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NIGGA Intervista ai RadioSabir

 

 

A cura di Riccardo Gramazio_Ricky Rage

Il sud nell’anima. Il sud nel suono, nella voce e nelle parole. Il sud e non sono quello dell’Italia, della loro bellissima Sicilia, patrimonio assoluto. Non è semplice entrare subito nella proposta dei RadioSabir, ex NiggaRadio, soprattutto se non si ha dimestichezza con la lingua, con il dialetto dell’isola, ma è palese la bontà delle composizioni, l’energia generale capace di proiettarci in terre piene di storia, nel centro della tradizione mediterranea. Il sud nell’anima, l’anima del sud in questo soprendente Cunti e Mavarii pi megghiu campari, album che testimonia le capacità eccelse del collettivo oltre che la ricerca continua dei vari componenti. Parliamo un po’ di tutto con il portavoce, con grande curiosità e con particolare attenzione.

Ciao e benvenuti su MDN. Dunque, siete in giro da diverso tempo, avete ottenuto diversi risultati importanti, ma il cambio di nome rappresenta di fatto un punto di svolta. Da NiggaRadio a RadioSabir. Ve lo avranno già chiesto decine di volte e ora tocca a me: cosa è successo?

Ciao a voi e grazie per l’attenzione e per lo spazio. Eh, è successo che il nome originario che in tante buone cose ci ha accompagnato, ha cominciato un crescendo di “politically correct”, dove la forma è più della sostanza, a portarci diversi problemi come festival all’estero saltati, sit in di professori universitari afroamericani ad alcuni concerti… Inutile spiegare che noi, in quanto siciliani e abitanti di un sud più ampio di quello italiano, siamo sempre al confine, che si sia messicani, tunisini, siciliani, etc… e ci sentiamo spesso “nigga”. Quindi, raccontando le storie di quei sud, eravamo la loro radio… NiggaRadio, appunto. Complice la pausa dovuta alla pandemia, abbiamo deciso di cambiare e di essere RadioSabir, dove il sabir è la lingua franca che si è parlata in tutto il mediterraneo fra genti e popoli diversi per quasi mille anni e che era un misto di genovese, veneziano, catalano, siciliano, arabo. Una lingua che univa le persone e quindi… ecco RadioSabir.

Giusto presentare i componenti di questo ambizioso e passionale progetto. Chi fa parte del collettivo RadioSabir?

La storia parte da Peppe “Thunder” Scalia (batteria, percussioni, armonica e voce) e Daniele Grasso (chitarre, mandolino, basso, synth, voce, rumori e produzione), che sono i membri originari del progetto. Umberto Arcidiacono nel ruolo di nostro “omino elettronico” alle percussioni, sinthbass, fisarmonica, mandolino, marranzano, voce etc… Chiara Dimauro, voce “dell’anima”, ed Elisa Milazzo, “fimmina i fora”, la nostra mavara (dispensatrice di incantesimi) che vive sull’Etna, voce e percussioni. A questa line up di base si aggiungono varie collaborazioni, ne citiamo solo tre per noi veramente significative: Cesare Basile allo ‘ngoni e alla chitarra tenore, Maurizio “dinastia” Musumeci, rap vox, e Vanessa “goldie” Pappalardo, voce. C’è anche un nutrito gruppo di cori e voci ritmiche veramente preziose che elenchiamo insieme (Alessandra Rizzo, Gaetano di Bartolo, Paola Innao, Alex Lionti, Giusi Sambataro, Sonia Pitiddu).

Cunti e Mavarii pi megghiu campari è il nuovo capitolo della vostra storia. Parliamo di un album intenso e suggestivo. Il dialetto siciliano, la cultura mediterranea, i ritmi tribali, ma anche la vostra personale interpretazione del blues e la sperimentazione elettronica. Insomma, la musica dei RadioSabir è davvero un mondo a parte, da preservare e da vivere a pieno. Cosa mi dite a riguardo?

Difficile “dire” qualcosa, più che altro abbiamo “ascoltato” e suonato tanto e ci siamo fatti un’idea precisa di cosa volevamo fosse questa “cosa”. Nella formazione iniziale avevamo provenienze differenti, chi da New York, chi dal Burkina Faso, chi da Londra, chi da Campoverde, ma tutti siciliani con la ferma intenzione di cantare una Sicilia antica, ma contemporanea insieme. Il “cuntu” e il rap, il blues del Mali e quello del sud degli States, le storie delle coste del Mediterraneo, dei suoi abitanti, e quelle delle città borderline fra l’Africa e l’Europa come la nostra Catania. Il siciliano che usiamo è quello delle nostre strade, una lingua in evoluzione e mista per sua natura, il suono che usiamo è quanto di più contaminato e “compromesso” abbiamo trovato in noi, così il suono dei dischi, crudo ma ricco di sfumature. Qualcuno aveva detto di noi “from Simeto to Mississippi”. Ci sta, ma passando ancora più a sud.

Una raccolta consistente di suoni e di idee eppure tutto genuino, ben amalgamato e perfetto nell’insieme. Ecco, oltre alle varie esperienze, alle capacità dei musicisti e alle contaminazioni elencate, quali sono gli elementi chiave per raggiungere una simile autenticità artistica? E intanto, complimenti…

Grazie dei complimenti, ci riempiono l’anima perché lavoriamo veramente duro e con il cuore. Diciamo che la centralità della cosa si basa sulla capacità di filtrare, condensare i carichi emotivi che ci colpiscono in modo essenziale, quasi rude. Niente orpelli estetici che spesso sono il primo freno anche di musicisti molti bravi. Mantenere intatta, durante tutto il processo realizzativo, l’emozione che ti ha portato a scrivere quella data cosa e non seppellirla sotto processi esecutivi e produttivi. Scrivere con un solo sentimento, suonare come una folla. Aspettare la notte, quando il cervello razionale vuole dormire e l’altro ti sussurra e suggerisce cose.

Come è andata in studio? Chi ha seguito l’intero processo di produzione?

La produzione è di Daniele Grasso, che opera negli studi di registrazione (The Cave Studio) della nostra etichetta (Dcave Records). Daniele è un esperto sound engineer e produttore (Afterhours, Diego Mancino, Twilight Singers, Cesare Basile, Sista, NiggaRadio). Avere studio a disposizione ci ha consentito di sperimentare soluzioni e brani. Abbiamo registrato molto e scartato anche molto, anche roba particolarmente interessante, ma volevamo un equilibrio “instabile” fra forza, fruibilità, antico e moderno e volevamo che una certa forza “live” restasse dentro.

Purtroppo non ho dimestichezza con la lingua siciliana, ma ascoltando il disco ho cercato di cogliere il più possibile. Non sono andato male, ve lo assicuro! Una cosa però è certa il primo singolo estratto, A rivoluzioni ‘un si fa chi social, lancia un messaggio netto e chiaro. Avete voglia di parlare di questo brano?

Grazie per lo sforzo, veramente. A rivoluzioni… paga pegno all’amore per un vecchio disco di Gil Scott Heron, The Revolution Will Not Be Televised del 1971. Ci sembrava di dover ricordare quel messaggio, adattandolo alla nostra epoca. Tutti i pontificatori, ribelli, rivoluzionari che intasano la rete dovrebbero fermarsi a pensare che la rivoluzione non si potrà fare dal divano con il cellulare in mano e che alla fine bisognerà sempre tornare in piazza, dove tutti viviamo o cerchiamo di vivere e lottare per tutto ciò che è umano nel senso migliore del termine.

La domanda viene da sé. La tradizione della vostra splendida isola, le culture del sud, ma tematiche attualissime. Ciò che salta fuori è, a mio modo di vedere, uno straordinario paradosso creativo, un contrasto molto intenso. In parole semplici, salvaguardare determinati patrimoni musicali, raccontando allo stesso tempo oggi. Ci può stare questa mia riflessione?

La tua riflessione è ottima. I nostri tempi (da un bel po’ in realtà) ci hanno imposto un modello di vita che nella realtà esclude una gran parte del mondo, “asfaltando” (come si usa dire in certi ambienti) culture e patrimoni culturali ricchissimi e meravigliosi. Questo sta incontrando resistenze in varie parti del mondo, che stanno cercando di trovare una via fra essere sé stessi ed esserlo oggi. Questo è quello che, con tutta la modestia possibile ma con determinazione cerchiamo di fare, evitando il più possibile la trappola a due facce del “com’era bello prima” da un lato e “cancelliamo tutto e appiattiamoci all’imperante suono di oggi” dall’altro.   

Veniamo all’altro pezzo proposto in anteprima. Perché avete scelto E resta ‘cca?

Oh, beh… dopo A Rivoluzione… volevamo mostrare un lato più individuale, meno sociale e collettivo. Come avrai visto, abbiamo molte “signore” alla voce e quindi abbiamo giocato sulla storia di una donna che viene lasciata dopo essersi concessa, e che (ah, tempi moderni!) non riuscendo a riconquistare il suo amore, al contrario del retaggio siculo che prevede vendetta, decide che il “cugggino” del suo amato andava benissimo per consolarsi. Anche per dire che, si abbiamo un impegno sociale importante, ma siamo anche dei simpatici “cazzari”.

Undici canzoni da portare in giro, sui palchi. Vi state preparando per le prossime e sicuramente esaltanti date?

Oh, il live! Il palco è casa nostra, la nostra chiesa, dove con il pubblico teniamo questo incontro, questo rito e non possiamo farne a meno. Siamo già al lavoro e le prove sono via via più intense. Dopo i due anni di Covid e senza disco fuori, scalpitiamo… Abbiamo già un po’ di cose in ballo per la presentazione sia in Italia che in Europa. Vogliamo un nuovo act speciale per un pubblico speciale… Come diciamo da sempre alla gente: «voi siete la musica, noi siamo la band.»

Quali artisti e quali dischi hanno segnato le vostre vite? Dai, provate a sorprendermi…

Oh, mamma, troppa roba! Proviamo a mettere dentro roba a casaccio da parte di tutti, ma non dire che non te lo avevamo detto. C’è anche roba meno conosciuta con la quale abbiamo lavorato. Roba Classica e roba sconosciuta… Quanti giga ha il sito?!?!

Miles Davis: Kind of blue, Bitches Brew. Beatles: Abbey Road, White Album, Sergent Pepper. Soul Coughing: Ruby Vroom, Irresistible Bliss. Trilok Gurtu. Mino Cinelu, Kevin Eubanks, Dave Holland. Led Zeppelin: I, II, III. Wheater Report: I Sing The Body Electric, Black Market. Diego Mancino: Cose Cambiano Tutto. Cesare Basile: Closet Meraviglia. Kunsertu: Fannan. Bob Marley:Uprising. Banco Del Mutuo Soccorso: Bms. Area: Arbeit Macht Frei. Battisti: Umanamente Uomo. Nirvana: In Utero. Genesis: Selling England By The Pound. Muddy Waters: Electric Mud. The Mountaineers: Messy Century. Marc Ribot Y Los Cubanos Postizos. Tom Waits: Real Gone. Rosa Balisteri: Terra Che Non Senti. Hassan Hakmoun And the Electric Sintir: Gnawa on Fire. Fela Kuti. Mavis Staple: No Time For Crying. Blind Willie Johnson: Dark Was The Night, Trouble Will Soon Be Over. Childish Gambino: This is America. The Roots, live. E poi Nina Simone, Cassandra Wilson, Ani Di Franco, Tangerin Dream, Robert Glasper, Tinariwen… Dai, facciamo prima, ti mandiamo le nostre playlist schizofreniche…

Questa l’ho tenuta per il finale. Senza punto di domanda, tutto quello che vi viene in mente: la Sicilia…

Dire meglio di Goethe è difficile: la Sicilia come “chiave di tutto”, cioè luogo di splendore, bellezza e armonia, ma allo stesso tempo luogo di povertà, sofferenza, miseria e ingiustizia sociale. Luogo di contraddizioni con il quale bisogna avere a che fare per poter avere un’idea complessiva e attendibile della penisola italiana… ma anche oltre, aggiungiamo noi. Un luogo borderline, il confine di due mondi, di due pensieri. Un posto che se lo ascolti bene, solo per il viverci, ti rende diverso. Un posto che, come tutte le passioni brucianti, ami e odi senza riserve, insieme.

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