Di Adriana La Trecchia Scola
La locuzione latina “ricordati che devi morire” rappresenta un vero insegnamento di vita da parte della civilta’ romana.Infatti all’ epoca era frequente veder arrivare condottieri carichi di vittorie e conquiste, di conseguenza per evitare che diventassero superbi si diceva specificatamente “Respice post te.Hominem te memento” ossia “guarda dietro a te.Ricordati che sei un uomo”.In seguito il memento mori e’ diventato uso tipico cristiano ai tempi della controriforma,in particolare per i monaci trappisti;del resto tale espressione riecheggia quella biblica “polvere sei e polvere ritornerai”. In tempi instabili e futili il rigore classico e’ un balsamo tonificante, che almeno un poco rinfranca e ristora.Oggi l’ imperativo categorico e’ “apparire” per cui siamo nel pieno della lotta alla vanita’.Giuseppe Berto scrisse il folgorante Elogio della vanita’,dove parte dalle origini,la vanitas vanitatum della Bibbia,consapevole che il Qohélet non parla della vanita’ intesa come “eccessivo compiacimento di se’ e delle proprie qualita’” (Treccani) ma dell’ annientamento,del fato di fragilita’ che tutto annulla.Da qui la sana resistenza alle lusinghe del potere,la serena contemplazione della morte delle cose,perche’ siamo anonimi destinati a scomparire.Lo scrittore comprende bene che e’ vano proprio moraleggiare della vanita’ altrui,per questo risulta piu’ efficace. Parafrasando il Qohélet “Nella battaglia del vivere nessuno ha scampo”, “il cuore dell’ uomo e’ gravido di male”, “stessa sorte tocca a tutti,al giusto come all’ empio,al buono come al malvagio”, Berto dice “Far credere che l’ uomo sia per natura buono e’ fandonia utile solo ai furbi,e in realta’ tutti dovrebbero sapere chiramente che questa piu’ che una valle di lacrime e’ un campo di battaglia”.Lo scrittore (probabilmente memore delle sue esperienze) dileggia “l’ idea che a far parlare di se’ e a farsi conoscere per le buone qualita’ che si hanno e soprattutto per quelle che non si hanno c’e’ da guadagnare parecchio”.Stigmatizza il mondo delle “utili menzogne” fondamentali “per crearsi una fama”,l’ era delle “agenzie specializzate a decuplicare il successo”,degli “esperti di public relations o di promotions” che aiutino lo scrittore,il politico,l’ uomo in cerca di gloria “nell’ immensa fatica di convincere gli altri che lui e’ bravo,buono, grande,capace,forte,intelligente,e forse anche poco poco disonesto”. Ma poi in fondo perche’ tanta premura:”questo nostro mondo tanto reale con tutti i suoi soli e le sue vie lattee,e’-nulla”,cosi’ Schopenhauer concludeva la sua somma opera Il mondo come volonta’ e rappresentazione. Invece negli “scritti minori” Parerga e paralipomena: “La nostra vita e’ come un mediocre mosaico: da vicino non fa alcun effetto,solo da lontano acquisisce una forma.Viviamo sempre attendendo il meglio- e spesso rimpiangiamo il passato. Il presente viene preso cosi’ com’e’,nella sua fugacita’,come una via verso la meta. La maggior parte degli uomini,pero’, guardando indietro si accorge che proprio cio’ che e’ passato senza goderlo e’ stato la vita e che e’ nell’ attesa di quello,ormai passato,che hanno vissuto.Questa e’ la vita:l’ uomo,preso in giro dalla speranza, corre a passo di danza nell’ abbraccio della morte”. Il filosofo inglese Alan Watts nel suo La saggezza del dubbio dice che la somma felicita’,la suprema intuizione e certezza spirituale vanno trovate solo nella consapevolezza che l’ impermanenza e l’ insicurezza sono ineluttabili e inseparabili dalla vita. “Per quanto possa sembrare paradossale, troviamo allo stesso modo il senso della vita solo se abbiamo visto che essa e’ senza scopo,e conosciamo “il mistero dell’ universo” solo quando siamo convinti di non conoscerlo per nulla”. Tuttavia con la cosapevolezza possiamo imparare che la caducita’ e la mutevolezza del mondo sono parti integranti della sua vivacita’ e bellezza.Infatti Goethe scrisse:”La piu’ alta vetta raggiungibile all’ uomo e’ la meraviglia;e se il fenomeno primo lo meraviglia,ne sia pago;non puo’ dargli nulla di piu’ alto e null’ altro egli dovrebbe cercare dietro di esso;qui sta il limite”. Dobbiamo apprezzare la meraviglia senza chiederci cos’e’ questa meraviglia. “La religione vuole assicurare il futuro oltre la morte,mentre la scienza vuole assicurarlo fino alla morte,e rimandare la morte.Ma il domani e i progetti per il domani possono restare senza alcuna importanza se non siamo in pieno contatto con la realta’ del presente,perche’ e’ nel presente e solo nel presente che viviamo.Non c’e’ altra realta’ che la realta’ presente per cui,se anche dovessimo vivere per un tempo senza fine,vivere per il futuro significherebbe continuare eternamente a non capire la vita”. “E’ inutile che riusciamo a prevedere e controllare il futuro corso degli eventi se non sappiamo vivere nel presente.E’ inutile che i medici prolunghino la vita se poi trascorriamo il tempo concessoci in piu’ nell’ ansia di vivere ancora piu’ a lungo.E’ inutile che gli ingegneri progettino mezzi di trasporto piu’ veloci e piu’ comodi se poi ci limitiamo a scegliere e a capire i nuovi luoghi che visitiamo in base ai vecchi pregiudizi.E’ inutile acquistare la potenza dell’ atomo se poi dobbiamo soltanto continuare nell’ andazzo di massacrare la gente”. Secondo Watts viviamo in questo solo istante,non c’e’ passato ne’ futuro ne’ significato da cercare.Il tutto e’ una danza, e quando si danza non si ha l’ intenzione di andare in nessun luogo. “Possiamo vivere in un solo istante alla volta,non possiamo pensare ad ascoltare le onde e insieme pensare se ci piaccia o non ci piaccia ascoltare”. E allora perche’ vivere?In realta’ il fatto che ce lo chiediamo comprende la risposta in quanto significa che siamo esseri raziocinanti e come tali possiamo intraprendere questo “percorso esistenziale” cercando di trarne il miglior beneficio. In proposito una mirabile poesia di Umberto Saba dice che “ogni estremo dei mali un bene annuncia” perche’ la vita puo’ essere un inferno ma si puo’ ricominciare ogni giorno di nuovo sperando contro ogni speranza (come Nadezda Mandestalm). Forse risulta piu’ facile sopportare il peso della vita se alla base c’e’ Dio in quanto nella sofferenza piu’ atroce e’ Dio.Significative le parole di una delle ultime omelie,il 31 dicembre di dieci anni fa,di Benedetto XVI ,il papa della rinuncia:
“Il Te Deum che innalziamo al
Signore questa sera,al termine
di un anno solare,e’ un inno di
ringraziamento che apre con
la lode “Noi ti lodiamo,Dio,ti
proclamiamo Signore” e
termina con una professione di
fiducia “Tu sei la nostra
speranza,non saremo confusi
in eterno”.Quale che sia stato
l’ andamento dell’ anno,facile o
difficile,sterile o ricco di frutti,
noi rendiamo grazie a Dio.
Nel Te Deum,infatti,e’
contenuta una saggezza
profonda,quella saggezza che
ci fa dire che,nonostante tutto
c’e’ del bene nel mondo e
questo bene e’ destinato a
vincere grazie a Dio,il Dio di
Gesu’ Cristo,incarnato,morto e
risorto.Certo,a volte e’ difficile
cogliere questa profonda
realta’,perche’ il male fa piu’
rumore del bene;un omicidio
efferato,delle violenze diffuse,
delle gravi ingiustizie fanno
notizia;al contrario i gesti di
amore e di servizio,la fatica
quotidiana sopportata con
fedelta’ e pazienza rimangono
spesso in ombra,non
emergono.Anche per questo
motivo non possiamo fermarci
solo alle notizie se vogliono
capire il mondo e la vita;
dobbiamo essere capaci di
sostare nel silenzio,nella
meditazione,nella riflessione
calma e prolungata;dobbiamo
saperci fermare per pensare.In
questo modo il nostro animo
puo’ trovare guarigione dalle
inevitabili ferite del quotidiano,
puo’ scendere in profondita’ nei
fatti che accadono nella nostra
vita e nel mondo,e giungere a
quella speranza che permette di
valutare le cose con occhi
nuovi.Soprattutto nel
raccoglimento della coscienza,
dove ci parla Dio,si impara a
guardare con verita’ le proprie
azioni,anche il male presente in
noi e intorno a noi,per iniziare
un cammino di conversione che
rende piu’ saggi e piu’ buoni,piu’
capaci di generare solidarieta’ e
comunione,di vincere il male
con il bene.Il cristiano e’ un
uomo di speranza,anche e
soprattutto di fronte al buio che
spesso c’e’ nel mondo e che non
dipende dal progetto di Dio ma
dalle scelte sbagliate
dell’ uomo,perche’ sa che la
forza della fede puo’ spostare le
montagne (Mt 17,20):il
Signore puo’ illuminare anche
la tenebra piu’ profonda”.
Cioran scrisse “teologi e filosofi hanno sprecato notti e giorni a cercare prove dell’ esistenza di Dio,dimenticando la sola!”,ossia la musica di Bach.Infatti secondo il rumeno “Perduto e’ colui che non ha lacrime per piangere la musica,che vive soltanto,che vive soltanto ancora di quelle versate:la chiaroveggenza sterile avra’ avuto ragione dell’ estasi che un tempo generava mondi…”. Si puo’ intendere Dio come un artista che non ha funzione morale ma solo estetica:non salva ne’ soccorre bensi’ annichila attraverso la bellezza.La vita con lo scorrere monotono dei giorni,le ansie continue appare come “un’ assurdita’ danzante” da cui ci dispensa la bellezza. “Cio’ che ci turba in maniera cosi’ misteriosa dinanzi alla bellezza e’ che in qualche modo essa ci dispensa dal vivere.Il tempo si pietrifica,giacche’ la bellezza non sorride all’ effimero.Un dipinto,una sonata o un paesaggio sono isole di cui l’ agitazione della vita e’ gelosa.La vita invidia tutto cio’ che resiste al logorio inutile.E niente e’ piu’ contrario alla vita come il rimpianto dell’ eternita’,presente nella bellezza.E’ come se la bellezza attendesse qualcosa dall’ eternita’.” Dunque l’ opera d’ arte per essere tale deve innalzarsi al di sopra del mero intrattenimento,collaboratore del tecnicismo imperante,ed esprimere una possibile visione del mistero della vita indipendente dalla fede o laicita’ dell’ uomo. Forse la musica contemporanea puo’ sembrare lontana da simili estasi ma non nel caso del cantautore milanese Stefano Rampoldi in arte Edda.Si tratta di una figura unica nel panorama musicale italiano:essendo prima stato frontman del gruppo Ritmo Tribale negli anni ottanta (che ha aperto la strada,per ammissione dello stesso Manuel Agnelli,a tutti quei gruppi di indie-rock dei novanta),poi solista sincero e utopistico con quella voce,acuta e un po’ nasale,dalla non ineccepibile dizione,che abbaglia e stordisce. “Per me suonare e’ sempre la stessa cosa.Ascolto un disco,mi vengono delle idee,mi metto li’ con la chitarra.(…)ma sapevo che sarebbe andata a finire in un certo modo e ho pensato che fosse comunque giusto riprendere a cultivare questo piccolo talento che ho.” “E’ sempre una battaglia.Ma forse,in fondo,lo e’ per tutti:artisti,operai,casalinghe.Si combatte dall’ inizio alla fine,dalla culla alla tomba.” “Io sono un outsider.(…)Io ho sempre commesso degli errori,basta vedere cosa e’ successo nella mia vita.Adesso vado avanti per conto mio,facendo le cose come le ho sempre fatte.Non e’ snobismo,mi viene cosi’.” “Non ho mai preso una direzione precisa,sono sempre stato coerente nell’ essere incoerente.”