In una stagione già abbastanza disgraziata, tra Covid, infortuni più o meno lunghi e protocolli calpestati come fossero cenci per pavimento, ci mancava solo la festa, poi divenuta festino e successivo intervento delle forze dell’ordine a certificare la violazione di tutte le norme anti-Covid e un danno d’immagine che, per una Società quotata in borsa, assume contorni abbastanza devastanti. Tutto questo nell’anno che per la Juventus avrebbe significato la conquista del “Decimo“, un traguardo a cui evidentemente il tifoso bianconero teneva più di quanto ci si potesse immaginare.
“Il pesce puzza dalla testa“, “I risultati sul campo sono lo specchio di quanto avviene fuori“, “La Juventus è allo sbando” sono solo alcune delle “carezze” riservate alla nostra amata Vecchia Signora da tanta parte della tifoseria in questo periodo in cui non pare esserci freno alla rapida caduta degli Dei. Gli stessi, o almeno in parte, che per una decade avevano dettato legge in Italia e si erano fatti largo anche in Europa. Dirigenti e giocatori che hanno stabilito un qualcosa di unico, straordinario e irripetibile, ma che non per questo possono fregiarsi dell’immunità da critica e anche pesante. Sì, perché se è vero che vincere non è semplice, rivincere è ancora più difficile e non è affatto scontato, è altresì vero che perdere lo si può fare con onore e dignità. Tutto quello che in questo momento alla Juventus non sembra appartenere.
Il tifoso ha diritto legittimo di critica, spesso lo fa sconfinando nell’eccesso, per superficialità, o perché molto innamorato e profondamente deluso dalle aspettative, oppure semplicemente perché ognuno ha le proprie idee. Chi è legittimato a raccontare la Juventus, o chi lo fa per passione, spesso ne ha preso le difese al cospetto di questi attacchi perché, lo ripeto, troppo superficialmente si dà per scontata la vittoria. Ma quando scegli di cambiare ti esponi a rischi e quando questi non portano ai risultati sperati o, peggio, portano ai risultati a cui ci sta “abituando” la squadra di Pirlo in questo ultimo mese e mezzo, diventa difficile per tutti. Chi scrive è prima un tifoso e poi un appassionato “scrittore” delle vicende bianconere e con tutto il rispetto per chi fa un lavoro più grande di noi che ci ergiamo a giudici di questo lavoro oggi sarebbe un po’ come difendere l’indifendibile. Passi il non vincere il decimo scudetto, passi ovviamente anche il non vincere la Champions League e passi pure qualche sconfitta inaspettata, ma tutto deve passare attraverso un percorso di ricostruzione e dignità.
Al Presidente Andrea Agnelli, a cui non vanno certo gli insulti che leggo regolarmente per le scelte fatte, mi sia consentito di chiedere di tornare in sella in maniera costante, forte, decisa perché la deriva a cui la Juventus sta andando incontro è figlia di una Società che all’esterno sta manifestando tutta la sua debolezza e la scellerata cena alla quale hanno partecipato Mckennie, Arthur e Dybala con rispettive famiglie in piena emergenza pandemica, senza retorica e falso moralismo, deve essere il punto di ripartenza per dimostrare a chiunque ancora non l’avesse capito, o a chiunque ancora avesse l’animo ribelle, che la Juventus non è per tutti e che la dimora sabauda è un privilegio assoluto.
La Juventus si gioca il futuro e ancor prima che sul campo (domani nel Derby col Torino sarà difficilissima) se lo gioca agli occhi di chi la osserva, per credibilità, rigore e rispetto. Personalmente non mi importa che Pirlo & co. siano già in piena emergenza per le defezioni di Demiral e Bonucci risultati positivi al Covid, mi interessa molto di più che la Società torni ad essere forte, rigorosa ed intransigente d’innanzi a situazioni che diversamente ne minano l’immagine di società modello che si è magistralmente costruita in questi ultimi 10 meravigliosi anni. I successi non sono mai casuali, non sono esclusivamente figli di ciò che avviene in campo. I successi nascono a monte grazie a una struttura forte e da un organigramma serio e professionale. Lo dico da tempi non sospetti che a questa Juve manca un uomo di raccordo come fu a suo tempo il Direttore Generale Luciano Moggi o come più recentemente fu l’Amministratore Delegato Beppe Marotta. Il processo di ringiovanimento dell’organigramma e della rosa messa in atto dalla Juventus è un percorso condivisibile ma l’accorpamento di più figure in una stessa persona spesso non ha pagato. Se a questo aggiungiamo che si è perseguita la strada della rivoluzione in panchina, affidando la stessa ad un neofita, devi esser pronto ad intervenire come uno scudo delle celere davanti agli attacchi dei manifestanti.
La Juventus deve ritrovare innanzitutto se stessa, dal Presidente troppo impegnato nelle faccende relative alla Superlega Europea, alla voglia di sudare e sputare sangue per migliorarsi e perseguire quelle vittorie che in terra sabauda, da quando la Juve è la Juve, sono l’unica cosa che conta. Quello sputare sangue che non deve essere la richiesta ai tre “ribelli” della cena quale punizione per il loro comportamento, quello sputare sangue che deve essere la base, sempre, ogni volta che un giocatore scende in campo con addosso la maglia bianconera. E sia chiaro a tutti che giocare a calcio a questi livelli, nella Juventus come in qualsiasi altra squadra, dalla Serie A alla Lega Pro, è un privilegio per pochi e questi privilegi comportano sacrifici. Non sono ragazzi come tutti e la Juventus riparta da qui.
FONTE: IL BLOG DI LUCA GRAMELLINI
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