Articolo di Adriana La Trecchia Scola
Nell’opera mozartiana Così fan tutte si fa riferimento all’araba fenice per indicare qualcosa di cui non si conosce l’uguale, introvabile, un esemplare unico e soprattutto inafferrabile, nella strofa: “È la fede delle femmine/come l’araba Fenice:/che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessuno lo sa”. Al di là del significato misogino, la Fenice ha sempre rappresentato, in tutte le culture, un nuovo inizio. Già simbolo della sapienza divina, i padri della Chiesa fecero della fenice il simbolo della resurrezione e vita dopo la morte; quindi un’anticipazione del Cristo presumibilmente per via del fatto che tornava a manifestarsi 3 giorni dopo la morte, quale simbolo di immortalità. Gli antichi egizi furono i primi a parlare di questa leggendaria creatura, che successivamente divenne la fenice quale uccello sacro in grado di controllare il fuoco e di rinascere dalle proprie ceneri dopo la morte. Secondo gli storici latini la fenice era un prodotto della fantasia dei seguaci del Dio Sole (veniva associata col sole e rappresentava l’anima del dio del sole) e proprio come il sole che è sempre lo stesso e risorge solo dopochè il sole “precedente” è tramontato) di Fenice ne esisteva sempre un unico esemplare per volta. Da qui l’appellativo “semper eadem”:sempre la medesima. Del resto il motto della fenice è Post fata resurgo (dopo la morte torno ad alzarmi). La lunga vita della Fenice e la sua così drammatica rinascita dalle proprie ceneri, ne fecero il simbolo della rinascita spirituale, nonchè della rigenerazione umana. Nel Fisiologo, una piccola opera redatta ad Alessandria d’Egitto, presumibilmente in l’ambito gnostico tra il II e il III secolo d.C. da autore ignoto, è scritto: “Se invero questo uccello ha il potere di morire e di nuovo di rivivere, nel modo in cui gli uomini stolti si adirano per la parola di Dio, tu hai il potere come vero uomo e vero figlio di Dio, hai il potere di morire e di rivivere. Dunque come ho detto prima, l’uccello prende l’aspetto del nostro Salvatore, che scendendo dal cielo, riempì le sue ali dei dolcissimi odori del Nuovo e dell’Antico Testamento, come egli stesso disse: “Non sono venuto ad eliminare la legge, ma ad adempierla”. E di nuovo “Così sarà ogni scrittore dotto nel regno dei Cieli, offrendo rose nuove ed antiche dal suo tesoro”. Peraltro “Ciò che è stato non è mai finito”. Non bisogna distogliere lo sguardo dal fardello del passato, perchè sono proprio le difficoltà della storia che vanno penetrate per salvarla strappandole un significato (cit. Faulkner). Sarebbe una consolazione essere chiunque per occuparsi di affari altrui anche solo per noia, in quanto le persone sono diverse le une dalle altre in modo felicemente arbitrario e relativo. Il filosofo francese Alain de Benoist, in Che cos’è l’ideologia del medesimo, dice: “il desiderio di eguaglianza, che succedeva a quello di libertà, fu la grande passione dei tempi moderni. Quella dei tempi postmoderni sarà il desiderio di identità”. “È proprio il principio di diversità che occorre contrapporre all’ideologia del Medesimo. Un principio trae forza dalla sua stessa generalità. La diversità del mondo rappresenta la sua sola, vera ricchezza, perchè questa diversità è fondatrice del bene più prezioso: l’identità. I popoli non sono interscambiabili, non più di quanto lo siano le persone. Dire che nessuno ha in sè più o meno valore di un altro, non equivale a dire che sono gli stessi- il Medesimo in varie forme-, ma che tutti sono differenti. La tolleranza, quindi, non consiste nel guardare l’Altro per vedere in lui il Medesimo, ma nel comprendere ciò che lo costituisce in quanto altro”. Il differenzialismo di Alain de Benoist riconosce la bellezza del mondo proprio nel valore delle differenze e la minaccia principale in ciò che uniforma. Nell’epoca attuale prevale l’ideologia del Medesimo che tende a svalutare le differenze per affermare un pensiero unico, una civiltà unica, un mercato unico, dato che una società differenziata limita mercato e potere, frena l’omologazione. Infatti il medesimo diventa programma con il monoteismo universalista, poi viene attuato efficacemente con lo Stato moderno e in maniera brutale dai regimi totalitari novecenteschi; a partire dal secondo dopoguerra l’ideologia del Medesimo ha preso forma nella globalizzazione per cui il mondo è stato omogeneizzato in maniera forte. Convergente con il differenzialismo culturale era il pensiero di Tiziano Terzani: un conservatore antimoderno ma non reazionario. Anche per lui la bellezza del mondo era nella diversità culturale e il dilemma era individuare quel che vale la pena di conservare. Ne La fine è il mio inizio quando “tu cominci ad avere un mercato comune, un mercato libero, devi metterti in concorrenza con quelli che producono a meno costi e in tempi più brevi di te […] l’uomo è ormai succube dell’economia. Tutta la sua vita è determinata dall’economia. Questa, secondo me sarà la grande battaglia del futuro: la battaglia contro l’economia che domina le nostre vite…Occorrono nuovi modelli di sviluppo. Non solo crescita, ma parsimonia”. Terzani non amava nè il totalitarismo della scienza, nè posizioni antiscientifiche; quando la tecnica migliora la vita umana è assurdo farne a meno. Un equilibrio difficile perchè la tecnica non è neutra, i suoi risultati non dipendono soltanto dall’uso che si crede di farne, ma ci sono dei risvolti negativi. “A volte la notte non riesco a dormire al pensiero di quello che ancora ci aspetta… io non sono contrario allo sviluppo, se migliora la nostra vita. Ma se la distrugge?” (Mustang: un paradiso perduto, in In Asia). Il conservatorismo è l’unica valida posizione difronte ad “una società globalizzata, che rinnovandosi in continuazione garantirebbe vitalità e sviluppo”. Circa il futuro, poche illusioni. Secondo il testo sacro induista (la Baghavad-Gita): tu fai quello che devi fare. Poi se il mondo si salva o no non è nelle tue mani.