Oggi pensavo alla chimera della felicità.
Ho iniziato a riflettere su una sua possibile definizione.
A partire da ciò che non è.
Non è buon umore.
Non è il successo
Non è l’abusata “autostima”.
Non è sicuramente ottimismo.
Come possiamo allora definirla.
A mio parere così.
PIENA, PIACEVOLE, GRATIFICANTE CONSAPEVOLEZZA DEL CONTINGENTE, DELLE PARTI IN GIOCO E DELLE SUE DINAMICHE.
Ebbene si.
La felicità è uno stato di conoscenza senza più veli, chiamiamoli giudizi e colpe, sul vissuto in atto, i suoi attori, le regole del gioco e dei giocatori coinvolti.
Un pò la differenza che passa tra chi entrando in quel prato verde in cui un diamante d’erba purissima e piana come una tavola da biliardo, delimitata da un arco di terra rossa, vede la futura espressione della realtà, e chi altro non sa dire altro che su quel “diamante” si vive solo noia.
La differenza che passa tra chi conosce le regole e le dinamiche possibili del baseball, e di qualsiasi altro gioco, e chi non conoscendole giudica noiosa quella realtà.
La vita è felicità nel momento in cui ne percepisci e porti alla consapevolezza le sue infinite declinazioni, ne accetti la possibilità di entrarvi a contatto, e di giocarti le tue carte.
Serenamente, con la disponibilità a riprovarci se le cose non volgessero per il meglio.
Con la consapevolezza dell’essere in gioco pronti ad accogliere gli eventi che come un flash si attiveranno per coinvolgerti.
Et voilà.
La felicità ne è la piena consapevolezza e disponibilità a sentire e capire gli accadimenti.
Niente di più, niente di meno.
Possiamo anche chiamarla “voglia di vivere”.