Nuove live session per la rockband anonima.
Da oggi on line i video di
Still Raining
(“Un brano autobiografico, molto intimo, il resoconto del viaggio della vita”)
e Staring at the sun
(“un canzone sulla teoria della fuga come unica possibilità di protezione dalle trappole dei meccanismi socioculturali della vita contemporanea, dove l’urgenza prima è rimanere normali.”)
Oggi escono due nuove live sessions degli Escape to the roof: si tratta dei brani Still Raining e Staring at the sun estratti dal nuovo album (ascolta album) della rockband i cui componenti hanno deciso di rimanere anonimi (utilizzano nomi di fantasia) e di non divulgare foto (si affidano a bellissime illustrazioni concettuali) per far sì che l’attenzione massima sia posta esclusivamente sulla musica come arte collettiva e sul suo messaggio, per riscoprirne il valore profondo, prendendo in modo netto le distanze su tutto quello che oggi rappresenta la discografia, impermeata di apparenza, di superficialità, di “figurine”.
Still Raining, di cui è disponibile il videoclip ufficiale (guarda video) è un brano autobiografico, molto intimo: “è il resoconto del viaggio della vita fin qui percorso – racconta G.C. Wells, leader della band – al punto in cui per valutare quanta strada e come la si è percorsa, c’è bisogno di spegnere tutti i versi del mondo. Un silenzio profondo, in cui pure il ciarlare del quotidiano è rumore che necessita di essere tagliato perché distorce, imbroglia i pensieri. Abbandonarsi al mantra, quasi per autoipnosi, proiettando all’esterno ogni peso dell’esistenza, alla ricerca di una condizione introspettiva che si trova quando si raggiunge il centro, nel punto che è il più grave, il più profondo possibile, che sta alla base di ogni cosa, affinché sia possibile ascoltare sommessamente il battito più recondito, il pulsare della terra stessa. In equilibrio precario, che anche un battito di ciglia di troppo può rovinare.
Musicalmente, Still Raining, è il brano delle citazioni riverenti, un omaggio devoto e celebrativo ai rock gods degli anni ’70 che molto hanno influenzato la ricerca stilistica di Escape to the Roof. Qui il prog si fa più pronunciato, ma è sempre un ingrediente dosato, come il sale (q.b.), ed è sempre al servizio dell’architettura compositiva, della metrica e della melodia”.
Staring at the Sun, invece, continua la riflessione, cominciata con Nine Rows of Beans, sulla teoria della fuga come unica possibilità di protezione dalle trappole dei meccanismi socioculturali della vita contemporanea, dove l’urgenza primaria è rimanere normali: “viviamo per mantenere intatta la struttura biologica dell’organismo – prosegue – ma per essere, tale struttura, può adoperare il solo mezzo che conosce per natura, ossia rispondere alle necessità urgenti, le pulsioni, in altre parole il principio di piacere, o ricerca dell’equilibrio biologico, una normalità genetica primordiale della struttura vivente stessa. Lo spazio quotidiano in cui agisce l’essere umano è occupato, però, anche dagli altri individui, e questo comporta inevitabilmente lo sviluppo di una scala gerarchica socioculturale di dominanza che non ha propensione alcuna a soddisfare le pulsioni individuali, perché aliena il desiderio individuale al desiderio collettivo. D’altra parte, sottomettersi vuol dire accettare la patologia psicosomatica che deriva dall’impossibilità di agire secondo le pulsioni. Ribellarsi significa il più delle volte rovinarsi con le proprie mani, perché la ribellione, se attuata da un gruppo, ricostituisce subito un’ulteriore scala gerarchica, e la ribellione solitaria porta rapidamente alla soppressione del ribelle da parte della generalità anormale che si crede detentrice della normalità. Non resta che la fuga.
Ci sono diversi modi di fuggire, Nine Rows of Beans, suggeriva una fuga nel mondo dell’immaginazione dove è impossibile essere inseguiti dalla realtà. Staring at the Sun indica un’altra direzione possibile, ossia la fuga che deriva dalla capacità consapevole di non perdere di vista la sorgente principale dell’esistenza. Fissare il Sole, faro essenziale nell’universo esistenziale dell’uomo, è la metafora perfetta di un processo che vuole rompere i limiti di spazio-tempo, superando le barriere fisiche della materia per una nuova trascendenza, a sublimazione dello spirito umano”.
L’album, da cui sono estratti i due brani, tratta i temi più disparati, ma tutti riconducono all’uomo e alla sua molteplice esistenza. Ci sono il profeta, il vagabondo, il mago, il rivoluzionario, il pezzo da novanta e il suo torturatore, l’uomo nero, e molti altri personaggi che vagano in ambientazioni da tessuto suburbano, ora contemporaneo ora distopico. Dieci brani in cui riecheggiano le sonorità degli anni d’oro del rock che seguono un piano narrativo unico, che lo stesso G.C.Wells (voice, guitars) leader della band, formata da Jann Ritzkopf VI, (guitars, soundscapes), Zikiki Jim (bass) e Luis Canemorto (drums), non ha voluto svelare, perché chiarisce: “il filo conduttore è volutamente flebile, cifra stilistica alla quale sono molto affezionato, fin da adolescente sono stato oltremodo attratto dalla poetica ermetica, criptica per raffinatezza. Concetto bellissimo è quello per cui il fruitore, che sia ascoltatore o lettore, deve fare la sua parte per incontrare il poeta/autore, il quale semina tracce da seguire, attraverso la scelta di parole, pause, suoni, dinamiche, ecc., affinché si abbia una profonda e completa compenetrazione emozionale della poetica stessa. Un quadro tridimensionale in cui il gesto alle volte è solo accennato: un suono, un percorso armonico, una parola, tutti segni semantici portatori di un’emotività calcolata a seminare le tracce da seguire.
La band ha scelto l’anonimato, nomi di fantasia, e non vuole rendere pubblica la biografia, le identità. Lo scopo ultimo è fare in modo che chiunque ascolti i singoli o il disco, si concentri il più possibile sulla scrittura, sul messaggio, sulla composizione, sui testi, sulle emozioni, sui temi di questo progetto discografico, in particolare sulle sonorità degli anni d’oro del rock, come atto di una vera “insurrezione”, per riscoprirne il valore profondo: “La storia ci ha insegnato – racconta G.C. Wells, leader della band – che dissociare la biografia dell’autore dall’atto artistico non altera la possibilità di fruire, in tutta la sua potenzialità, il messaggio che da esso deriva, anzi credo sia l’unica cosa rimasta da fare come atto di nuova insurrezione rispetto a quello che ci circonda, così da aiutare l’ascoltatore a individualizzare meglio e a interpretare il messaggio per quello che è oggettivamente.
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