Di Emilio Aurilia

 

Di questo musicista gallese, nato nel Camarthenshire il 9 marzo 1942, non è facile parlare per la varietà di esperienze accumulate nella lunga e interminabile carriera iniziata addirittura nel remoto 1957 e che ancora continua.

Il suo approccio musicale lo ha avuto con uno strumento inusitato a quel mondo del rock a cui si sarebbe più tardi avvicinato: la viola. L’incontro fondamentale per l’inizio della sua attività avviene nel 1965 quando incontra Lou Reed con cui formerà una delle proposte più bizzarre, discutibili e comunque interessanti: i Velvet Underground con cui inciderà i primi due album prima di uscire per disaccordi con il co-fondatore che non saranno definitivi dati i vari tentativi  succedutisi nel tempo di reunion della leggendaria band.

Accanto a quella di musicista affiancherà negli anni quella di produttore prima di Nico, componente dei Velvet e poi degli Stooges.

Il suo primo lavoro solista è del 1970 “Vintage Violence” orientato verso il folk che gli ha fornito l’opportunità di disseppellire il suo strumento principale (suonandone spesso una versione elettrificata), che non abbandonerà mai. All’anno successivo appartiene un disco nato da un altro incontro importante: quello con il musicista contemporaneo di avanguardia minimalista Terry Riley, quel “Church of anthrax” di cui ancora si parla come di un uno fra i più interessanti album sperimentali. Sulla stessa lunghezza d’onda si muove “The Academy in peril“ (1972) un passo avanti nella sua ricerca musicale di cui è evidente l’influenza di Riley.

Il terzo prodotto “Paris 1919”, forse proprio perché pubblicato a séguito di dischi così particolari, è stato spesso liquidato dalla critica come un album semplicemente rock ed invece non è così pur cedendo meno agli azzardi sperimentali dei precedenti lavori. Il brano che dà il titolo all’album, muovendosi su di un certo contrappunto quasi mozartiano ben sostenuto dall’orchestra, ne fanno un pezzo davvero interessante oltreché piacevole. La dolce ed evocativa “Child’s Christmas in Wales” e la conclusiva “Antarctica starts here” con una originale interpretazione vocale sussurrata, sono gli altri episodi degni di particolare attenzione.

Con una produzione discografica quasi sterminata, di cui per cronaca segnaliamo la collaborazione con Kevin Ayers, Brian Eno e Nico, l’album dal vivo “June 1, 1974” a cui hanno preso parte fra gli altri Mike Oldfield, Robert Wyatt e Ollie Halsall, “Desertshore” di Nico in cui Cale ha suonato tutti gli strumenti, “Slow Dazzle” (1975), “Caribbean Sunset” (1983),”HoboSapiens” (2003) e il recente “Shifty Adventures in Nookie Wood” (2012) sono solo pochi dei prodotti realizzati. È ovvio che non tutto possa essere stato sempre all’altezza del suo genio e delle sue capacità perché, fra autoconsapevolezza e tentativi di rinnovamento, un passo falso è sempre dietro l’angolo.

Cale resta comunque un personaggio da conoscere e apprezzare anche per non essersi piegato al business del facile guadagno generando, come più di un suo collega, prodotti assolutamente pop, gradevoli, ma non certo rappresentativi dello spessore di cui si è stati capaci.

 

 

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