Articolo di Emilio Aurilia

 

Uno dei gruppi maggiormente innovativi del genere definito progressive rock si è formato nel 1970 ad opera di tre fratelli scozzesi PhilDerek e Ray Shulman dalle ceneri di una band fondata da Derek e denominata Simon Dupree and The Big Sound orientata verso il rhythm and blues. Ai fratelli Shulman si sono aggiunti il tastierista polistrumentista Kerry Minnear e il chitarrista Gary Green, cambiando poi cronologicamente tre batteristi (Martin SmithMalcolm Mortimer e John Wethers). Una delle particolarità del gruppo sta nell’enorme versatilità strumentale di ciascun componente considerato che, accanto agli strumenti più tradizionali per una rock band (chitarra-basso-piano/organo-batteria), essi utilizzano: tromba, trombone, sassofono, flauto dritto, fagotto, violino, violoncello, clavicembalo, clavicordo, vibrafono, xylofono, timpani e molto altro ancora, così in studio come nei concerti dal vivo rendendosi spettacolari anche visivamente. Sorpresa piacevole la festosa accoglienza riservata da noi in Italia al complesso da oscurare persino un concerto dei Jethro Tull cui aveva fatto da apripista nel lontano primo febbraio 1972 al Palasport di Roma, da condurlo per molto tempo a privilegiare il nostro paese nella pubblicazione dei dischi. Descriverne il sound è praticamente impossibile poiché ogni singolo brano è permeato da ogni influenza disponibile: dal rock al blues, dal jazz alla musica contemporanea e addirittura a quella medio-rinascimentale tramite l’uso della tecnica del discanto nell’esecuzione dei cori (valga per tutti “Knots“). Undici i prodotti pubblicati esclusi i dischi dal vivo e le immancabili antologie, ma i più riusciti appaiono l’eponimo album d’esordio (1970) con la bellissima “Funny Ways“, il successivo “Acquiring the taste” (1971) il cui brano che fornisce il titolo al lavoro fu scelto come sigla di una rubrica della remota trasmissione radiofonica “Per Voi Giovani”e il concept “Three Friends” (1972) presentato in anteprima dal vivo in Italia. Con i successivi, a cominciare dal seguente “Octopus” l’ultimo in cui è presente Phil Shulman fuoriuscito per disaccordi, la band ha un po’ stagnato e le complessità vocali e strumentali che avevano superbamente caratterizzato l’originale carica innovativa della proposta, si sono via via stemperate verso una musica che, prestando qualche concessione alle mode, si è rivelata nel tempo formalmente perfetta, ma emotivamente limitata.

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