Nasce a Trieste il 20 maggio 1912 nel rione di San Giacomo. Già da piccolo la sua famiglia si trasferisce in Rion del Re, dove abiterà per tutta la vita con la moglie e i figli. La famiglia Rocco conduce una vita agiata grazie alla macelleria di loro proprietà, importante fornitrice delle navi nel porto.
Esordisce nella squadra giuliana a diciassette anni: non è un fuoriclasse ma va benino al punto tale che cinque anni più tardi vestirà la maglia azzurra. Per la prima e unica volta. Di quella vicenda, Rocco ha sempre dato una versione assolutamente insolita: «Mi sposai troppo presto», disse, «e quando mi ripresi da quella “bambola” era troppo tardi: il mio posto era occupato dai Ferrari e dai Meazza».
Che sia un giocatore degno nessuno lo mette in dubbio, ma che possa far concorrenza al Balilla e al Gioanin ce ne passa. A ogni modo, nel 1937-38 Achille Lauro (presidente del Napoli) sborsa 160.000 lire per portarlo sotto il Vesuvio. In quell’anno, il futuro Paròn (il padrone) ha sei campionati con la maglia alabardata alle spalle e arriva per la prima volta nella sua carriera in una squadra grande o presunta tale dai suoi tifosi. Con lui approdano a Napoli anche Germano Mian e il torinese Prato: in tutto, Lauro spende oltre 350.000 lire per tre giocatori che contribuiscono a far piazzare gli azzurri al decimo posto.
L’anno dopo Rocco torna a Trieste per poi rientrare al Napoli e restarci sino al 1940 quando accetta di giocare per il Padova iniziando in tal modo un sodalizio che, anni più tardi, gli avrebbe dato non poche soddisfazioni sia sul piano tecnico sia su quello morale.
È proprio al vecchio Appiani con le tribune di legno che Rocco fa conoscenza con il catenaccio. Alla guida della squadra biancoscudata c’è il cecoslovacco Banas, uno dei tanti mitteleuropei allora così di moda. Come tecnico Banas non è un fuoriclasse ma è un uomo di grande esperienza e accetta la proposta di Rocco di giocare con un uomo in più in difesa. E quest’uomo è Passalacqua, futuro interista nel dopoguerra al fianco di Marchi. Rocco (che gioca mezzala) arretra a fare il mediano mentre il mediano retrocede terzino. E Passalacqua dietro a tutti a spazzare e a buttare il pallone il più lontano possibile.
Conclusa la parentesi padovana, Rocco torna a casa. Trieste sta vivendo uno dei suoi periodi più difficili: tedeschi e miliziani titini si combattono e, come se questo non bastasse, dal mare e dal cielo piovono bombe. Il calcio, però, è più forte di tutto e a Trieste si gioca ancora. Come macellaio per Rocco non c’è lavoro e scende ancora in campo: Cacciatore e Triestina 1918 si chiamano le sue due ultime squadre. Come atleta, però, giacché come tecnico comincia subito dopo con il Cacciatore cui fa vincere il campionato.
Frattanto la guerra finisce e, con la pace, torna il campionato vero, quello di Serie A: nel 1946, vince il Torino e la Triestina, con diciotto punti, si piazza ultima: è Serie B ma tutti, sotto San Giusto, sperano nel miracolo. E puntualmente il miracolo avviene: la Federazione la ripesca e così, nel 1947-48, le squadre che giocano in A sono ventuno. E tra queste c’è anche la Triestina che viene affidata proprio al Paròn. Che accetta senza contratto: per due mesi lavora gratis, poi si vedrà. Nereo è un uomo che crede in certi valori e che, quando è necessario, è anche capace di rischiare in proprio. E con ottimi risultati, poiché, alla fine, la Triestina è seconda e Rocco è il più popolare personaggio di Trieste tanto è vero che nel 1949 è eletto consigliere comunale nelle liste della D.C.
Dopo due buoni ottavi posti nelle stagioni seguenti, Rocco è allontanato dalla Triestina per ragioni mai del tutto chiarite e assunto dal Treviso, in Serie B. Dopo tre stagioni anonime con i trevigiani, Rocco è richiamato alla guida della Triestina in Serie a ma è esonerato nel corso della stagione 1953-54 dopo un pesante 0-6 casalingo patito contro il Milan.
Un Rocco senza calcio è inimmaginabile: logico, quindi, che accetti l’offerta di Pollazzi, presidente del Padova. Nella città del Santo trova una squadra che letteralmente perde i pezzi per la strada: armato di pazienza, Rocco si rimbocca le maniche e l’anno dopo il Padova arriva in A. E in biancoscudato, Rocco ci resterà otto anni diventando il tecnico forse più popolare degli anni Cinquanta. Nel Padova, con gente come Rosa (uno scarto della Sampdoria). Hamrin (uno in cui la Juve non ha mai creduto), Blason (ex-Inter ma scartato dai neroazzurri per raggiunti limiti di età), Azzini e Scagnellato (una iena che, però, è terziario francescano) Brighenti (un modenese che arriva dalla Triestina), Rocco inventa una squadra che batterla è quasi impossibile. Lo stadio Appiani diventa una specie di inespugnabile Alcázar, dove cadono un po’ tutte, compresa la grande Juve di Charles, Boniperti e Sivori.
A Padova stabilisce il suo quartier generale da Cavalca, un ristorante dove si mangia bene e si beve meglio: è qui, infatti, che il Paròn elabora le sue tattiche ed è qui che lo folgora l’intuizione forse decisiva per i successi della sua squadra. Oggetto di questa folgorazione è Kurt Hamrin, lo svedese detto uccellino per le sue dimensioni e che ha un piede che gli si rompe solo a guardarlo. Ceduto dalla Juve dopo due infortuni assolutamente identici, appena arriva a Padova, Hamrin finisce in una delle tante buche dell’Appiani e si rompe un’altra volta.
Tutti si mettono le mani nei capelli ma Rocco no; lui va da Cavalca a pensare. Poi corre da un suo amico specializzato in scarpe ortopediche cui espone il suo problema. Quello lo guarda, fa di sì con il capo e, di lì a qualche giorno, il Paròn arriva al campo con un pacco sotto il braccio: lo apre e ne tira fuori una scarpa di tipo speciale, una specie di vero e proprio guscio per il piede matto di Hamrin. Nereo chiama lo svedese, gli dà la scarpa e quello se la infila: a correre non avverte nessun fastidio, ma come se la caverà quando dovrà sottostare alle “torchiate” degli avversari? Niente paura: Rocco chiama Blason: Ivano è una specie di corazziere che entra sull’uomo con la forza di un panzer. Rocco gli ordina di torchiare al meglio il suo uomo e Blason ubbidisce: il test è buono. Poi il Mister chiama Azzini e Scannellato che fanno lo stesso con i medesimi risultati. Ed è a questo punto che il Padova ha la certezza matematica di avere nelle sue file un fuoriclasse che potrà risolvere qualsiasi partita.
I risultati di Rocco al Padova lo fanno appetire da altre squadre: Viani lo vorrebbe al Milan ma lui rifiuta e accetta un incontro con la Roma. Non se ne fa però niente perché a Nereo basta poco per capire che in giallorosso non avrebbe futuro. Nel 1960 gli viene affidata la Nazionale olimpica che si piazza quarta con gente come Bulgarelli, Rivera, Noletti, Burgnich e Salvadore.
Concluse le Olimpiadi, Rocco torna a Padova per il suo ultimo anno: lui e Viani capiscono che è arrivato il momento per unire i loro sforzi e infatti, dopo un Padova-Milan 4-1 che è il miglior biglietto di presentazione per Rocco, i due si trovano a cena e il Paròn accetta le proposte di Gipo: il contratto è tutto scritto in veneto in omaggio alla lingua che i due conoscono meglio.
Quando Rocco arriva al Milan, però, non trova Viani: il buon Gipo, infatti, ha avuto un problema che lo terrà lontano dai campi per circa sei mesi. La campagna acquisti l’ha fatta Gipo e così Rocco si trova tra i piedi quel Jimmy Greaves che è senz’altro un fuoriclasse, ma che è anche assolutamente incapace di qualsiasi sacrificio. Rocco, quando Greaves torna a casa, cerca di prendere Rosa dal Padova ma, siccome Humberto è incedibile, al suo posto arriva un altro “cervellone” brasiliano di nome Dino Sani. E con Sani in mezzo al campo, il Milan comincia ad assumere le sue giuste dimensioni.
Gli inizi di Rocco in rossonero sono decisamente faticosi: il Paròn, però, si rimbocca le maniche una volta di più e alla fine della stagione lo scudetto milanista numero otto è un fatto compiuto: tocca il cielo con un dito e, siccome guadagna meno di tutti, Rizzoli gli regala una macchina nuova di zecca con un assegno di cinque milioni infilato a mo’ di contravvenzione sotto il tergicristallo.
Lo scudetto del Milan, se da un lato sottolinea la validità di Viani come General Manager, dall’altro esalta la grande capacità tecnica di Rocco che, l’anno successivo, riesce a vincere a Wembley la Coppa dei Campioni portando in Italia per la prima volta l’ambito trofeo. Eroe della serata è José Altafini, leone in Brasile ma spesso coniglio (per definizione dello stesso Rocco) in Italia.
«Alla fine», scrisse Palumbo sul “Corriere della Sera”, «Rocco, che conclude nel trionfo di Wembley il suo legame con il Milan, cerca Altafini, il discolo che lui ha sempre protetto e difeso. Altafini cerca Viani: l’abbraccio suggella una pace conquistata con i due goal che hanno dato al Milan la Coppa dei Campioni».
Nonostante il successo in Coppa, però, l’avventura rossonera di Rocco finisce: Rizzoli sta per passare la mano a Felice Riva e Nereo, in “questo” Milan non si riconosce più. Passa al Torino di Lucio Orfeo Pianelli dopo aver chiesto e ottenuto l’assenso da Gipo Viani dal letto dell’ospedale, dove è ricoverato dopo un pauroso incidente automobilistico. Il soggiorno di Rocco in riva al Po dura quattro campionati nel corso dei quali, però, il Toro non va oltre un onesto anonimato. D’altro canto, la squadra non ha fuoriclasse per cui non può fare miracoli.
Nonostante tutto, però, Rocco trova il modo di “inventare” qualcosa: cede Cella e trasforma Puja in stopper, asseconda la sregolatezza (ma soprattutto il genio) di Gigi Meroni, la cui partenza dal Genoa aveva suscitato una mezza rivoluzione e ricostruisce Nestor Combin, un argentino di Francia che, dopo aver fallito alla Juve e al Varese, approda al Torino come una delle gatte più ardue da pelare. Rocco però si arma di pazienza e, poco alla volta, lo fa tornare quel buon giocatore che era in patria.
Nel 1967 Rocco torna a casa: nel Milan non c’è più Felice Riva e al suo posto c’è Luigi Carraro. Le consegne gliele passa Silvestri, che guida la squadra sino alla finale di Coppa Italia quando il Milan (con Rocco spettatore in tribuna) affronta il Padova allenato da Humberto Rosa. Il Paròn soffre le pene dell’inferno: il cuore gli dice Padova, il cervello gli dice Milan. E alla fine è il primo ad abbracciare sia Silvestri (il vincitore grazie a un goal di Amarildo) sia Rosa (lo sconfitto) che ha imparato ad apprezzare nel periodo patavino.
Al Milan Rocco ritrova molti suoi giocatori: ci sono, infatti, Rosato e Rivera; il Trap e Schnellinger e c’è, soprattutto, Uccellino Hamrin, questa volta senza scarpa ortopedica. Ci sono anche dei giovani che si chiamano Prati e Belli, Vec chi e Maldera, soprattutto Anquilletti, unito al Paròn dal comune amore per il vino d’annata giusta e di gusto piacevole. Il ritorno di Rocco al Milan coincide con il nono scudetto rossonero: l’anno successivo, poi, c’è il boom con la seconda vittoria in Coppa dei Campioni (4-1 all’Ajax e Madrid) e nella Coppa Intercontinentale (3-0 e 1-2 con l’Estudiantes di La Plata vincitore della Libertadores in Sudamerica). La sera del trionfo, Rocco si guarda attorno e dice: «Adesso ci manca solo la stella del decimo scudetto» e sin da quel momento si dà da fare per raggiungerla. Invano, perché il più ambito riconoscimento continuerà a sfuggirgli malgrado per due volte i rossoneri finiscano a un solo punto dalla Juve.
Con l’arrivo di Buticchi, Rocco si accorge per la seconda volta che non è più il “suo” Milan: con il petroliere non va d’accordo come non ci andava con il cotoniere Felice Riva per cui rassegna le dimissioni: «Sono come Garibaldi», aggiungendo: «quando è il momento so che è ora di andare a Caprera».
La sua Caprera è la macelleria di Trieste, dove resta pochissimo: Ugolino Ugolini, a Firenze, ha una bella nidiata di giovani da affidargli e Rocco attraversa, per la prima volta nella sua carriera, la Linea Gotica. In riva all’Arno, però, non trova l’ambiente giusto per cui lascia prima della finale di Coppa Italia.
Torna al Milan per sostituire l’esonerato Pippo Marchioro: in rossonero, il Paròn assiste al golpe di Rivera e al successivo sfaldamento della società e della squadra. Lui, da quel santone che è, cerca di metterci una pezza, ma inutilmente: gli eventi lo travolgono e anche se gli offrono tanti soldi per fare il Consigliere Tecnico del presidente, se ne va, questa volta per sempre, a Trieste.
La Triestina è in C e a lui è affidato il settore giovanile: Rocco ha la possibilità di tornare a vivere gli anni suoi più ruggenti. Un lento declino, anche fisico, lo porterà alla sua scomparsa, il 20 febbraio 1979, tre mesi prima del trionfo del Milan di Rivera che conquista la stella del suo decimo scudetto.
(Stefano Bedeschi)
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