Articolo di Riccardo Gramazio
La notte del 18 febbraio 1980, dopo una notte di eccessi in un locale di Londra, il Music Machine, il cantante degli AC/DC, Bon Scott, perse i sensi. L’amico Alistair Kinnear, che con lui si era dato alla pazza gioia, decise allora di lasciarlo riposare sulla sua Renault 5. Bon Scott venne portato in ospedale il giorno dopo, ma per lui non ci fu nulla da fare: la spropositata assunzione di bevande alcoliche stroncò la sua esistenza a soli 33 anni.
Triste, molto triste.
Ora, prima di proseguire, è giusto sottolineare che gli eventi di quella tragica notte sono sempre stati oscuri e pieni di mistero. Esistono varie ipotesi a riguardo, ma in pochissime righe ho cercato di sintetizzare la versione, come dire, ufficiosa. Nel caso, avete la possibilità di documentarvi a dovere e di giungere voi stessi a una possibile conclusione.
Ciò che conta è che i restanti membri della rock band australiana, oltre a dover fare i conti con la rognosa scomparsa dell’amico, dovettero mettersi al lavoro per assoldare un nuovo cantante, per proseguire. D’altronde, Highway to Hell, storico disco del 1979, aveva conquistato il mondo, trascinato alla grandissima dall’omonimo singolo e da un suono destinato a scrivere pagine e pagine importantissime di hard rock. Dopo qualche audizione e su consiglio del chitarrista Malcolm Young, il ruolo fu assegnato a Brian Johnson, voce degli inglesi Geordie.
E lo sappiamo tutti, quella si rivelò una scelta azzeccatissima. Gli AC/DC caddero assolutamente in piedi, dolore a parte.
Il primo disco registrato con Brian fu nientemeno che l’esagerato Back In Black, cinquanta milioni di copie vendute e carica esplosiva. Quanto amiamo quella produzione del 1980?
La vicenda Bon Scott condizionò chiaramente la scrittura dei brani, avvicinando l’album a un concreto concept album sulla morte.
Una delle canzoni simbolo, beh, tredici rintocchi di campana vi dicono qualcosa?
Avanti, quanto amiamo Back In Black e le canzoni che lo compongono?
Don, Don, Don… i rintocchi…
Quelli incisi sul disco furono rubati al Carillion War Memorial, un monumento di Loughborough in onore dei caduti della Seconda Guerra Mondiale, mentre per il tour mondiale la band fece forgiare una campana in bronzo, pesante circa due tonnellate e con il logo AC/DC in bella vista. Al nuovo cantante sarebbe spettato il compito di colpire a inizio brano la “creatura”, rigorosamente calata dall’alto, con un grosso martello.
Nel recente libro Babysitting A Band On The Rocks, l’autore G.D. Praetorius dedica un capitolo agli AC/DC e in particolar modo alla campana infernale. Secondo la sua testimonianza, l’8 ottobre del 1980, durante i preparativi dell’imminente show al Nassau Veterans Memorial Coliseum di New York, la campana cadde e sfondò le tavole di legno del palco. Un danno mica da ridere. Per gli addetti ai lavori fu sicuramente una brutta esperienza. In ogni caso, tutto è bene quel che finisce bene; il palcoscenico venne tempestivamente riparato e la “bestiaccia di bronzo” trovò finalmente il proprio posto.
Nel 1996 la campana venne comunque rimpiazzata; per prevenire eventuali e varie catastrofi, meglio utilizzare una replica in plastica, decisamente più leggera.
Tredici rintocchi, riff feroci e rock and roll. Tutto firmato AC/DC.
Don, Don, Don…
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