Teatro

FILTHY SHADES OF… 101 di MsFMaria ~ Keanu

 

 

Di MsFMaria ~ Keanu

 

 

– Ascolta, stanno cercando qualcuno per la rubrica della cultura. Posso fare il tuo nome?

Ecco che la mia mente comincia a vagare in luoghi in cui non deve già da subito. “No, concentrati!”, mi impongo. Tutta di questo mestiere e di questo cervello abituato a spogliare le parole come veli di una bella donna pronta a farti piangere come una cipolla… che razza di paragone sarebbe? Il cervello, come sempre, continua a lavorare e a trovare mille strade da percorrere. Concentriamoci.

– Sì, certo. Anche se non so come posso contribuire. Restringermi a un settore potrebbe significare esaurire subito gli argomenti.

– Parlate e vedete che succede.

Scambio di numeri. Nel frattempo, continuo la mia serata dopo la puntata in radio dove si parla di teatro e Arte a tutto tondo, come una statua. A volte, la cariatide sono io, ma non divaghiamo.

Potenti mezzi della scienza e della tecnica, si entra in contatto con la redazione e ci si presenta: detesto parlare di me, del mio lavoro, delle mie credenziali. Al di fuori non si direbbe poiché dopo anni maturati tra studio, lavoro socialmente accettato e artisticamente poco riconosciuto, impari a “venderti”, non inteso come in quel testo di Renato Zero. Vuoi o non vuoi, in questo mondo attuale, diventiamo tutti un “prodotto” da prospettare: la dura legge dei colloqui di lavoro, delle audizioni, dei progetti già pronti da proporre da cui inizi un rapporto lavorativo… anche quando ti iscrivi a un sito di incontri, trovi quel dannato spazio in cui devi “parlare di te”.

Pertanto, si giunge a quella fase e cerco di rendere la mia presentazione più neutrale possibile per non incorrere nel rischio di avvolgermi in un’aura di divinità tipica di chi lavora nello, per e con lo spettacolo, tuttavia neanche risultato una figura insipida e dai tratti translucenti.

Il guaio è che mi sovvengono già tremila personaggi e tremila immagini al secondo mentre parlo e ascolto: da un lato un detective anni ’30 con un sigaro fumante che irrita gli occhi mentre infila un foglio in una macchina da scrivere dai tasti pesanti riscaldati da una vecchia lampada a tungsteno alla fine della sua vita; dall’altro, Jessica Fletcher con Hercules Poirot, Mrs Marple, il Tenente Colombo e Don Matteo su un improbabile luogo del delitto con il Commissario Montalbano che si afferra i “cosiddetti” perché tutti questi personaggi in un luogo solo è solo sintomo di “Nera signora” di Vecchioniana memoria. Al centro, invece, una vecchia versione di me ai tempi in cui svapavo narghilè in un anacronistico salottino arabeggiante intenta a dire: “Easy, take it easy… breath and relax”… Sta per partire Frankie Goes to Hollywoood

Riprendo il filo dei miei pensieri, chiudendo i molteplici “tab” della mia mente e ritorno alla realtà. Ascolto il messaggio del capo redattore:

– Puoi parlare di quello che sai, di quello che sai, di quello che…

La mente corre a briglie sciolte come Furia sul riff di Samarcanda… un po’ come vedere la famosa scena di Howard Brackett impersonato da Kevin Klein che balla sulle note di I Will Survive nella versione più recente… metto il film nella mia testa in pausa.

– Scrivo qualcosa e te la mando.

Eccoci qua, alla mia postazione della sceneggiatura, il mio angolo di mondo in cui do vita alle storie più realisticamente strampalate o a copioni strappalacrime, tra una traduzione e l’altra. Appena scrivo le prime battute, ricordo proprio quei tempi in cui… no. No! Concentrazione!

Benvenuti a una nuova puntata de’…

No, non sono in radio. Devo presentarmi. Sento già i grilli in sottofondo mentre il mio sguardo si perde fuori dalla finestra a osservare il vento della bufera che sto imperversando… ci sono. Un bel respiro e si parte.

«Salve, caro pubblico… di lettor* vicin* e lontan*.

Se avete trovato quest’articolo, esisteranno delle ragioni pascaliane (che siano di cuore o di “scommesse”), ma di certo non stavate cercando l’ultimo pettegolezzo sulla persona X o un abstract sulla fisica dei Quanti. O forse sì? La vita segue delle vie proprie e noi le percorriamo.

Perché utilizzo asterischi? Questo è uno degli argomenti che probabilmente approfondirò in materia di cultura, società, teatro, cinema: arte, in una parola.

A dire il vero, anche io sono parte di quell’asterisco e mi definisco la quota arcobaleno dell’arcobaleno del mio gruppo teatrale, Progetto Inediti: non ci occupiamo solo di teatro, dramma, cinema o di argomenti stigmatizzati. L’arte non si racchiude in un contenitore: diventerebbe un vaso di Pandora e in parte già lo è.

L’asterisco riguarda una grossa fetta di un più vasto argomento che io in prima persona in parte incarno: ho la fortuna di essere artista non-binary senza categoria che guarda al mondo con gli occhi adulti dell’infanzia. L’asterisco è un’escamotage per sopperire alla mancanza di strumenti o alla troppa competenza che porta alla confusione.

Vedete? Basta un semplice particolare per aprire il succitato vaso e si investono già tematiche sociali e non solo: basta anche digitare una parolina su un motore di ricerca, oggigiorno, e ti ritrovi vita, morte e miracoli di coloro che lavorano nel cinema o che semplicemente vivono la propria vita quotidiana. Basta una parola e si può aprire un universo immenso: arte, cultura, società, filosofie New-New Age, complottismo, barzellette… tutti spunti di conversazione e non solo.

Secondo voi, c’è il rischio anche di rimanere senza parole e di ascoltare il silenzio assordante o l’imbarazzo di una conversazione che…?

Sigla di chiusura, voice over: “Lo scopriremo al prossimo delirio”».

 

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