MDN

Intervista a Johanna Finocchiaro di Barbara Gabriella Renzi

Copertina Clic3

 

INTERVISTA DI BARBARA GABRIELLA RENZI

 

 

Le poesie di Johanna Finocchiaro sono canzoni. Almeno per me: io le immagino ritmate e cantate la sera intorno al fuoco con amici che cercano di capire il mondo e spiegarselo. Ma io non sono Johanna e non voglio imprimere la mia forma su una materia tanto bella. Chiediamo a lei cosa ne pensa.

 

 

  1. Il tuo libro svela parzialmente anche come crei. Clic: cosa significa?

Devo proprio ringraziarti, Barbara, per la meravigliosa immagine che hai evocato; sarebbe un vero e proprio sogno riscoprire le mie poesie in veste musicale, decorarle di note e bellezza, negli occhi di spiriti affini e intorno a un fuoco, perché no. Intorno alla vita.

“Clic” non è soltanto il titolo di una delle liriche contenute nella silloge. È il meccanismo e il rumore conseguente che mi scatta in testa ogni qualvolta l’ispirazione arriva e porta tutto via, su, fuori, dov’è giusto sfoghi e prenda forma. Forme, anzi. È la lampadina che ho acceso sulla realtà e non riesco più a spegnere; sono io, insomma, in senso simbolico e letterale: dopo anni di esistenza a metà, dopo lotte con il corpo e i pensieri, ho deciso di abbracciarmi e permettermi di essere. Senza pretese, senza confini. Solo sensi assoluti e verità.

 

  1. Le tue poesie parlano soprattutto di te o degli altri?

Parlano di entrambe le cose, con un approccio ora soggettivo ora universale (anche se non penso di essere troppo brava nell’escludere i pensieri in favore d’ideali già autosufficienti). La Lirica è il modo in cui scavo nel mio intimo, lentamente. Il modo in cui riconosco e seziono sentimenti e paure, desideri e vergogna. E da quegli stessi trampolini emotivi mi lancio, ansiosa, alla scoperta della realtà, nudo vestita. Non è male, una volta provato (inizialmente mi terrorizzava), il percorso dell’onestà: nulla possiamo portarvi ma con molto possiamo uscirvi. Svuotare le tasche, per così dire, mettere su carta bianca ogni cosa, con la consapevolezza di ritrovare un animo più forte e brillante. Pulito.

Inoltre, superando la dimensione personale, la Poesia mi permette di alzare la voce, puntare il dito, demonizzare o evidenziare. Fatti, tempi, persone, dolori, soprusi. Insomma, in un’epoca come questa, è impossibile esimersi dal valore sociale che la Lirica (come ogni altro genere letterario) DEVE ricoprire; denunciare, comunicare, condividere. Dall’emozione carnale, a tratti astratta, riportare così il pubblico a una nuova sensibilità, all’abilità di ascoltare e sentire. La comprensione verrà da sé. Un concetto sopravvalutato, a mio parere.

 

  1. Questi versi sono freschi e profondi

“Appendo le dita alla finestra

L’aria fresca sfonda lo spazio

e arriva placida fin qui

Gli occhi alti, integri

alla notte

di piombo e d’argento

Do le spalle a una camera anonima…”

Ce li vuoi spiegare?

Durante quella sera di seta nera, Barbara, ero davvero appoggiata alla finestra di camera mia, coi pensieri e gli occhi protesi al cielo. Primi di ottobre, se non ricordo male. Giocavo a nascondino con me stessa, immaginando di potermi celare e mostrare, mostrare e celare, come fa la luna con le nuvole. Basilarmente mi sono limitata a descrivere l’attimo, l’ambientazione, per così dire.

Io, protetta da muri amici eppure da essi limitata, lascio che l’aria sfondi la fisica; prima il tempo, poi lo spazio, per arrivare a me nella sua interezza e novità. Investita dalla violenza spontanea che solo Madre Natura sa esercitare, andando a sgretolare confini e barriere. La testa si stacca, fluttua, inconsapevolmente libera.

 

  1. Raccontaci di questa bomba:

“C ’è la miccia” -Scrivi.

La miccia, in questo caso, si riferisce alla potenza d’animo, all’infinita energia creativa e/o distruttiva che la Donna possiede. La passione che da sempre muove le fila della sua vita.

L’aspetto che più mi affascina, tuttavia, è il fermento che si crea tra i pensieri, ben prima delle azioni. Ciò che la trasporta, l’accende e la trasforma. Credo risieda proprio lì la magia, la trascendenza, la spiritualità di cui è capace. Nel saper sentire. Spero, un giorno, di trasmettere quella consapevolezza. 

 

  1. Chi sono questi eroi?

“Cause perse ce ne sono sempre.

Da riempirne liste

e liste. Archivi di liste.

Finanziarne la caduta ci diverte;

questo è quanto;

questo è tutto.

Ecco cosa.”

 

Grazie per questa domanda, Barbara! Sai, è la prima volta che mi domandano di questa poesia.

“Eroi”… siamo abituati e legati al concetto mitologico del termine: Ercole, Ulisse, Enea. Oppure, ci ritroviamo a pensare ai grandi guerrieri della storia, ai conquistatori, agli esploratori.

Per carità, lo sono stati e continuano a simboleggiare il successo. Ma non ero interessata al significato generico, quando l’ho scritta.

Ho provato a soffermarmi su cosa questa società consideri eroico, sulle priorità, su passaggi della vita ormai obbligatori, quasi fossero parte di un rituale sincretico dal quale non possiamo fuggire (oppure sì?!). Ironizzando, quale indirizzo di partenza e destinazione scriveremmo sull’autocertificazione?

Poi ho realizzato che spesso il mondo finge di sapere cosa sia un “eroe” ma nei fatti subito se ne allontana, concentrato com’è a premiare inefficienza, incompetenza, arrivismo e modelli di vita da “tutto e subito”. Tanti saluti al sacrificio e al duro lavoro. Un’idea troppo ingombrante, forse.

Ecco perché, nella mia poesia, gli eroi diventano molti, troppi, così come le cause perse.

Ma, c’è sempre un ma e chi mi conosce sa che soffro di ottimismo cronico grave, il momento della verità arriva. Non si può scappare da Lei; a furia di provarci, finiamo infatti per girare in tondo, tornando al punto di partenza. Che sopraggiunga nel “sonno onesto del criminale” o ad occhi aperti, dovremo fare i conti con le nostre scelte.

Leave a Reply

Area Riservata