Tolleranza zedda, quello che Heriberto non disse.
Il calciatore è un’atleta, in qualche caso un’esteta è perfino un poeta.
Esiste da tempo il calciatore, per diletto, per passione e per professione, ha sempre cercato di correre con la squadra per buttare dentro il pallone.
Chi più veloce, chi più lento, chi più alto, chi più basso, chi più fantasioso e creativo, chi più concreto.
C’era posto per tutti, e a tutti veniva riconosciuta la loro particolare bravura a prescindere dalla squadra nella quale giocavano.
Fra loro ci son sempre stati anche i campioni, venivano riconosciuti in ogni ruolo, il loro modo di esprimersi nel campo di gioco era fuori dal comune, poco importava stabilire chi era il campione più campione dei campioni.
Chi era fuori dal comune non ne aveva bisogno.
Era un fuoriclasse anche per questo, poi sono arrivate le classifiche.
E il calcio da “rappresentazione teatrale” di pasoliniana memoria si è trasformato mediaticamente in spettacolo hollywoodiano con premi, nani e ballerine, sempre più simile a un grottesco cabaret.
(Heriberto Herrera)
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