Lascia a soli nove anni l’isola di Guadalupa per trasferirsi, con la famiglia, a Parigi. La sua prima squadra è il Fontainebleau, dove viene notato dai dirigenti del Monaco. Debutta nella massima divisione francese il 24 maggio 1991; l’anno successivo inizia la scalata che lo porterà a diventare uno dei migliori difensori del mondo. Un problema alla vista lo costringe a giocare con le lenti a contatto; un piccolo handicap che comunque non condiziona assolutamente le sue prestazioni. Anzi, per sei anni, offre un rendimento sorprendente e il Monaco diventa una squadra rocciosa, difficile da battere.
Nel 1996 arriva in Italia, destinazione Parma; La società della famiglia Tanzi è il fiore all’occhiello di un’Emilia che da troppo tempo vive sui ricordi del passato glorioso del Bologna. Con i gialloblu vince la Coppa Uefa, la Coppa Italia nel 1999 e la Supercoppa Italiana nel 2000, sfiorando più volte lo scudetto.
I grandi trionfi, però, li vive in Nazionale. Nel 1998 diventa Campione del Mondo. La squadra di Jacquet, che al fianco di Thuram ha piazzato un corazziere come Desailly, ex Milan, non fa passare nessuno: gli attaccanti avversari vanno inevitabilmente a sbattere il naso contro una massa di muscoli. Succede anche all’Italia, che viene eliminata ai rigori nei quarti. Ma Thuram si scopre anche goleador; nella semifinale, contro la Croazia, è proprio lui, con un’incredibile doppietta, a completare la rimonta francese, dopo la rete iniziale di Šuker. Poi i francesi fanno secco il Brasile (3-0) in finale.
Non è finita. La Francia si ripete nell’Europeo delle Nazioni. Il 2 luglio 2000, a Rotterdam, Thuram e compagni sconfiggono l’Italia per 2-1, in finale, con l’oramai storico goal di Trézéguet al 103’. Totalizza con “Les Bleus” 110 presenze, arrivando a disputare anche il Mondiale del 2006.
A Parma, tra Carletto Ancelotti e Lilian Thuram nasce un ottimo rapporto, sia in campo che fuori; Lilian è uno dei giocatori più intelligenti del campionato e il dialogo tecnico con l’allenatore è spontaneo. Quando Ancelotti passa alla Juventus, una delle richieste che fa a Moggi è proprio l’acquisto del difensore di Guadalupa. Tanzi riesce a resistere alle offerte juventine, fino all’estate del 2001 quando, con un assegno da settantacinque miliardi di lire, Moggi riesce a convincere il presidente parmense, che sta per cedere Lilian alla Lazio. Per portare a Roma il giocatore, interviene persino Walter Veltroni, sindaco della capitale, da sempre dichiaratosi juventino; evidentemente ci sono favori politici che superano anche la fede calcistica. Comunque sia, Thuram lascia Parma e diventa bianconero, insieme a Buffon.
Lilian, quando arriva a Torino, trova una sgradevole sorpresa; infatti, Ancelotti è stato sostituito da Lippi e nemmeno Zidane fa più parte della compagine juventina: «Ancelotti ha insistito tanto perché io venissi a Torino, quando l’hanno mandato via era molto arrabbiato, ma mi ha suggerito di non cambiare idea. Anche Zidane mi aveva convinto ad accettare le proposte della Juventus. È una cosa strana sapere che Zizou è andato via. Ma cambiare fa parte della vita».
Questo ragazzo che va per i trent’anni ha tutto per fare benissimo, ma l’avvio di stagione sconta qualche problema di ambientamento ed anche qualche equivoco tattico. Lilian ha trascorsi polivalenti, da centrale nel Parma e da laterale destro nella Nazionale francese. Lippi cerca di convincerlo che, con le sue doti di progressione e con il palleggio che si ritrova, può diventare incontenibile sulla fascia destra, se lascia ad altri il compito di presidiare il centro dell’area. L’operazione, sul piano psicologico, non è semplicissima, anche perché la Juventus al primo approccio stecca qualche gara e si ritrova nel gruppo che insegue. Ma a Brescia, la vigilia di Natale, il meccanismo prende improvvisamente a funzionare al meglio; le sgroppate di Lilian e i suoi cross diventano l’arma in più di una squadra che oramai ha imboccato la strada giusta.
Thuram, senza perdere nulla della grinta e del tempismo che lo hanno reso tra i difensori più forti del mondo, acquista la consapevolezza di essere devastante ogni volta che, palla al piede, percorre a passo di carica la corsia di destra, saltando come birilli gli avversari e dettando ai compagni l’appostamento giusto per finalizzare il proprio lavoro.
I risultati sono splendidi; lo scudetto 2001-02 passa anche attraverso la sua maturazione tattica, che nella stagione in corso lo porta a giocare a livelli ancora più alti. Negli occhi e nel cuore di tutti la fantastica notte di Juventus-Milan, in cui ha la gioia, rara per lui e quindi ancor più goduta, di segnare un goal a coronamento della galoppata più entusiasmante che si ricordi.
Con la maglia della Juventus, Thuram riesce a vincere quello scudetto che aveva sfiorato a Parma; anzi, di scudetti ne porta a casa ben quattro, diventando ben presto una delle colonne della difesa bianconera, in coppia con Cannavaro, arrivato anche lui dal Parma. Nell’estate del 2006, si trasferisce al Barcellona, non volendo disputare il campionato di Serie B; lascia la Juventus dopo aver totalizzato 205 presenze e segnato un solo goal.
ENRICA TARCHI, “HURRÀ JUVENTUS” GENNAIO 2005:
Ama i luoghi, dove il tempo sembra essersi fermato, dove si respira il sapore dell’antico, della storia, della tradizione. Piazza Carignano, Piazzetta della Consolata, il ristorante Cambio, il Caffè Torino, il Bicerin. E poi la chiesa della Gran Madre, Piazza San Carlo, Piazza Bodoni e il Conservatorio, Piazza Castello. Questa è la Torino di Lilian Thuram, che forse la apprezza e la capisce più di tanti torinesi doc. Questo ragazzo nato in Guadalupa trentatré anni fa, che di professione è calciatore, passeggia volentieri sotto i portici, simbolo della nostra città, si ferma a curiosare nei cortili del centro storico, conosce il quadrilatero romano, quartiere dove il nuovo e il vecchio si mescolano alla perfezione.
La sua è una curiosità intelligente, quella di chi ha attraversato mezzo mondo, dalle Antille al capoluogo piemontese passando per Parigi, Montecarlo e Parma ed ha vissuto ogni esperienza con intensità. Non è mai superficiale Lilian, è una persona che va a fondo delle cose, ci ragiona, si vede che gli piace la vita, perché la analizza in ogni sua sfumatura e la considera una preziosa fonte di insegnamento. È un calciatore che dice di giocare a pallone perché nel farlo prova piacere e il giorno che ciò non accadrà più lascerà tutto.
È un campione che, finiti partita e allenamenti, si dimentica di essere una star e abbandona il mondo del pallone, non guarda il calcio in TV, frequenta gente che nulla ha a che vedere con lo sport e forse proprio per questo lo stress da popolarità non lo sfiora neppure. La realtà in cui vive, in questo senso, gli calza a pennello, perché i torinesi, spiega, «hanno una grande virtù, la riservatezza». Lilian è un padre che non accende mai la TV, che vuole educare a modo suo i piccoli Marcus e Kephren, assieme alla dolcissima moglie Sandra, che lo accompagna da molti anni e con cui ha condiviso alcuni dei momenti più importanti della sua vita.
La famiglia Thuram ama Torino, una città viva, piena di cose stimolanti da fare. «Basta sfogliare il giornale e si scopre che ci sono tanti appuntamenti interessanti, soprattutto musicali. Ai tempi di Parma risale il mio primo approccio con la musica lirica, per la quale la città emiliana è famosa. Qui a Torino abbiamo un’amica che è professoressa al Conservatorio e ci porta ai concerti. Mi piacciono anche il teatro e le mostre. L’anno scorso ho visitato più di una volta quella sull’Africa e ci ho portato anche i miei figli, che ora vorrei accompagnare a fare il giro della Torino sotterranea. Ho visto il “Don Chisciotte”, ho ascoltato volentieri una rassegna di musica etnica ed ho avuto modo di andare all’auditorio del Lingotto, oltre che al Conservatorio e al Regio. I miei figli di solito vengono con me e mia moglie, solo però quando gli orari lo consentono, c’è la scuola per il più grande e l’asilo per il più piccolo, ma sono contento quando possiamo condividere queste cose tutti assieme. Credo sia importante aprir loro gli orizzonti, perché poi abbiano più ampia possibilità di scelta. Il maggiore va alla scuola francese in collina, una zona meravigliosa dove, a dieci minuti dal centro della città, ti sembra di essere in campagna, mentre il piccolo va alla scuola italiana per imparare la lingua come ha fatto il maggiore».
Dopo nove anni nel nostro paese, Thuram non si sente più uno straniero. «Ho una vita sociale fuori dal calcio e l’Italia mi piace molto, perché c’è tanta storia da scoprire visitando i suoi palazzi, le sue piazze, i suoi monumenti. Pensate che appena arrivato a Parma, era estate, andavo in bicicletta nel centro, mi fermavo davanti al Duomo e rimanevo incantato».
Visto che siamo in tema Parma, cosa hai provato a ricostruire quest’anno la coppia difensiva Thuram-Cannavaro che aveva fatto le fortune della squadra emiliana? «Ovviamente sono felicissimo, sia per aver ritrovato il mio ruolo preferito, sia per aver ritrovato Fabio. Abbiamo trascorso a Parma cinque anni fantastici, giocato assieme tantissime partite. Gli devo tanto, perché quando arrivai in Italia, ero un ragazzo di ventiquattro anni e lui mi aiutò a inserirmi in una realtà per me tutta nuova. È una persona solare, è sempre allegro, si diverte. Diciamo che se sono diventato quello che sono è grazie a quanto abbiamo vissuto assieme in quegli anni».
Il segreto di Fabio Capello. «Mi dà l’idea di essere persona onesta. Non è facile fare delle scelte quando in una squadra ci sono tanti giocatori forti, le cose vanno bene solo quando l’allenatore ha lo stesso atteggiamento con tutti e dice le cose in faccia. Inoltre Capello stimola sempre i giocatori a migliorarsi, cerca di farci capire gli errori, le sue critiche sono sempre costruttive»
Quest’anno sei vice capitano. Cosa significa indossare quella fascia? «Su questo argomento voglio raccontare un aneddoto. Pensate che quando ero ragazzino, avrò avuto quindici anni, prima di una partita l’allenatore mi promosse capitano. Finita la gara, gli dissi che non l’avrei fatto mai più, perché mi sentivo diverso dagli altri con quella fascia al braccio. Rifiutai per molto tempo, era una sensazione strana. Poi mi capitò qualche volta a Monaco e a Parma e adesso qui alla Juventus. Ovviamente con gli anni sono cambiato, non mi sento più diverso, ma spesso ripenso a quell’episodio».
Quest’estate hai detto addio alla Nazionale, con cui hai conquistato il titolo di Campione del Mondo e d’Europa. «Dopo tanti anni è arrivato il momento di smettere. Volevo già farlo dopo una partita di qualificazione all’ultimo Europeo giocata contro Cipro, poi ho pensato che non era giusto lasciare la squadra in un momento così difficile. Ho giocato ancora quest’ultima competizione e poi ho detto addio. Il ricordo più bello? La sensazione che si provava a far parte di quel gruppo, lo spirito che vi regnava. C’era grande rispetto tra di noi, eravamo consapevoli delle nostre qualità ma altrettanto del fatto che ci potevamo migliorare l’uno con l’altro. In tutto questo un’importanza fondamentale l’ha avuta Zidane, non solo perché è il più forte giocatore al mondo, ma perché è una persona umile. I grandi giocatori o sono così oppure è meglio non averli. Infatti, quando il simbolo di una squadra si comporta in un certo modo, tutti sono portati a fare altrettanto. Nella Juventus lo stesso discorso vale per tanti giocatori, come ad esempio il nostro Pallone d’Oro Nedved. A volte gli dico che sono orgoglioso di giocare con lui. Pavel mi guarda e pensa che lo prenda in giro, invece no, gli dico esattamente quello che penso. Lui è un grande per come si comporta in campo e fuori».
La commissione pro Africa di cui fai parte. Un progetto ambizioso nato dall’Ancien Ministre Jack Lang in collaborazione con Bob Geldorf. «Stiamo riflettendo su quello che si può fare a favore di questo continente. Quando mi hanno chiesto di dire la mia, alla nostra prima riunione, ho toccato quattro punti fondamentali. Primo, bisogna chiedere a loro di che cosa hanno bisogno. Secondo, bisogna cambiare le leggi che mettono in difficoltà questi popoli. Terzo, bisogna cambiare l’idea che possiede la gente dell’Africa e degli africani. Io faccio sempre un esempio: in quanti sanno che gli egiziani, i padri della civiltà, nella loro era più antica».
A un anno dall’uscita del tuo libro, spiega la scelta di raccontarti in una splendida autobiografia. «L’ho fatto principalmente per i mici figli. Vi racconto in breve la genesi di questo libro. Pensate che all’inizio ero convinto che la casa editrice volesse scrivere di me solo sulla scia della vittoria del Mondiale 1998 e, infatti, rifiutai. Quando mi vennero a cercare dopo la delusione del Mondiale 2002 capii che erano davvero interessati alla mia storia e accettai».
Nell’autobiografia di Thuram si parla di tutto, ma quello che colpisce è la descrizione della sua prima casa, la Guadalupa, dove torna appena possibile e dove ha lasciato gli amici più cari, Marick e Relique. «In realtà sono venuti a trovarmi qui a Torino pochi mesi fa, ma sono scappati! Scherzi a parte, non è facile ambientarsi in una grande città quando si passa tutta la propria vita su un’isola così».
La Guadalupa: i turisti la considerano un paradiso per il sole caldo e il mare azzurro, ma per lui il vero segreto della sua terra è la semplicità della vita e della gente, ancora lontana dal consumismo. E sono proprio le persone semplici, genuine, quelle di cui si contorna anche qui, proprio come nonna Irma, una simpatica signora torinese che Lilian va a salutare spesso e volentieri durante le sue passeggiate sotto i portici della città.
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