A cura di Riccardo Gramazio_Ricky Rage
Luca Pasquadibisceglie è un grande scrittore, nessun dubbio a riguardo. I suoi libri sono semplicemente composti perfetti di parole, di immagini, di emozioni e di musica. Luca riesce di fatto e a modo suo ad amalgamare i tanti ingredienti presi qui e lì dalla vita, ispirando e lasciandosi ispirare da qualsiasi forza. Le sue ormai tante pagine, divise in tre ottimi romanzi colmi di umanità, ci offrono un ritratto onesto e sincero dei nostri giorni. Ma non è tutto, anzi, quello che possiamo leggere non è altro che una piccola parte degli universi letterari e sonori da lui concepiti o metabolizzato. Quindi, prendetevi tempo, leggete questa intervista e recuperate il personaggio in questione. Magari proprio come ho fatto io, entrando nel cuore di una delle sue opere… Ne vale davvero la pena.
Ciao, Luca. Benvenuto su MDN. So che ti occupi di diverse cose, di moltissime cose, ma a livello prettamente artistico come ti presenteresti ai nostri lettori?
Sono uno scrittore, tutto qui. Vedo colori, mondi e storie attorno a me e le scrivo. E quando non le vedo, le invento. Molta della mia energia quotidiana viene spesa in questo processo, che per mille noiose ragioni non mi fa vivere di esso, ma non mi abbandona mai. La musica ne è il complemento naturale, perché quando scrivo dipingo con le parole quello che immagino, ma anche compongo (o almeno cerco di farlo) le canzoni che le immagini mi ispirano. È un processo circolare che si autoalimenta, non so definirlo in altro modo.
Io ho avuto modo di conoscerti meglio attraverso Brucia La Notte, il tuo romanzo del 2019. Il libro è davvero piacevole, intenso e ricco di umanità. Cosa puoi dirmi a riguardo?
Una decina di anni fa pensai a un progetto per parlare di musica nelle scuole, ancora prima di trovare un editore per il mio romanzo di esordio, La meglio famiglia. Con Solchi e Parole incontrai molte classi, dalle elementari alle superiori, e scoprii con sorpresa che molti bambini e ragazzi non avevano mai visto un disco in vinile. Dopo qualche mese pensai di emulare, chiaramente su altra scala, Johnny Cash e il suo Live at San Quentin (il famoso carcere di massima sicurezza statunitense) organizzando due incontri musicali con i detenuti del carcere di Biella, la città dove vivo. Ricordo chiaramente quel sabato mattina, quando bevendo un caffè in un bar prima di entrare in carcere, ascoltai e vidi attonito e sconvolto i primi servizi in arrivo da Parigi. Fu uno shock, e pensai immediatamente a come rendere onore, nel mio piccolo, a chi era uscito di casa per andare ad ascoltare un concerto rock e non aveva più fatto ritorno. Ma, fin da subito, mi dissi che la storia non avrebbe dovuto avere alcuna connotazione politica o di altra natura che non fosse una semplice, diretta e sentita dichiarazione d’amore verso la musica. Poi, nei mesi, molto è cambiato da quella idea (tanto per dire, l’ambientazione era romana e non torinese, poi per fortuna ci ripensai), ma penso che in fondo Brucia la notte sia soprattutto questo: una storia d’amore musicale, non a caso divisa in quattro parti come le facciate di un vinile doppio.
Oltre a raccontare i disagi, le difficoltà, le sensazioni e i tormenti dei giovani di oggi, il libro ripercorre appunto quel maledetto 13 novembre del 2015. L’incubo del Bataclan ha segnato inevitabilmente le nostre vite, rendendoci in qualche modo ancor più vulnerabili. Allargando il discorso e inserendo gli anni del Covid e lo scontro tra Russia e Ucraina, mi viene però da pensare che proprio i più giovani costituiscano la parte emotivamente più devastata e in balia del caos. Insomma, nel giro di quasi dieci anni ne hanno viste di ogni, eppure sono il futuro. Cosa pensi di questa mia riflessione?
Concordo, anche se io allargherei un po’ il raggio del tuo ragionamento: i giovani non sono altro che lo specchio, direi più che altro il frutto, delle generazioni che li hanno preceduti. Nel bene e nel male, siamo ancora i nostri nonni e genitori. E i nostri figli sono anche, ancora nel bene e nel male, tutti loro e naturalmente noi. Questi anni così intensamente dolorosi hanno segnato tutti, a livelli più o meno profondi e più o meno comprensibili, ed è inevitabile che ogni evento così traumatico si amplifichi in chi, almeno in apparenza, è più debole e senza difese rispetto ai più anziani. Ma, come correttamente dici tu, i giovani sono il futuro, e hanno forze che noi adulti sempre più anziani nemmeno ricordiamo più. Sono confusi come lo siamo noi, parlando in generale, ma hanno dalla loro quella leggera spensieratezza (quando non diventa superficiale menefreghismo nichilista) e allo stesso tempo quella voglia di cambiare il mondo che noi stiamo dimenticando delusione dopo delusione. Aggiungo però che la loro sensibilità non è più concentrata sul cambiare il mondo, ma per fortuna molti di essi si sono resi conto che lo devono salvare dai disastri perpetrati a ogni livello da chi li ha preceduti, e non è poco. Insomma, la loro lotta è più complicata e più urgente.
I tuoi Renato, Simone e Rebecca, personaggi estremamente diversi tra di loro, cercano tuttavia di starci dentro e di trovare il proprio posto. Hanno menti brillanti, ma soffrono, si perdono. Come sono nati e cosa li rende secondo te unici?
L’idea originale li vedeva adulti, almeno in termini anagrafici, e dapprima romani e poi milanesi. Poi, in fase di terza stesura e con un editing più mirato, mi sono reso conto che era tutto sbagliato: dovevano essere, proprio quel quello che hai colto tu, non più i miei fratelli minori o i miei colleghi: dovevano essere i miei figli. In ciascuno di essi, chi mi conosce sa che l’ho fatto molto più in Simone e Rebecca rispetto a Renato, ho riversato molto del me stesso che ha plasmato la storia. La passione musicale, quella fotografica, la testardaggine nel voler raggiungere i proprio obiettivi, il volersi far male per sentirsi vivi o per dimenticare di esserlo, il lancinante senso di sofferenza e di abbandono quando capisci di aver riposto il tuo amore in un cuore incapace di riceverlo e in qualche modo di meritarselo ancora prima di corrisponderlo. Confesso che, senza svelare nulla, il colpo di scena finale è, insieme al finale del successivo Le Attese, fra le pagine più difficili che abbia mai dovuto scrivere. E la critica più gradita che abbia ricevuto al riguardo è quella che ho terminato la storia nell’unico, impossibile modo possibile (so che suona strano ma è così, leggendo lo capirete). E sono riuscito a renderlo con una delicatezza e sensibilità femminile che ancora oggi non mi so compiutamente spiegare.
L’altro protagonista del romanzo è eccellente: voce fuori campo, coscienza, pensiero. Non vorrei spoilerare troppo nemmeno io, ma credo che sia proprio questa figura a incrementare il valore della tua opera, rendendola davvero struggente. Perché Matisse?
È stata una delle prime idee, se non la prima. Avevo bisogno di una voce che esulasse da tutto il resto della storia e che allo stesso tempo, soprattutto nella seconda parte della storia (quindi nei lati C e D del vinile immaginario lungo il quale si svolge Brucia la notte) ne fosse architrave irrinunciabile. Tornando alla genesi del romanzo, è il mio modo per rendere omaggio alle vittime del Bataclan e ai loro amici e parenti. Mi piace pensare che Matisse sia, anche se so che è un pensiero impossibile e anche folle, il mezzo attraverso cui le anime delle vittime del Bataclan in qualche modo vivono ancora e ci fanno commuovere, ricordandoci che oggi ci siamo e domani, non importa a causa o per colpa di chi, potremmo non esserci più.
E come detto c’è la musica, tanta musica, l’altra tua grande passione. Abbiamo per esempio il sito di Renato e Simone, quel Vinylplay sempre più seguito, il concerto degli Eagles Of Death Metal a Parigi e un sacco di citazioni varie. Ecco, quanto ti è piaciuto nel concreto legare letteratura e musica?
È semplice: senza musica non esiste la mia scrittura. Quando penso a una storia e poi la scrivo, ho sempre musica sia in testa che, fisicamente, attorno. Ti confesso, però, che potrei e dovrei fare molto di più per rendere evidente nel mio lavoro creativo quello che emerge quando parlo alle presentazioni dei romanzi: molti mi hanno fatto notare che quando parlo della musica che amo e che ascolto quasi mi trasformo, e le parole e il mio trasporto mentre ne parlo dimostrano una passione che è, in fondo, il tratto distintivo della mia vita. Brucia la notte ha molto di Leonard Cohen, così come Le attese ha molto di Trent Reznor e dei suoi Nine Inch Nails. La meglio famiglia, anche per la sua natura corale e forse meno diretta rispetto agli altri due romanzi, è nata e si è nutrita di molti altri nomi, quindi non ne cito nemmeno uno per non far torto agli altri (a parte l’intera discografia degli Afterhours, cui devo moltissimo per la figura di Monica). Nel mio prossimo romanzo cercherò di far trasparire molto di più questa visione, anche se in un modo del tutto (spero) diverso dal solito.
A chi consiglieresti questo libro?
Domanda complicata, al di là delle apparenze. Direi che Brucia la notte è un libro per chi vuole sognare, nel senso che non tutti i sogni sono belli, ma decidono dove portarti e tu, mentre sogni, proprio come quando leggi, puoi soltanto decidere di arrenderti a essi e vedere fin dove arrivano e ti portano. È un libro duro e per certi versi cattivo, fa male ma ti fa sorridere, ti fa piangere di dolore e di passione, poi ti abbandona nel deserto e, forse, quando stai per morire ti porge un bicchiere d’acqua fresca per regalarti ancora una lacrima (e una pagina) di speranza e di vita.
Hai voglia di presentare in breve anche gli altri tuoi romanzi, dato che ne hai parlato?
La meglio famiglia è un romanzo pazzo: trovare una casa editrice che facesse esordire un quasi cinquantenne con una saga familiare stile Dallas, ambientata in una Biella inventata ma non troppo e lunga quattrocento pagine e passa è stato un miracolo. Ma Edizioni Effedì l’ha fatto e, senza falsa modestia, credo non se ne sia mai pentita. Anche perché ha continuato a pubblicarmi, e non era scontato. Le attese è invece un noir di ispirazione nordeuropea, duro e diretto e spietato, diviso in due parti. E sono riuscito a renderlo nel modo che mi ero prefissato: per la prima metà del libro non si capisce chi stia parlando. Molti di coloro che l’hanno letto e hanno il mio numero di telefono, quando hanno letto la prima riga della prima pagina della seconda parte, e hanno quindi capito chi è la voce narrante, mi hanno scritto una serie di insulti molto creativa.
Cosa differenzia i vari libri?
Tutto, dallo stile narrativo all’idea di fondo alla musica che più o meno velatamente emerge dalle pagine. La critica più gratificante che possa ricevere è, appunto, che i tre romanzi sembrano scritti da tre persone diverse. Lo stile più variegato è quello de La meglio famiglia: ho inventato tutto della Biella che descrivo, e dal momento che la storia si svolge dalla Seconda guerra mondiale ai giorni nostri ho inserito telegrammi, pagine di giornale, temi scolastici, interviste, siti web glob, sms, chat. Insomma, ogni mezzo per rendere la storia e annoiare il meno possibile il lettore. Per finire, la critica più curiosa (ma anche la più frequente) è che scrivo con uno stile molto femminile, e che riesco a rendere con estrema precisione l’universo sentimentale e sessuale, di ragionamento e di sensazioni profonde, di ogni figura femminile che invento.
Tornando alla musica, te ne occupi anche attivamente.
Se posso, questa domanda la salto, penso di aver già risposto e, nel caso della musica suonata dal mio basso, avendo abbandonato le scene da una decina d’anni rischio di diventare troppo melodrammatico. Aggiungo solo che il progetto Solchi e parole si è fermato durante il periodo del Covid e che per ora non ha altri orizzonti futuri.
Quali sono gli autori e i musicisti che più ti hanno ispirato nel corso del tempo? Lo so, la lista sarebbe lunghissima…
Già, e per non far torto a nessuno cito soltanto qualche nome, diciamo i santini virtuali che ho sul comodino: Ernest Hemingway, Goerge Orwell, Giorgio Scerbanenco, Roger Waters, Leonard Cohen, Fabrizio de André. Ma restano in libreria e nello scaffale dei vinili decine di altri nomi. E non solo legati alla letteratura e alla musica. Per esempio, Magritte può rapirmi per ore, così come Vivian Maier.
Progetti futuri? Stai scrivendo cose nuove…
Sì, sono partito proprio in questi giorni con la prima stesura del mio nuovo romanzo. Ci penso da tre anni, e ormai i tempi sono maturi per cercare di tirar fuori dal cuore e dalla testa gran parte di quello che ho accumulato finora, altrimenti rischio davvero di non dormire più.
Saluta i nostri lettori, allegando tutti i tuoi principali link...
Sono, anche se sempre meno, su facebook con il nome Luca Pasquy, e i romanzi hanno ciascuno la propria pagina: La meglio famiglia, Brucia la notte e Le attese. Su instagram pubblico le mie fotografie, quasi tutte riconducibili allo stile street, e il profilo è luca_pasquy. L’ultima idea che ho avuto, poco prima della collaborazione con voi, è stata quella di pillolecult su twitter, un account della scudera pilloledirock attraverso cui scrivo di autori e opere, appunto, cult. Anzi, ho conosciuto la vostra realtà proprio grazie a uno scambio di tweet, e da lì sono arrivato… qui.
Amazon: https://www.amazon.it/s?i=stripbooks&rh=p_27%3ALuca+Pasquadibisceglie&ref=dp_byline_sr_book_1