Nell’episodio precente (Voice Over sensuale e profonda): “L’asterisco riguarda una grossa fetta di un più vasto argomento che io in prima persona in parte incarno [ …] L’asterisco è un’escamotage per sopperire alla mancanza di strumenti o alla troppa competenza che porta alla confusione.” (Sigla di apertura sullo stile anni ’80-’90)
Ringrazio per aver speso del tempo prezioso a leggere il mio precedente delirio invece di trascorrerlo a guardare il meme di un gattino mentre conta le banconote con occhialoni da “A Thug Life”. Solitamente a questo punto citerei una delle frasi più famose del personaggio di Agrado (dal film Todo sobre mi madre di Almodóvar) che introdurrebbe su un piatto d’argento l’argomento (o uno dei tanti) anticipato e lasciato in sospeso, ma la mia mania di perfezionismo mi porta a chiedere scusa per eventuali refusi e parole saltate nell’articolo precedente. Bambini, mai auto-revisionarsi un testo dopo una settimana di insonnia e deprivazione di sonno. Mi prostro e mi ciligio al cospetto dei puristi del mezzo scritto.
Ho citato Agrado in quanto apre una porta su un universo sempre più attuale che riguarda l’evoluzione della lingua, della società, dei costumi, della mente… e subito nella mia mente parte l’immagine della famosa linea retta che parte dai primati e conduce all’homo erectus (e gli amanti di The Bing Bang Theory suggerirebbero Homo Novus): l’asterisco fa parte anche di questo!
Chi ha vissuto nell’era del telefono con cavi – magari anche nero, poi verde, per non parlare dei famosi gettoni che valevano 200 LIT (Lire Italiane, non litri) – come me avrà pensato: “A che serviranno asterisco e cancelletto?”. All’epoca non esistevano tutti i codici segreti per fare apparire schermate sul cellulare e il cellulare era un altro tipo di mezzo. Per diversi anni mi ha attanagliato il dubbio finché ho scoperto un utilizzo in tipografia per richiamare delle note a margine o a pie’ pagina. Seguendo questa logica, in tempi recenti, si utilizza questo caro asterisco (“Hello my name is *) per sostituire qualcosa, sia esso un obsoleto atto di censura (abrogata proprio in questi giorni) oppure un modo per non specificare genere e numero delle parole. Lingue come l’Italiano a maschile coperto, si direbbe in Linguistica e non solo, ovvero che dà per scontato l’accordo dei generi al maschile in una frase si trova a dovere affrontare la problematica del politically correct e gender neutral.
La Chiesa Cattolica sta provando a mettersi al passo con i tempi (a passo di formica e mi vien da dire “meglio di niente”, ma solo per citare questo spazio) e cerca di ovviare aggiungendo un femminile accanto al maschile (rafforzando ancor di più la dualità di generi, ma di nuovo “meglio di niente”), utilizzando una regola spagnola per accontentare il pubblico parlante e provare ad accontentarne una fetta. Google nella versione in inglese, basandosi su un idioma senza genere, introduce l’utilizzo del pronome They/them e ti permette di introdurre “Other – Specify”, lasciando una parvenza di libertà o semplicemente per non incappare in ulteriori sansioni provenienti dalle proteste della comunità LGBTPQIAN… abbreviato in LGBT+. E proprio in alcuni forum (se sbaglio mi correggerete) e comunità LGBT+, appunto, si arriva all’utilizzo dell’asterisco con l’intento di accomunare chiunque partecipi senza creare offese. A mio parere anche per non incappare in discorsi di lana caprina con l’utilizzo di perifrasi o espressioni che possano risultare farruginose. Nessuno più di me può comprendere la problematica.
Per chi non mi conoscesse come membro fondatore di Progetto Inediti di Palermo o per le mie molteplici pagine dedicate ai miei mille mestieri (tutti in pausa al momento, da sottolineare. Quando terminerà l’aria fritta, potrò aderire completamente alla corrente del Breatharianism e vivere solo d’aria pura… e parte la canzone in mente, come sempre), io appartengo alla parte del “+” della comunità LGBT+: non-binary, sapiosessuale, panromantic*/demi-grey-romantic*, etc. Un bel miscuglio arcobaleno, insomma. In soldoni: se per parlare con una persona che ha intrapreso/sta intraprendendo un percorso di riassegnazione di genere potete usare l’asterisco e scegliere tra maschile/femminile, con me la tematica si evolve: come Star Trek, mi spingo là dove il genere non ha mai esplorato prima (ufficialmente). Che significa? Bambin*, carta e penna!
Sono un’enigma avvolto in un paradosso e il mio pronome è Essi/loro in inglese They/them. Nasco in un corpo femminile, ma non mi identifico come tale. Allora, come uomo? Neanche: no, neanche come trans-gender o simile. Semplicemente, non aderisco a una definizione o caterizzazione di genere binario. Nella mia professione di scrittura per il teatro e per il cinema e soprattutto come interprete “attore”, questa neutralità è una condizione ideale perché mi permette di immedesimarmi con una prospettiva particolare nelle anime di un personaggio, di un’entità che cerca vita: l’attore non deve partire da un preconcetto di genere e deve essere pronto a tutto. Il nostro corpo e la nostra mente sono al servizio dell’Arte. Per citare Grotowski con una decodifica aberrante e decontestualizzata, attore-santo e attore-prostituta.
Come rivolgersi a una persona come me, allora? Si utilizza l’asterisco? In che senso il mio pronome è “Essi/loro”? Esistono tante correnti di pensiero, ma le battute a mia disposizione per quest’articolo stanno terminando e sento già la sigla incalzare mentre io vi dico su una coda in sfumatura che potrebbe anche tradursi in un argomento per un prossimo delirio (anche perché, mentre scrivo una persona su WhatsApp mi sta chiedendo di affrontare l’argomento dal mio punto di vista. Tu guarda a volte i casi della vita!).
In chiusura, voglio chiosare così: “Amare è giusto e legittimo e bisogna vivere senza paure e senza rimpianti”.
L’inquadratura si chiude con un classico barrel alla James Bond, evitando di proposito la persona che continua a scrivere e delle risate pre-registrare del pubblico in sottofondo.
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