Istantanee Rock

LA POTENZA DELLO ZAR Intervista ai Voland

 

a cura di Riccardo Gramazio (Ricky Rage)

 

Tra le proposte più interessanti del black metal d’impatto sinfonico troviamo sicuramente il terzo capitolo discografico dei Voland. Il duo bergamasco ha raccolto nuovi episodi della cultura russa, ponendo al centro del viaggio la figura imponente dello zar. L’Ep, che a conti fatti proprio Ep non è, sa di ambizione, di lavoro e di passione. I ragazzi sono usciti dallo studio con un disco imponente e pieno di contenuti concettuali e, soprattutto, sonori. Voland III è ricco sotto tutti i punti di vista, è particolare e culturalmente interessante. Per comprendere davvero la profondità di questo grande progetto abbiamo contattato direttamente il cantante Rimmon. Le domande sono davvero tante, e chi meglio di lui può soddisfare la nostra curiosità…

 

Ciao e benvenuto. Ovviamente la presentazione. Chi sono i Voland?

 

I Voland nascono nel 2007 come progetto in studio di duo black metal, con me (Rimmon) alla voce e Haiwas come polistrumentista. Da subito la musica prese una piega melodica rispetto al genere canonico, con l’introduzione di elementi atmosferici e sinfonici.

 

Quello che più incuriosisce della vostra musica, della vostra arte, è la passione per la storia della Russia. Ripercorrete con il vostro stile piuttosto unico alcuni episodi importanti. Presumo ci siano diversi studi dietro questo tipo di composizione. Spiegatemi meglio il tutto?

 

È stata una scelta tanto azzeccata quanto casuale. Risale alle origini del gruppo. Dopo aver scritto la musica dei primi pezzi venne il momento di scegliere una tematica per i testi. Volevamo tentare qualcosa di originale e diverso dai temi classici del black metal. In quel periodo stavo studiando la lingua russa ed ero molto affascinato da quella storia e cultura, perciò decisi di sperimentare dedicando la nostra prima canzone, Leningrad, all’assedio di quella città durante la seconda guerra mondiale. È un episodio tragico e terribile della storia russa, ma al contempo ricco di eroismo e spirito resistente, trovammo che ben si adattava alla nostra musica. Dopo quell’occasione decidemmo di continuare con l’esperimento usando altri episodi storici ed è, mano a mano, diventato il nostro marchio di fabbrica per quanto riguarda il versante dei testi.

 

Voland III – Il Culto degli Zar è il nuovo lavoro in studio. Metal tosto, ma anche epicità, teatralità e, come detto, storia. Come è nato questo progetto?

 

Direi che è stato semplicemente l’evoluzione del nostro sound negli anni. Il seme della teatralità c’era già dai primi lavori, ma era ancora piuttosto grezzo. Voland III è in certo senso il risultato della nostra crescita, aver cioè maturato nel tempo la consapevolezza di quali sono i nostri punti di forza e come meglio vorremmo esprimerli. Uno di questi e senza dubbio l’aver sviluppato l’elemento sinfonico che accompagna e spesso dirige quello metal, unendolo con altre influenze come ad esempio quella della musica folk popolare.

 

Zar è la parola d’ordine. Potere politico, sociale, ma per certi versi anche religioso. Non sono uno storico, sono semplicemente curioso. Cosa ha reso la figura dell’imperatore russo tanto piena da ispirare un disco?

 

Nemmeno noi siamo storici, infatti i brani non vanno presi come dei saggi, ma piuttosto come dei racconti messi in musica. I fatti raccontati non sono “la verità”, spesso sono soprattutto i punti di vista degli attori che abbiamo voluto mettere in campo. Devo dire che la figura dello zar come “collante” del concept del disco è arrivata dopo. Inizialmente c’erano solo alcuni episodi che avevo voglia di raccontare in versi, successivamente mi sono accorto che sullo sfondo si stagliava sempre questa figura ingombrante, che con le sue molteplici caratteristiche, spesso anche solo simboliche, aveva influenzato il modo di agire e di pensare di chi gli stava attorno, tanto tra gli amici quanto tra i nemici.

 

Lo zar Ivan IV, il Terribile, si prende per esempio la scena nel secondo brano del disco, Terza Roma…

 

E’ un pezzo che sta riscuotendo un buon successo tra i fan. Il ritornello è uscito particolarmente epico, al punto da far apparire l’intero brano come quasi celebrativo della figura di Ivan il Terribile. In realtà negli altri versi della canzone abbiamo evidenziato invece gli aspetti più controversi di questo monarca, ossia ciò che gli è valso il famoso epiteto. Musicalmente questo è stato reso dai passaggi più metal e oscuri, che rappresentano le sue crisi mistiche e violente, mentre le aperture più epiche e melodiche vogliono raffigurare i suoi successi come regnante fondamentale nella storia della Russia.

 

Veniamo all’altro aspetto importante del progetto: la lingua russa, che rende il tutto ancor più evocativo e originale. Insomma, non capita tutti i giorni di ascoltare dischi come il vostro. Ecco, aldilà della suggestione, perché questa scelta?

 

Abbiamo cominciato a usare il russo con degli inserti in stile “teatrale”, ovvero per meglio rendere l’atmosfera delle nostre canzoni, mentre la “voce narrante”, ovvero la lingua principale usata per i testi è sempre stata l’italiano. Col tempo abbiamo preso coscienza di quanto questa particolarità portava un elemento di interesse aggiuntivo alle nostre canzoni, siamo quindi passati da piccoli inserti a interi versi e per la prima volta, ne Il culto degli Zar, abbiamo un brano cantato interamente in russo, Promontorio. Inoltre è bello poter tributare autori russi, usando direttamente degli estratti di poesia. Nello scorso EP, Voland 2, abbiamo citato Majakovskij, nell’ultimo lavoro sono presenti vari autori della tradizione popolare russa.

 

In studio come sono andate le cose? Io dico che vi siete spaccati e non poco, considerata la mole di lavoro. In ogni caso ne è valsa la pena, il prodotto è davvero bello e curato. Mi risulta difficile dichiararlo EP…

 

È stato un discreto lavoraccio, soprattutto per Haiwas che si è occupato degli strumenti digitali e quindi dell’orchestra. Avendo deciso di ritagliare un ruolo così importante per l’elemento sinfonico, questa è la parte che ha richiesto più sforzi. Lo chiamiamo EP per convenzione, essendoci soltanto 4 brani nuovi, anche se questi da soli costituiscono quasi mezz’ora di musica. Inoltre, abbiamo aggiunto due brani vecchi riarrangiati live in studio come bonus tracks, quindi l’album completo raggiunge quasi i 40 minuti. Ci piace scrivere brani complessi, con strutture quasi progressive, proprio perché le canzoni crescono e mutano insieme alle storie che raccontiamo. Per questo motivo preferiamo concentrarci su pochi brani, pochi di numero, ma abbastanza complessi a livello di composizione.

 

Voland III, di fatto la vostra terza fatica. Avete voglia di riassumere la vostra storia?

 

Siamo nati come nicchia del black metal sinfonico, il progetto doveva nascere e morire come un side project underground, di fatti, dopo il primo EP, non abbiamo fatto più nulla per dieci anni. Ad esempio Haiwas e io abbiamo un’altra band, i Veratrum, a cui ci siamo dedicati mentre i Voland aspettavano in cantina. Il fatto è che durante questi anni la musica era girata a sufficienza da formare uno zoccolo duro di sostenitori, i quali ci hanno spronato a lungo per avere un seguito. È grazie a loro che nel 2017 abbiamo avuto la giusta motivazione per pubblicare finalmente Voland 2, era l’anno del centenario della rivoluzione d’ottobre, quindi una buona occasione per tornare a cantare di storia russa.

 

Ovviamente un discorso come il vostro non è in grado, ahimé, di raggiungere il grande pubblico…

 

Siamo nati come un piccolo progetto underground, ci accontenteremmo di raggiungere una sufficiente fetta del pubblico metal. Penso che la forza dei Voland sia al contempo la sua debolezza: ci piace mischiare in continuazione i generi e le influenze, per cui gli amanti dei generi canonici difficilmente si innamoreranno della nostra musica. Al contrario, chi apprezza le sperimentazioni potrebbe premiare i nostri sforzi.

 

E in Russia hanno ascoltato le vostre canzoni?

 

Sì, dalla Russia abbiamo avuto reazioni contrastanti. Molti hanno apprezzato l’interesse verso di loro, credo che dai testi emerga chiara l’intenzione di omaggiare la loro storia. Altri però vedono con diffidenza il fatto che degli occidentali vogliano cantare del loro Paese, il recente clima da nuova guerra fredda non aiuta certo gli scambi culturali. Alla fine conta sempre l’apertura mentale delle persone, vale per la musica come per i testi.

 

Quali sono stati gli artisti che più vi hanno ispirato? Sono certo che qualche nome potrebbe anche sorprendermi…

 

Le influenze sono tantissime, alcune esplicite, altre meno. Colgo l’occasione per citare Franco Battiato, scomparso pochi giorni fa, so che Haiwas lo considera il proprio musicista preferito. Per quanto riguarda la componente sinfonica e “cinematografica” della nostra musica ci piace citare l’accoppiata regista-compositore Eisenstein+Prokofiev, che a loro tempo lavorarono a temi da noi ripresi, come le gesta di Aleksandr Nevskij e Ivan il terribile. Nel mondo metal la lista sarebbe lunghissima, Rotting Christ, Dark Lunacy, Blind Guardian…

 

Faccio sempre una domanda agli artisti, una brutta domanda. Cosa pensate della situazione musicale in Italia? Il Covid ha soltanto peggiorato la faccenda…

 

Certo, molti posti hanno chiuso e forse ci saranno sempre meno locali disposti a far suonare dal vivo. A lato nostro cerchiamo di restare positivi, non siamo una formazione che fa tantissimi concerti all’anno, perciò ci basterebbe esibirci in pochi eventi mirati, abbastanza per raggiungere il nostro pubblico di riferimento.

 

Progetti futuri? Rimarrete sul Metal estremo o cercherete altre strade?

 

È presto per dirlo. Da un lato le nostre radici affondano nel mondo metal, quindi non credo sia probabile né auspicabile discostarcisi del tutto. Dall’altro verso è vero che la nostra componente estrema iniziale è andata diluendosi nel tempo per lasciare spazio a un suono più orchestrale e melodico, quindi forse faremo qualche esperimento con dei brani acustici, è tutto da vedere.

 

Quanto sarà difficile portare sul palco Voland III?

 

Sono brani complessi da suonare, ma credo che non ci saranno grossi problemi. Ricordo che solo pochi anni fa ci sembrava impossibile poter salire del tutto su un palco, dato che per molto tempo siamo stati solo in due nella band. Approfitto per citare i musicisti che dal 2018 hanno integrato la nostra formazione permettendoci di suonare dal vivo, Geu al basso e Riccardo Floridia (Sojourner, Atlas Pain) alla batteria. Sono inoltre presenti nei rispettivi ruoli anche ne Il culto degli Zar.

 

Un episodio della storia sovietica che vorreste raccontare nel prossimo disco?

 

Vorrei tornare un giorno sul tema della Seconda Guerra Mondiale, in particolare per l’aspetto dell’enorme sacrificio che quel Paese dovette sopportare per sopravvivere all’aggressione fascista e la successiva lotta per la liberazione e la vittoria. Ci sono gruppi metal che hanno usato quella guerra come ispirazione, devo dire che salvo pochissimi casi il rischio è quello di banalizzare molto il tema. E’ una pagina di storia a cui mi sento legato e finora ho esitato a tornare sul tema, dopo Leningrad, vorrei essere sicuro di aver raggiunto una sufficiente maturità artistica prima di intraprendere questa strada, per poter rendere giustizia a un argomento così serio.

 

Salutate i lettori di MDN con un messaggio…

 

Ringrazio i lettori per l’attenzione e la redazione per l’occasione offertaci di far sentire la nostra voce, invitiamo tutti ad ascoltare il nostro ultimo lavoro, Voland III: ЦАРЕПОКЛОНСТВО – Il Culto degli Zar, disponibile sulle principali piattaforme:

 

FB: https://www.facebook.com/voland.band

Bandcamp: https://volandblack.bandcamp.com/

Spotify: https://open.spotify.com/artist/0Avj9kWuJJ677HpEpil44j

YT: https://www.youtube.com/channel/UCqeI0VYv80ODc09ciwI0g1Q

 

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