a cura di Salvatore Alfieri
I MilkSnake sono stati una delle più belle scoperte del mio 2020. Scoperti a dicembre, mi hanno davvero stupito e meravigliato cosi tanto che ho iniziato ad informarmi su di loro fino a conoscere Hari, il batterista. Sono una band punk hardcore attiva dal 2010. Dopo un EP uscito nel 2011, la band è stata ferma diversi anni e si è riunita nel 2019 che dopo vari cambi di line up ha visto finalmente la formazione definitiva con Giulia, basso e voce, Hari alla batteria ed Alessandro, chitarra e voce. A fine marzo del 2020 in piena pandemia è uscito il loro primo disco, “The Real Eye Of God”. Fatemelo dire; un capolavoro dell’hardcore italiano. Un power trio vecchio stampo, cattivi e grezzi. Il loro e’ un perfetto mix fra rock’n’roll e hardcore, mi ricordano molto i Motorhead, sia per la grinta strumentale che per l’attitudine.
Il CD è uscito coprodotto da Romagna Sgroza, True Believers, Rumori in Cantina, Pogohai Records, Mastice Produzioni e O2 Records e sono 8 tracce infuocate di puro hardcore con tante contaminazioni che li rendono interessanti e poco scontati.
Si parla di malessere e disagio e se ne parla con un approccio che condivido e va condiviso, un malessere e disagio interiore che vivono e stiamo vivendo da troppi anni. La voce di Giulia mi ha letteralmente stupito. Mi aspettavo qualcosa di rozzo, grezzo e rumoroso. Invece ha una bellissima voce, melodica ma anche cattiva e si amalgama perfettamente con il muro sonoro degli altri due casinisti che l’accompagnano. Con questo mi sento in dovere di sfatare la voce che li paragona al gruppo punk The Distillers. Non ci trovo molte similitudini in quanto i MilkSnake sono più aperti a molte influenze e quindi non sono monotoni e non stancano per niente.
Ha gestire il groove e’ quel mattacchione di Hari, un batterista autodidatta mostruosamente mostruoso. Trasmette una grinta che non può lasciare indifferente nemmeno l’ascoltatore più lontano del genere, ogni volta che fa partire un breakdown mi fa impazzire. La loro grande esperienza fatta sui palchi li ha resi maturi ed ben compatti, e quello che percepiamo nell’ascolto di queste tracce è sicuramente una grande voglia di far pogare il pubblico sotto palco con il loro muro sonoro compatto e diretto. Il songwriting è semplice e scarno. Pochi fronzoli in generale e pochissimi tecnicismi, per fortuna.
Si comincia subito a fare sul serio già a partite dalla opening track, “Freak”, che è un concentrato vero e proprio di velocità punk’n’roll alla Motörhead . “Kelevra” e’ la canzone che più mi ha colpito. Intonazione cattiva e “arrabbiata” ma allo stesso tempo con una abile ricerca melodica vocale che non tutti i cantanti che fanno questo genere hanno. Per non parlare del breakdown in chiusura del brano, mi ha rapito in maniera incredibile con la sua forte carica emotiva. L’unica pecca e’ che dura poco. Con “Cocaine ” e “No regrets” non si fa altro che confermare quello che avevo detto prima, energia e groove veloce e cattivo molto garage old school nella pura essenza del termine. Pezzi cupi, introspettivi che non temono eguali, un sound di profonda matrice. Ve lo consiglio, le tracce scorrono via con grande fluidità, senza momenti di incertezza o cali di ritmo.
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