soddisfazioni che ci siamo tolti), quanti abbracci: non c’è altro compagno con cui io abbia giocato di più. Diciassette goal all’anno di media, come il tuo numero di maglia: questo basta per dire che bomber sei. Ma per me che ho giocato al tuo fianco, non c’è bisogno di numeri. Ritengo sia stato un onore fare coppia in campo con uno dei più grandi attaccanti del mondo, in assoluto. Adesso le nostre strade si dividono, nel calcio succede. Ti saluterò nello spogliatoio, ma mi fa piacere farlo anche pubblicamente: in bocca al lupo per la tua nuova avventura. Avremo tanti bei ricordi da condividere, la prossima volta che ci vedremo.
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