Documentario del 2022 per la regia di Giuseppe Tornatore.
Raccontare Morricone deve essere stata una fatica enorme. Confrontarsi con un gigante di tale portata, ammettiamolo, farebbe tremare le ginocchia a chiunque. Il buon Giuseppe però ha questo enorme senso di riconoscenza che lo sprona, riesce a realizzare per tempo l’omaggio che il Maestro ha meritato da tutta una vita.
Ne esce fuori un ritratto intimo e assai umano, con la luce che il Maestro ritaglia per sé, a sprazzi, e concedendo agli altri la ribalta, presentandosi quasi come un incidente nella storia: l’ambizione della medicina e un padre, musicista, che lo instrada (volendo usare un eufemismo) al conservatorio che frequenterà presso Santa Cecilia e si diplomerà in tromba.
La figura di un altro gigante, Goffredo Petrassi, che lo stesso Morricone si vanterà di aver scelto come maestro, sarà il viatico alla composizione e alla direzione d’orchestra.
Arrangiatore di talento sopraffino farà prestissimo, ed in sordina, il salto che lo porterà al cinema, finendo col firmare più di 500 colonne sonore per il grande e piccolo schermo.
Un rapporto con la settima arte che il musicista, profondamente uomo del suo tempo, vivrà a lungo con il fardello del senso di colpa: lui, di estrazione classica, instradato a partiture di ben altra caratura, che si abbassa alla composizione per musichette da cinematografo.
Inizia addirittura con uno pseudonimo, tanto sarebbe lo scandalo di vedere il nome di un allievo di Petrassi dedicarsi alle vituperate colonne sonore.
E più cerca di sommergere il talento immenso, più quello viene fuori: genio della comunicazione, oltre che del pentagramma, negli anni Sessanta tutti i più grandi interpreti lo vogliono. Realizza arrangiamenti modernissimi per Chet Baker, Paul Anka, Mina e Gianni Morandi e intanto (dal 1960) non smette di comporre per il cinema.
Nel 1964 nasce il GINC (Gruppo di Improvvisazione Nuova Consonanza) insieme, tra gli altri, a Mario Bertoncini e Franco Evangelisti: il gruppo suonerà fino al 1980 e sarà la dimensione sperimentalista del Maestro.
Il ‘64 sarà un anno cruciale nella sua vita: si riunisce col vecchio amico (perché compagni di scuola alle elementari) Sergio Leone, nel frattempo divenuto regista: il sodalizio fra i due inizia con “Per un Pugno di Dollari” e continuerà fino all’ultimo film di Leone, “C’era una volta in America”.
Certo, sarebbe riduttivo definire Morricone la dimensione di Leone e viceversa, ma se doveste far ascoltare un brano del maestro a chi mai l’ha sentito prima, quale brano scegliereste?
I lavori con Leone gli fanno guadagnare, anche in ambito accademico, la stima che fino a quel momento sentiva di non meritare. Gli “spaghetti-western” (e peste colga chi li chiama così) nel mondo li riconoscono dal “fischio”: così è nato il mito di Ennio Morricone.
Tornatore salda il suo debito di riconoscenza, crea un lungo percorso – due ore e mezza, taglio finale – in cui il maestro si racconta e in cui viene raccontato. Davvero impressionante il parterre di ospiti, da Bruce Springsteen a Pat Methney, da Quentin Tarantino ad Oliver Stone passando per Hans Zimmer fino a Nicola Piovani: tutti raccontano, ed il regista è abile a prendere la parte più genuina di ogni singola intervista, l’influenza che il Maestro ha avuto nella loro vita e nella loro arte. Gustarsi la reminiscenza dei Fratelli Taviani mentre raccontano di “Allosanfant” e di come Morricone abbia reso indimenticabile una precisa scena vale il prezzo del biglietto.
[Nota biografica: Morricone e Mastroianni protagonista nel film dei Taviani, sono entrambi originari di Arpino, piccolo comune ciociaro.]
Fortunatamente il documentario non è solo agiografia: lascia davvero tanta parte al protagonista, che a lungo discute di musica, talvolta in maniera abbastanza tecnica, facendo intuire la grande geometria di pensieri alla base della creazione, l’immane logica matematica che sottende la grammatica delle note. La musica è un processo intellettuale e, a sentire parlare lui, sembrerebbe davvero il più alto: la parte più bella di questo documentario, che mette da parte il déjà vu
e sembra quasi un seminario.
Le mani sono le altre grandi protagoniste del lavoro di Tornatore: tutte le descrizioni di Morricone sono accompagnate da un gesticolare meticoloso, da mani che passano ripetutamente davanti al viso come se gli occhi dovessero centrare la prospettiva per guardare attraverso il tempo e lo spazio, come se lo spazio fra le dita fosse lo schermo su cui proiettare le idee proprio come in un film.
La sensazione preponderante è di tenerezza: essere invitati in questa scorribanda fra pietre miliari del cinema mette quasi soggezione. Ciò vale per il maestro, a quanto pare: sembra sempre in procinto di scusarsi, mentre racconta con quanta caparbietà e determinazione ha difeso la sua arte. Schegge di “sindrome dell’impostore” compaiono qua e la ed è continua la ricerca di conferme: strappa il cuore vedere lui, uno dei grandi, commuoversi per le attestazioni di stima, da qualunque fonte provengano.
L’enorme soggetto del documentario spazza via quelle imperfezioni che pur ci sono, relativamente al prodotto in sé. E’ comprensibile la volontà di Tornatore di “farsi da parte” e lasciare pieno spazio al suo protagonista, ma da un regista di questa caratura ci si sarebbe aspettato di più. Morricone lascia fare e credo che solo a Tornatore (e forse a Leone) avrebbe permesso di piazzargli una telecamera in petto per la soggettiva delle mani che accarezzano l’aria e dirigono l’invisibile orchestra. Il regista lo sa e ne approfitta, riproponendo (con tanto mestiere) la breve e bellissima sequenza.
Resta un documentario senza guizzi, opinabile la scelta di lasciare nel metraggio definitivo alcuni interventi dal peso irrisorio o solo accennatamente contestualizzati. Il lavoro di montaggio è straordinario e la ricerca a monte del materiale di repertorio è gigantesca, ma la parte più “pop” del documentario ha il solo compito di appesantirlo senza aggiungere un grammo alla grandezza.
VOTO: Quattro CiaKKini 🎬🎬🎬🎬 al lavoro emozionale di Tornatore, che omaggia la colonna sonora delle nostre vite, dividendo il pubblico fra chi si è commosso fino alle lacrime e chi ha mentito spudoratamente!
Cristiano Dalianera 16/04/2022
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