In un clima, ignobile, da resa dei conti con l’allenatore che ha fatto meglio ciò che andava fatto comunque Mister Allegri decide di sfidare tutto il mondo fuori. Il modo è quello classico. Prenderlo sul serio. E poi lui non è neanche difensivista, faceva la mezzala e l’ore piccole con Mister Galeone. La gente vuole tutti dentro, attaccanti, punte, mezze punte. No alle mezze misure, alle mezze calze specie se nel tempo si sono rivelate inopinatamente più utili dei grandi discorsi. Ebbene Allegri dà questo. I 3 attaccanti più Cuadrado più Pjanic. Sembra una follia agli occhi di chi voleva proprio questo perché chi voleva questo non lo voleva sul serio. Voleva solo rompere le palle. A ragione o senza motivo non importa. Il problema dei media Juve è la noia. L’aggressività dell’ambiente, un tempo placidamente cannibale, svegliata e aizzata da Calciopoli si è piegata su se stessa come Frankenstein. Il creatore, l’ambiente rimbambito da chissà quale nuovismo, il Frankenstein juventino rigido e insieme comico che s’era cresciuto dentro un tumore di chiacchiere per andare a crepare nell’Hotel California dei falliti, un deserto all’indirizzo “Calcio che convince”, rimirava la Corazzata Potemkin tutta attacco e brufoli che tanto aveva agognato. E non smetteva di considerarla una cagata pazzesca. Allegri che è più intelligente del nuovo juventino medio, non più travet della banalità della ciccia ma piacione in fuga dalla vittoria, li ha fregati tutti. In nome di tutti. Travestitosi in Sor Gente, dava scacco a critica e partita dandosi torto per il passato in cambio dell’aver ragione ancora una volta. In nome della gente metteva su una banda di stelle fuori ruolo tipo Brasile ’70 o Argentina ’94, quella di Balbo mediano. L’obiettivo era duplice: togliere voce ai tinti che gli vanno contro e tempo utile ai 90 minuti della Lazio. La formazione se così si può definirla la chiudeva infatti subito e amen. Il secondo tempo poi rivelava in pratica la bellezza del disegno vero del Mister, squadernando con esempi visibili la teoria padronale di Allegri che proprio la gente, la nuova gente, non capisce più. Controllo assoluto dei tempi di gioco. Attendismo poi incursioni. Minuti interi di possesso palla dichiaratamente non produttivo e non da esposizione in sala stampa. Il coraggio di non voler soddisfare alcuna frenesia, ansia, voglia di piacere. Il chiarire in modo plastico che questa roba, la Juve di Allegri, non finirà mai nei documentari sulle chincaglierie di Buffa e nemmeno nei taccuini di Benitez o Sarri. Questa è roba che non si può scrivere, non è fatta per essere descritta. E’ roba che si fa. E’ azione. Non è la seduzione verbosa del primato ma io Juve tu scudetto. Ora un’altra illusione sta girando, fomentata dalla gente che non si arrende al Dio è morto di Allegri e pure il campionato e continua a volere uno straccio di Giudizio universale. L’altra rottura di balle in arrivo è: ah ci avesse ascoltato prima, ora sempre così. Coi 3 attaccanti, più quello e più quell’altro. Ovviamente non ci saranno repliche. Quella di ieri è stata una contingenza, un capitolo di pragmatismo nella Grande bellezza di successi a discapito della frivolezza ipotizzata e realizzata dal regista toscano. Quella di ieri è una puntata della gestione del Palazzo, non l’inizio di una nuova era di rivoluzioni permanenti che finiscono davanti alle pompe di benzina chiuse. Non è possibile utilizzare sempre le star per il lavoro sporco. Quel tipo di controllo, di prendersi la gara punto, lo si può ottenere anche con gente più specializzata e in vestiti meno sgargianti. La classe operaia non andrà in Paradiso ma in campo alla prossima. Ieri non è morta. Era solo in panchina.
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