Era un giorno di giugno del 2003, la Juventus aveva da poco perso la finale di Champions a Manchester contro il Milan e nel corso di una mia trasferta di lavoro, in visita ad un carissimo cliente mi trovai di fronte quello che per il sottoscritto era un’icona bianconera per tutti i successi e le emozioni che ha regalato ai tifosi juventini: Marcello Lippi. Un allenatore capace di rendere orgoglioso il popolo bianconero per la qualità del calcio che andava esprimendo su tutti i campi d’Europa e di cui l’Europa stessa ce ne rese merito. Beh.. quel giorno avrei voluto fargli mille domande, ma riuscii giusto a proferire un “Buongiorno Mister“. Sono passati 17 anni e qualcuna di quelle domande ho avuto l’onore e la fortuna di potergliele sottoporre raggiungendolo telefonicamente. Per me, per voi e per quel sogno che continuo a cullare dentro di me. A Mister Lippi va il mio più infinito ringraziamento per la disponibilità e la cordialità mostrata.
Buongiorno Mister Lippi. Partiamo dal presente ovvero dalla sua recente decisione di dire addio alla panchina. Decisione sofferta o era davvero giunto il momento di dire basta?
“Era già tanto che avevo detto che avrei smesso di fare l’allenatore. Quando sono tornato dalla Cina un anno fa ho detto che non avrei più allenato poi, alla domanda se fosse capitata qualche nazionale ci avrei riflettuto, risposi che nel caso di un ruolo da C.T. ci avrei pensato perché fare il Commissario Tecnico è un discorso diverso dal fare l’allenatore e quindi risposi così, ma adesso ho invece deciso di lasciare definitivamente perché sul campo non ho più voglia di andare. Se dovesse nascere qualche opportunità per mettere a disposizione la mia esperienza come Direttore Tecnico, Supervisore Tecnico o cose del genere ci penserò, diversamente si sta a casa perché in fondo credo di aver già dato“.
Non le chiedo percentuali o conferme, ma non posso non chiederle se esistono possibilità che un domani Lippi possa rientrare alla Juventus con un ruolo dirigenziale?
“Ah su questo non ne ho la più pallida idea, posso dirle che c’è stato un momento in cui sono stato molto vicino al ritorno alla Juventus con un ruolo dirigenziale, molto, molto vicino, poi invece come spesso succede si sono prese altre strade e quindi non se ne fece nulla. Pertanto per rispondere alla sua domanda non ne ho davvero la più pallida idea“.
Prima del suo approdo alla Juventus, le sue esperienze su panchine di Serie A furono Cesena, Atalanta e Napoli. Posso chiederle un suo breve pensiero/ricordo su ognuna di queste tre esperienze?
“Beh la prima Serie A fu a Cesena dove arrivai dopo aver fatto una tanta gavetta in Serie C alla Carrarese e non posso che riconoscere che fu una bella, bella esperienza con il Presidente Edmeo Lugaresi e tante persone fantastiche con cui ho lavorato e sono stato benissimo. Successivamente all’Atalanta fu un’altra esperienza fantastica in una società molto ben organizzata nella quale c’era già lo stesso Presidente di ora, Antonio Percassi, e andando a Zingonia si vivevano le stesse situazioni che si vivono oggi, ovvero lì trovi tutta la famiglia Atalanta dai pulcini sino alla prima squadra che si incontrano e questa è una cosa molto positiva e molto bella che rende l’idea dell’organizzazione che regna in quella società. Infine Napoli che all’epoca era un po’ una nobile decaduta però si percepiva la sensazione di essere comunque in una grande piazza. E poi me lo lasci dire Napoli è fantastica“.
Nell’estate del 1994 il suo approdo sulla panchina della Vecchia Signora. La Juventus non vinceva lo scudetto da 9 anni. Posso chiederle cosa provò quando fu contattato dalla società bianconera e che cosa le chiese la dirigenza per il suo primo anno da allenatore della Juventus?
“Non mi chiese niente di particolare. Fui contattato per la prima volta da Luciano Moggi che era ancora alla Roma e mi disse che mi voleva parlare perché c’era qualche possibilità per l’anno successivo di allenare una squadra con le maglie bianconere. Dentro di me pensai che non poteva esser il Cesena che avevo già allenato, l’Ascoli, con tutto il rispetto, non credo mi avrebbe fatto contattare da Moggi per la questione allenatore, rimaneva l’Udinese? Poi invece il giorno dopo mi disse che era la Juventus e la settimana successiva mi incontrai a Roma con la triade Giraudo-Moggi-Bettega e firmai il contratto. Per quanto riguarda il Dottor Agnelli mi chiese soltanto che la squadra giocasse bene, che esprimesse un gioco brillante e facesse divertire la gente. Non mi chiese di vincere per forza, ma solo di far giocare bene la squadra che poi i risultati sarebbero arrivati di conseguenza“.
Lei fu protagonista di due grandi cicli alla Juventus. Il primo dal 1994 al 1998 la vide conquistare oltre a tre scudetti anche una Champions League e la Coppa Intercontinentale. Cosa aveva di speciale quella Juventus e che emozioni provò divenendo Campione d’Europa prima e del Mondo per Club poi?
“Per me è stata tutta una serie di emozioni continue perché non avevo mai lavorato in una grande squadra e pertanto non conoscevo la psicologia della grande squadra. Cosa si provava quando si vinceva, o cosa si provava quando si perdeva e soprattutto avevo sempre lottato per non retrocedere o al massimo per altri obiettivi, ma mai per la testa del campionato. Il primo anno vincemmo lo Scudetto e la Coppa Italia, andammo in finale di Coppa Uefa, l’anno dopo vincemmo la Champions League, la Coppa Intercontinentale finendo secondi in campionato. Facemmo tre finale di Champions consecutive, ’96, ’97 e ’98 che oltre ad essere tanta roba fare tre finali consecutive significa che per tre anni tu hai vinto su tutti i campi d’Europa ed anche se ne vincemmo una sola di quelle finali resta una grande soddisfazione. A questo aggiungo la Supercoppa Europea, le Supercoppe Italiane, la Coppa Italia, insomma tanti di quei trofei che tra di noi ci dicevamo che solo col tempo avremmo apprezzato e ci saremmo resi conto di quello che avevamo fatto“.
In quegli anni la sua Juventus vinse tutto quello che esiste al mondo. Come mai secondo lei pur avendo vinto tutto conquistò soltanto una Champions League? Fu solo una questione di sfortuna o mancava qualcosa per essere definitivamente completi?
“Fu soltanto una questione di sfortuna perché non bisogna dimenticare che quella squadra, in quegli anni, vinceva anche il campionato, un campionato che era sempre molto tirato con Inter, o Roma, o Parma a contenderci la vittoria dello scudetto fino alla fine, mentre in Champions affrontavamo squadre che arrivavano anche quarte nel loro campionato e avevano due mesi di tempo per programmare e preparare al meglio la finale. Noi, dovendo combattere fino all’ultimo le nostre avversarie in campionato, forse arrivavamo alla finale che poteva mancarci qualcosa, ma restano anni straordinari“.
A Napoli lei ebbe il coraggio di lanciare un giovane di nome Fabio Cannavaro. Non crede che in Italia oggi i grandi club siano troppo restii a far giocare i giovani?
“No, no mi sembra invece che quest’anno i giovani stiano trovando il giusto spazio. Considerando anche l’altissima percentuale di calciatori stranieri presenti oggi nel nostro campionato rispetto a quando allenavo io la Nazionale che dovevo scegliere sul 65% di giocatori italiani e il restante stranieri, ora è il contrario, il 65% sono stranieri e nonostante questo Mancini è riuscito a creare un gruppo di 25/30 giocatori che si mettono in evidenza ed è venuta fuori una Nazionale bella propositiva, che gioca bene e fa ben sperare“.
Il futuro del calcio italiano deve partire dai settori giovanili. Qual è il suo punto di vista in merito, considerando che specialmente la Juventus, all’avanguardia su tutto, fatica a far debuttare in pianta stabile giocatori del vivaio?
“Eh eh (e sorride) è più facile far esordire in prima squadra dei giovani del vivaio se giocano nell’Atalanta, nel Sassuolo o in altre squadre di questo livello. Nelle grandi squadre è difficile, Marchisio o Criscito per esempio ci sono riusciti, ma è difficile in una grande squadra, che ha grandi obiettivi e compra campioni da tutto il mondo, portare dei giovani dal settore giovanile in pianta stabile in prima squadra. Non è facile“.
Dopo l’addio alla Juventus accettò l’offerta dell’Inter. Al di là dei risultati, che fanno sempre tutta la differenza del mondo, che ricordi ha del suo periodo nerazzurro?
“Quando andai all’Inter ho cercato di fare il possibile per ottenere il rendimento migliore, in parte ci sono riuscito nel corso del mio primo anno, poi al secondo non ho praticamente neanche cominciato. Posso però dirle di aver avuto anche all’Inter la sensazione di lavorare in in un grande club e in una grande società“.
Dal 2001 al 2004 il suo secondo ciclo in bianconero. La grande gioia dello scudetto 2002 all’ultima giornata proprio ai danni dell’Inter e l’amarezza della finale di Champions persa ai rigori contro il Milan. Le chiedo che emozioni le regalò quello scudetto e se cambierebbe qualcosa rigiocando quella finale?
“Le emozioni che mi dette quello scudetto furono grandissime perché ovviamente l’esperienza all’Inter era stata di un certo tipo e alla fine di quella stagione lì dopo che l’Inter era rimasta prima in classifica fino alla fine, riuscire a recuperare e a vincere lo scudetto in quella maniera, proprio all’ultima giornata, per me fu una bella soddisfazione. Per quanto riguarda la finale di Manchester… (breve pausa) sa nelle finali che perdi c’è sempre qualcosa che vorresti cambiare. Ho disputato 4 finali di Champions, 5 con quella che ho fatto in Cina, e vinto, e in quelle che hai perso c’è sempre qualcosa che cambieresti o che faresti diversamente rigiocandole, ma non è il caso qua di stare a parlarne. Posso ritenermi un uomo fortunato perché ho vinto tutto quello che un allenatore può vincere e sono orgoglioso di quanto fatto“.
Zidane, Del Piero e Totti, tre grandissimi campioni che ha avuto la fortuna di allenare e veder giocare. Cosa può dirci di loro?
“Parliamo di tre fenomeni, tre campionissimi, tre ragazzi straordinari ed eccezionali. D’altra parte non si può essere grandissimi campioni se non si è dei grandi uomini e questo è un dato di fatto indiscutibile e imprescindibile . Loro tre lo sono, sono tre grandi persone alle quali la natura ha regalato delle grandissime doti, ma la cosa bella è che ci hanno messo tanto del loro per farle diventare determinanti per le vittorie delle proprie squadre e questa è la grande differenza che c’è tra il campione e il fuoriclasse“.
Veniamo al 2006 e al suo trionfo al Mondiale. Ci descrive le emozioni che provò nel centrare un successo così grandioso e insperato per quello che stava attraversando il calcio italiano in quel momento?
“Eh no, no mi sta chiedendo una cosa impossibile, mi sta chiedendo di descrivere al telefonino, mentre sto passeggiando, le emozioni che si hanno vincendo un Campionato del Mondo con la maglia della propria Nazionale. Le dico soltanto, come detto prima, che ho avuto la fortuna di vincere tante cose nella mia carriera, praticamente tutte quelle che ci sono al mondo, ma niente è paragonabile a vincere un Mondiale con la maglia della propria Nazionale“.
Tornando alla Juventus, il presente si chiama Andrea Pirlo. Qual è il pensiero di Mister Lippi sulla scelta di Agnelli di puntare da subito su Pirlo capo allenatore?
“E’ una bella scommessa. Una scommessa fatta comunque su un ex giocatore e un uomo di grande talento con grandi capacità comunicative che è un po’ quello che è mancato nell’ultimo anno alla Juventus e allora credo sia stata mirata questa scommessa. La Juventus d’altronde si può permettere di scommettere no? Può permetterselo dal punto di vista economico, dal punto di vista societario, sotto tutti i punti di vista può permettersi di scommettere su un grande giocatore del suo passato esattamente come fece ad esempio il Barcellona con Guardiola“.
Che tipo di allenatore era Marcello Lippi? Come impostava il proprio rapporto con i giocatori e, non per supponenza ma per esperienza, che consiglio si sentirebbe di dare a Pirlo che ha appena cominciato ad allenare?
“Il consiglio è quello che do a tutti gli allenatori. I giocatori non vogliono né un fratello maggiore, né un papà, né pacche sulle spalle, i giocatori vogliono una guida forte, sicura, determinata e competente, che sia capace di condurli a vincere dei trofei. Perché il grande giocatore vuole vincere trofei, altrimenti a fine carriera se non ha vinto dei grandi trofei non può essere considerato un grande giocatore“.
Siamo in chiusura e voglio domandarle chi è per lei la favorita per la vittoria del campionato e chi quella per la vittoria della Champions League?
“Allora, per quanto riguarda il campionato italiano ritengo ci sia parecchia bagarre quest’anno. Vedo come denominatore comune la mancanza di un periodo di preparazione, di verifica, di allenamento in maniera tale che gli allenatori potessero valutare il valore e le attitudini dei giocatori. Tutto questo non c’è stato e finito con il campionato scorso hanno praticamente iniziato quello nuovo e tutte le verifiche che avrebbero dovuto fare verranno fatte nel campionato in corso. Questa situazione pesa a maggior ragione per la Juventus che ha cambiato allenatore e modo di giocare. Pertanto si è creata una stagione molto strana nella quale ci sono 6 o 7 squadre tra cui la Juventus, l’Inter, il Napoli, la Lazio, la Roma stessa, l’Atalanta, il Milan che secondo me hanno tutte più o meno le stesse possibilità. Ce n’è qualcuna che gode del vantaggio di avere una struttura di gioco già collaudata e di essere più avanti nella programmazione. Il Milan ad esempio, che sono 6 o 7 mesi che non perde una partita, che gioca bene e ha trovato la quadra, si ritrova al momento in vantaggio nonostante dal punto di vista tecnico possa regalare qualcosa rispetto alle altre. Ma anche le altre sono forti e vedrete che ad esempio Juventus e Inter che al momento non riescono ad esprimersi al meglio delle loro possibilità a breve ci arriveranno. Per quanto riguarda la Champions League mi sembra che ci sia un padrone in questo periodo e penso che durerà ancora un paio d’annetti ed è il Bayern Monaco“.
Mister Lippi non so come ringraziarla per la disponibilità e la cortesia. Grazie davvero di cuore
“Non c’è problema, basta un semplice grazie. Le auguro buon lavoro e buona giornata“.
FONTE: IL BLOG DI LUCA GRAMELLINI
https://www.lucagramellini.com/intervista-esclusiva-a-marcello-lippi/
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