Interviste

L’ARTE DI MICHELE GIRO Intervista al compositore bolzanino

 

 

 

A cura di Riccardo Gramazio (Ricky Rage)

 

Colta, molto colta, ma allo stesso tempo accessibile. L’opera del pianista Michele Giro sembrerebbe vibrare intorno a un simile concetto. Ma c’è tanto, ovviamente, perché il talento compositivo di questo straordinario artista capace di percorrere indistintamente le vie della musica classica e quelle del jazz è davvero immenso. Quello di Michele è un percorso intenso, fatto di studi, di incontri, di di ricerca musicale e di momenti profondi. Ora è il momento di My Standards del Michele Giro Trio, personale e importante manifesto jazz, suonato divinamente e ricco di eccellenti passi sonori. Da Bolzano a Salisburgo, dall’amore per la musica classica alla laurea in psicologia… Non sarà facile chiedere tutto, ma ci proveremo.

 

Ciao, Michele, benvenuto. Il tuo è stato un percorso umano e artistico di tutto rispetto, direi ricco sotto tutti i punti di vista. Io ho avuto già il piacere di scambiare quattro chiacchiere con te, ma i nostri lettori probabilmente non ti conoscono ancora. Chi sei? So che hai tante cose da raccontare…

 

Ciao, mi chiamo Michele Giro e sono nato a Bolzano il 15/9/1968. Ho iniziato a suonare il pianoforte all’età di sei anni e ho continuato lo studio di questo bellissimo strumento come privatista fino all’età di quattordici anni. In seguito sono stato ammesso al Conservatorio Monteverdi di Bolzano (nella classe di pianoforte della prof. Mohovich) e mi sono poi diplomato con “summa cum laude” nel 1988. Ho proseguito i miei studi musicali a Salisburgo, presso l’università della musica “Mozarteum” (studiando musica da camera pianistica), e ho frequentato parallelamente l’università di psicologia, laureandomi nel 1995. Con il Jazz sono venuto in contatto nel periodo a cavallo tra le scuole medie e le superiori, sia attraverso dischi e musicassette che giravano a casa (Armstrong, Modern Jazz Quartet, Bacharach), sia attraverso il famoso Köln Konzert di Keith Jarrett, regalatomi da una mia zia per natale, un disco che mi ha letteralmente folgorato, a tal punto da ascoltarlo quasi giorno e notte e a trascriverne gran parte nel corso degli anni a seguire. Per quanto riguarda il Jazz ho frequentato sempre come privatista delle lezioni di Jazz dal Maestro Caramani (di Bolzano), all’età di diciassette anni ero invece presso le Jazz Clinics del festival Umbria Jazz (che esperienza indimenticabile) e infine mi sono iscritto e ho concluso (nel 1999) il triennio di musica Jazz presso il Conservatorio di Trento, sotto la guida del Maestro Franco d’Andrea. Nel 1993 nasce il trio Jazz Fantasy, con Roman Hinteregger alla batteria e Norbert Dalsass al basso, un trio con il quale ho sostenuto numerosissimi concerti (anche con ospiti nazionali ed internazionali come Kh. Miklin, Fr. Ambrosetti, S. Satta, L. Begonia, B. De Filippi, T. Tracanna, Fl. Bramböck), vincendo anche alcuni importanti concorsi. Il trio, che oramai vanta una età di ventinove anni, è tuttora attivo e creativamente impegnato. Ho poi in attivo sul versante sia classico che Jazz collaborazioni, concerti e registrazioni con diversi musicisti locali; attualmente collaboro in veste di accompagnatore con le più importanti cantanti della scena Altoatesina.

Il Michele Giro Trio, cioè la formazione dell’album My standards è nato nel 2015, in concomitanza con la registrazione del primo cd Childhood.

 

Formazione classica e amore incondizionato per il jazz. Tanta roba… Due mondi distinti, diversi e profondi, che coesistono perfettamente all’interno della tua opera. Come sei riuscito a portare avanti in egual misura contesti sonori così intensi, complessi e distanti?

 

Difatti il mondo del jazz e quello classico a prima vista possono apparire molto distanti, personalmente però li ho sempre vissuti come vicini, non distinti e naturalmente connessi. Basti pensare che l’arte dell’improvvisazione era un requisito fondamentale nella musica rinascimentale e barocca; ma anche nell’era classica e in quella romantica, l’improvvisazione (intesa specialmente come capacità di variare e abbellire un tema) faceva parte del corredo di ogni buon musicista. È poi anche vero che i miei punti di riferimento nell’universo del jazz sono musicisti molto vicini alla musica classica, sia per il modo di suonare, il tocco, sia per la raffinatezza armonica e per la polifonia, penso nello specifico a Bill Evans e al suo approccio molto cameristico al trio jazz, oppure a Keith Jarrett, sublime improvvisatore, dotato di ricchezza armonica e grande tecnica pianistica (ha infatti anche registrato complesse opere di compositori classici, come Bach o Shostakovich).  Ed è così che passare da un brano di Bach, Chopin o anche Rachmaninoff a un brano jazz, non mi è mai apparso come uno strappo, ma ho sempre vissuto il passaggio da un genere all’altro (e viceversa) come un naturale flusso.

 

Bolzano, ma anche Salisburgo. L’importanza della città austriaca è oggettiva: parliamo di un Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO, di Mozart e, appunto, del Mozarteum. Che valore ha però per te Salisburgo?

 

Salisburgo è una città particolarmente suggestiva e unica nel suo genere. In ogni angolo è possibile percepirne l’eccezionale atmosfera e respirare l’eredità storica che questa meravigliosa città

è in grado di offrire. Purtroppo però lo studio in parallelo di musica e psicologica è stato molto intenso e pertanto gli spazi di tempo a disposizione per godere più intensamente di questa città sono stati purtroppo rari. Ho tuttavia avuto la fortuna di poter soggiornare nei miei anni universitari presso il convento dei Padri Cappuccini, un convento con annesso ostello per studenti che sovrasta dall’omonimo Kapuzinerberg (monte dei Cappuccini) la città, offrendo un panorama mozzafiato sul centro di Salisburgo, sul famoso Duomo e le tante chiese, come sulla famosissima  Festung Hohensalzburg.

 

Veniamo finalmente al tuo ultimo bellissimo lavoro. Cosa rappresenta per te My Standards?

 

My standards rappresenta per me una specie di manifesto musicale. Il titolo, che può apparire presuntuoso, vuole indicare che sul cd si trovano brani jazz che rappresentano il mio personale modo di concepire e interpretare il jazz, cioè quello che sento come “standard”.  L’ascoltatore curioso di comprendere il mio modo di sentire, comporre e improvvisare il jazz, spero possa trovare in questo album delle valide risposte e indicazioni.

 

Il disco, a mio modo di vedere, testimonia quanto detto in precedenza: musica classica e jazz convivono in armonia. Eppure non mancano sperimentazioni varie. Quanto è stato difficile concepire, scrivere ed eseguire brani di questo valore?

 

Comporre, elaborare, scrivere ed eseguire i brani contenuti nell’album My standards non è stato un processo semplice e nemmeno immediato. I brani non sono nati per così dire di botto, ma sono frutto di un lungo processo di revisione e modificazione. Questo deriva proprio dal fatto che avevo fermamente e consapevolmente deciso di presentare dei brani che fossero da un lato orecchiabili e accessibili, dall’altro però anche armonicamente sofisticati, complessi, stimolanti e quindi non scontati.

 

Con te, a formare il trio, Marco Stagni e il già citato Roman Hinteregger. Presentiamo anche loro?

 

Con Roman Hinteregger, batterista di Bressanone, come detto, collaboro già dal lontano 1993, che corrisponde alla nascita del trio Jazz Fantasy. Anche Roman si è specializzato in jazz, nella rinomata università della musica di Graz, in Austria. È un batterista molto versatile e assai musicale, in grado di assecondare al meglio le mie concezioni, le mie esigenze musicali e di interplay.

Marco Stagni, bassista di Bolzano, vanta una serie di intense collaborazioni sia a livello nazionale, sia a livello internazionale; è in grado di muoversi abilmente all’interno di diversi stili musicali, mantenendo però sempre una riconoscibile coerenza e un approccio ritmico-armonico assai personale e quindi inconfondibile..

 

Come è stato registrato l’album? A livello tecnico, intendo.

 

L’album è stato registrato presso lo studio Digitube di Carlo Cantini, nei pressi di Mantova. Da Carlo Cantini ho già registrato vari album (sia con i Jazz Fantasy, sia con la cantante Evi Mair) e mi sono sempre trovato a mio perfetto agio, non solo per quanto riguarda l’ottima qualità dell’equipaggiamento audio e strumentale che lo studio Digitube offre, ma specialmente per le sublimi doti musicali di Carlo (lui stesso è un violinista diplomato e suona assieme a musicisti del calibro di Trilok Gurtu, per rendere l’idea), che è in grado di seguire le registrazioni con enorme attenzione al dettaglio. Essendo anche lui profondo conoscitore del jazz e delle peculiarità ritmico-armoniche di questo genere di musica, dimostra una pressoché immediata comprensione non solo della struttura del brano che si registra, ma anche delle intenzioni dei musicisti, ai quali è in grado di offrire talora preziosissimi consigli.

 

Differenze con le tue altre produzioni?

 

My standards è il secondo album del Michele Giro Trio, il precedente è Childhood.

La differenza con altre produzioni precedenti (con i Jazz Fantasy, oppure con altri musicisti locali come il bassista Stefano Colpi, il sassofonista Fiorenzo Zeni per citarne alcuni), risiede nel fatto che è proprio attraverso questa formazione di trio jazz che sono veramente (e forse anche finalmente) riuscito a esprimere e a dimostrare suonando quella che è la mia profonda, sincera e personale concezione del jazz.

 

Il brano d’apertura, Lost Dreams, è un incipit perfetto. Il contatto con l’ascoltatore è stabilito, siamo già in viaggio. Non abbiamo parole, soltanto musica, eppure racconti sulle note del tuo piano i sogni persi… Come è nato? E quanta attualità ha inciso sulla scrittura?

 

La maggior parte delle mie composizioni  nasce da una relativamente piccola idea melodica e armonica, dietro la quale, non di rado, si nasconde anche uno specifico stato d’animo. Lost dreams è nato da una breve sequenza musicale, sviluppata poi sia armonicamente sia melodicamente, con l’intenzione di giungere gradualmente a una composizione che fosse sufficientemente articolata e a livello armonico complessa, ma come già precedentemente detto, al contempo anche orecchiabile e accessibile. L’andamento un po’ triste e nostalgico, mi ha poi suggerito il titolo Lost dreams. Ed è proprio con l’avanzare dell’età, oramai ho già cinquantatre anni, che la sensazione dei sogni ormai non più realizzabili e quindi “persi” ogni tanto mi assale. Credo che Lost dreams riesca a rendere al meglio questo mio particolare stato d’animo.

 

Nostango è una composizione, come da titolo, latineggiante e che sembra differenziarsi particolarmente dalle altre tracce, comunque tutte molto significative. Ecco, sono curioso, perché in scaletta troviamo anche un titolo come Blues For Che…

 

Sì, infatti, i brani Nostango e Blues for Che sono i più latini (assieme a Springwater, che è una bossa). Il jazz con impronta latina o comunque folk (penso a pianisti come Abdullah Ibrahim aka Dollar Brand, Michel Camilo, Gonzalo Rubalcaba o Egberto Gismonti) mi ha sempre affascinato ed entusiasmato, pertanto non potevano mancare in questo album dei brani in questo stile. Nostango è una rielaborazione di una mia precedente composizione, registrata con la cantante altoatesina Judit Pixner, mentre Blues for Che è un brano dedicato a Che Guevara, il comandante. All’interno cito infatti anche la canzone Hasta siempre Comandante.

 

La cosa che più mi ha sorpreso di My Standards, ripetiamolo, è l’assoluta accessibilità. Questo aspetto è un grandissimo punto di forza del disco e, sono sicuro, da te nemmeno ponderato. Magari sono fuori strada, ma trovo Bachardi, giusto per citare un altro titolo, molto godibile e orecchiabile…

 

La mia formazione classica ha esercitato su di me una fortissima influenza rispetto all’attenzione che pongo sulla forma, sulla struttura e sull’impalcatura armonica delle mie composizioni. In questo senso è proprio una mia esigenza molto sentita, quella di evidenziare e riproporre anche all’interno dei brani jazz da me scritti queste particolari caratteristiche che contraddistinguono le composizioni della musica classica. Ed è forse proprio questo il motivo: i miei brani jazz, possono apparire più accessibili e comprensibili anche a chi non è abituato ad ascoltarlo.

 

Che rapporto hai con gli altri generi musicali? Vai tranquillo, qualsiasi sia la tua risposta…

 

La mia vera passione è ovviamente la musica classica, specialmente quella per pianoforte. Il jazz si è aggiunto poi gradualmente durante il periodo delle scuole medie. Nel periodo delle superiori poi mi sono avvicinato anche alla musica funky-soul e jazz-fusion. Gli altri generi musicali, come il rock, rap per citarne alcuni, li ho sempre percepiti come distanti dal mio mondo musicale. Tuttavia nel corso degli ultimi anni, probabilmente a causa dell’avanzare dell’età e dell’insorgere di una certa nostalgia, sto quasi involontariamente riscoprendo territori sonori che in gioventù non avevo preso in considerazione.

 

Psicologia e musica jazz. Cosa lega questi universi infiniti? Lo so, bisognerebbe scrivere un libro di mille e passa pagine forse, ma dovevo per forza porti questa domanda…

 

Il legame tra jazz e psicologia è nato inizialmente per esigenze personali e di studio. Essendo da giovane abituato a vivere in parallelo scuola e conservatorio, ho voluto continuare su questa via, iscrivendomi sia all’università (psicologia, una materia che mi ha del resto sempre affascinato), sia proseguendo i miei studi pianistici. Ovviamente ci sono poi tantissime assonanze tra jazz e psicologia. Basti pensare all’improvvisazione che, se “sincera” (e con il termine sincera intendo una improvvisazione che non sia un mero esercizio di allineamento di pattern musicali già studiati e preconfezionati), diventa sia per chi esegue sia per chi ascolta una vera e propria seduta di psicoterapia e può avere effetti assai curativi e catartici.

 

State promuovendo il disco dal vivo?

 

Proprio in questi giorni stiamo pianificando una promozione dal vivo. Speriamo di riuscire ad organizzare alcuni concerti sul territorio altoatesino nei mesi autunnali e invernali.

 

Progetti futuri?

 

Spero fortemente in un terzo cd con il Michele Giro Trio e ho già alcune nuove composizioni, come si dice, nel cassetto.

 

Qualcosa che non ti ho chiesto e che vorresti dire?

 

Vorrei ringraziare Alberto Mantovani di Cose Sonore (Alman Music), che ha preso a cuore il progetto del Michele Giro Trio, decidendo di produrci e di promuoverci.

 

Saluta i lettori di MDN, lasciando magari i tuoi link di riferimento…

 

Un carissimo saluto a tutte le lettrici e ai lettori di MDN. Citando Guerre Stellari, che adoro, vi auguro che la musica sia sempre con voi! Purtroppo il Michele Giro Trio non ha una homepage, tuttavia My standards è presente sulle piattaforme Spotify, Youtube, Apple Music e Deezer.

 

 

megliodiniente

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