Articolo di Riccardo Rage Gramazio
Più o meno una trollata, tanto per usare un termine in voga negli ultimi anni e appartenente soprattutto alla comunità online. Metal Machine Music, album di Lou Reed datato 1975, viene ritenuto da molti una sottospecie di burla, di indisponente giochino.
Si sa, molto spesso arte e follia tendono a camminare amorevolmente a braccetto, pronte a partorire prodotti non sempre comprensibili. E il grande leader dei Velvet Underground con gli uragani artistici e i con i viaggi folli ci andava senza ombra di dubbio a nozze. Cosa avesse però davvero in mente ai tempi il cantautore newyorkese non è dato a sapere. In un paio di interviste, il cantante dichiarò addirittura di aver inserito nel progetto riferimenti alla musica classica, roba alla Beethoven e di aver presentato il prodotto alla Red Seal, etichetta specializzata in materia. E qui copierei e incollerei la prima riga di questo articolo.
Ma mettiamo a fuoco il tutto, provando in qualche modo a tradurre il discorso. Il lavoro in questione non è altro che un lungo insieme di distorsioni e di rumorosi effetti di chitarra, diviso in quattro parti da circa sedici minuti l’una. Nulla più e nulla meno. Addirittura, grazie a un particolare accorgimento meccanico, la versione in vinile, con la complicità dell’ultimo solco “ paralizzato”, ha il potere di durare all’infinito.
Pt. 1, Pt.2, Pt.3, Pt.4, questi i titoli delle tracce.
Non c’è ritmo, non c’è melodia e non c’è assolutamente gusto; una produzione sgradevole, claustrofobica, praticamente impossibile da ascoltare interamente in una sola sessione. Provateci, se volete.
Che dire, il disco è considerato da parecchie testate uno dei peggiori lavori di sempre. Un vero paradosso, se pensiamo al livello dell’artista, di colui che sul finire dei sessanta abbozzò il punk, la new wave o l’alternative rock, inserendo sonorità e temi tanto nuovi quanto rimarchevoli.
Non posso certo consigliare l’ascolto e tanto meno l’acquisto di Metal Machine Music, ma posso almeno provare a comprendere meglio una simile accozzaglia di feedback, di riverberi e di fischi elettrici.
Partiamo allora dalla proposta incredibilmente punk. Il livello di provocazione è altissimo perché, come detto, oltre a uno scatolone zeppo di rumori non portiamo a casa nulla. Lou Reed, giusto o meno, mise in bella mostra il dito medio, benedicendo un po’ tutti, fans compresi, rei di partecipare ai concerti esclusivamente per sentire cose come Walk on the Wild Side, Vicious o Perfect Day, i pezzi forti della sua carriera.
Sono d’accordo: l’idea suona come una sorta di strampalata, dissennata e per giunta conscia autodistruzione commerciale. Ciò nonostante il cantautore dichiarò a più riprese di fregarsene altamente del giudizio della gente, del costo dell’album e delle copie rispedite con rabbia al mittente o gettate, chissà, nella bidone dell’immondizia. Lui incideva dischi soltanto per sé stesso, buonanotte e sogni d’oro.
Ecco di conseguenza un’ulteriore chiave di lettura. Forse Metal Machine Music rappresenta la demolizione dell’arte, una visione zuppa di candido nichilismo. E’ un album che non può essere realmente commentato o giudicato, è un palco vuoto, senza sceneggiatura, copione e tanto meno attori. Si parla quasi di nulla espressivo, in fondo. Ma se alla fine molti altri musicisti in giro per il mondo non hanno saputo resistere alla proposta, un dubbio sull’efficacia dell’operazione si fa strada anche dentro me…
Sì, forse è meglio fermarsi qui. Riflettendoci ancora, potrei anche arrivare a definire questo abominevole mostro un capolavoro incompreso.