A cura di Riccardo Gramazio_Ricky Rage
Visionari e intensi, evocativi e smerimentali. Il nuovo disco de Il Silenzio Delle Vergini miscela narrazione e poesia, offrendoci continue e profonde riflessioni sulla vita. La band bergamasca non ama le etichette e, soprattutto, non ama restare ferma. I ragazzi non buttano via nessun riff, nessuna idea, lavorano bene, lasciandosi guidare dall’istinto, dall’ispirazione e dal desiderio di proporre arte. La Chiave Di Berenice è un disco più che particolare, composto da brani che non sono soltanto canzoni, bensì piccole biografie piene di sentimento e di suoni.
Ciao e benvenuti su MDN. Partiamo chiaramente dalle presentazioni. Chi siete e che cosa fate?
Il nostro progetto si chiama Il silenzio delle Vergini ed è un progetto nato nel 2017, con all’attivo tre album e un Ep. Siamo in tre: Armando alla chitarra, Cristina al basso e il mitico Marco alla batteria, un power trio insomma. Non abbiamo un unico genere di riferimento, siamo un po’ tante cose e non ci piacciono le etichette.
Freschissimo di pubblicazione, il vostro ultimo La Chiave Di Berenice rappresenta un ulteriore passo in avanti. Un album suggestivo, artisticamente libero e carico di suoni. Cosa mi raccontate?
Ti raccontiamo del nostro amore per la musica e la sperimentazione. Suonare è un divertimento, ma anche un impegno e una riflessione costante. Artisticamente non abbiamo mai rinunciato a una canzone, non abbiamo mai declinato un tentativo di dissonanza o di sonorità particolari. Sarebbe facile fare cover, o fare pop melenso senza reali obiettivi. Il nostro progetto è nato per offrire al pubblico un’esperienza che unisca poesia, musica, cinema e arte.
Sì, avete sperimentato molto e attraversato diversi ambienti musicali. Il risultato è davvero intenso oltre che distintivo. Ditemi, come siete arrivati a tutto questo?
Amiamo sperimentare. Se si fa un riff crediamo che sia inutile cestinarlo, ci si lavora sopra mettendoci gusto. Il gusto è soggettivo, ma di solito gli ascolti ci aiutano a capire cosa può funzionare e cosa no.
Non amate le etichette, ma in quale genere vi collochereste? Qui si va dal post rock alla new wave, in mezzo elettropop, psichedelia, indie e via dicendo…
Non esiste un genere di riferimento, spesso ci chiediamo cosa facciamo, ma non riusciamo a capire nemmeno noi che cosa siamo. All’estero, non si sente questa esigenza e tutto è più free, nel nostro Paese invece tutto deve avere un’etichetta.
Alla fine sono le canzoni a parlare; la voce di Cristina racconta, pone domande e offre riflessioni spesso poetiche. Il concept è particolarmente sognante. Ecco, cosa lega le dieci tracce?
Le canzoni si legano tra di loro perché parlano di differenti personaggi, inseriti in storie diverse.
Il disco è una sorta di biografia, un continuo flusso di coscienza. Tutti e tre adoriamo la narrazione, il racconto e la poesia come forma letteraria.
Nomi importanti costituiscono la tracklist. Avete voglia di raccontare qualcosa?
Ogni titolo rappresenta la storia e il vissuto di un personaggio: Berenice narra le vicende di una ragazza fragile che alla fine trova il coraggio di ribellarsi alla sua condizione; Pan, dio della natura, vuole essere una riflessione sull’ambiente che ci circonda e che spesso non amiamo; Anastasia parla della storia d’amore tra un ragazzo e una ragazza; Alba Varden è il nome di una nave legata ad un film. Ogni biografia si muove in maniera costante e continua alla ricerca di una soluzione, che può trovare o non trovare, come dei personaggi in cerca d’autore (Pirandello)
L’introduzione, tra l’altro, è affidata a Martin, a un Martin di assoluto spessore…
Martin Luther King è stato insieme a Gandhi, il vero ideatore della lotta non armata.
Avere un sogno, significa impegnarsi per poterlo realizzare, senza finzioni o scorciatoie.
E di Vincent cosa potete dirmi? Sono curioso…
Vincent, come Vincent Vega, parodia di gangster morto in un bagno sudicio e pulcioso.
Le tematiche sembrano guidare l’ascoltatore verso una sorta di autoconsapevolezza. Conoscere sé stessi, scavando a fondo… Ci può stare questa mia considerazione?
Sicuramente ci può stare: suonare e scrivere significa compiere uno sforzo costante di autovalutazione e di coscienza interiore. Nulla è scontato e nulla può essere lasciato al caso. Deve essere la musica a parlare, con le sue note, i suoi accordi e le sue emozioni. Banalmente, sarebbe più semplice comporre delle canzoni con tre accordi, scrivendo testi in cui si parla di belle ragazze, o di amori disperati attraverso i quali l’unico a raggiungere la felicità è il songwriter con i capelli corti in giacca hawaiana.
Esiste la benedetta o maledetta chiave?
Speriamo che sia benedetta! Abbiamo voluto dare un tono positivo al finale del disco in quanto crediamo che con l’amore si può uscire vincitori dai nostri momenti deboli.
La Chiave Di Berenice è il vostro quarto disco. Bene, avete voglia di raccontarmi il vostro prima?
Abbiamo attraversato tante fasi, la fase con le basi, senza basi, la fase della durezza, della tristezza, della gioia e dell’allegria. Ogni disco che abbiamo registrato ha un’anima diversa, un percorso diverso.
State scrivendo qualcosa di nuovo o siete soltanto concentrati sulla promozione del disco?
Stiamo iniziando a pensare a qualcosa di innovativo, sia nel look, che nella composizione. Vogliamo tornare ad essere molto più fisici, ritornando alle nostre radici di musicisti nati da jam.
Perché bisognerebbe ascoltare la vostra musica, secondo voi?
Bisognerebbe ascoltare la nostra musica perché cerchiamo di proporre qualcosa di nuovo, vogliamo proporre sempre nuove contaminazioni.
Salutate i lettori di MDN, lasciando tutti i vostri link di riferimento…
Un saluto da parte degli ISDV a tutti i lettori di MSN.
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