Il Convegno delle Famiglie, che si sta svolgendo a Verona, ha riportato alla ribalta una polemica che, sotto traccia, cova già da alcuni anni e che attiene al concetto di “famiglia naturale”, o “tradizionale”. Invocata soprattutto da credenti cattolici, tocca la cattiva coscienza di quei laici che cercano in ogni modo di rimuovere, o riscrivere, l’art. 29 della Costituzione. Ora, se è indubbio che la Costituzione utilizzi la locuzione al fine di sottolineare che la famiglia, composta dai coniugi padre e madre (indipendentemente dalle ricostruzioni bislacche della Cirinnà) e dai loro figli, è formazione sociale preesistente al suo riconoscimento giuridico, cui pure la Repubblica si impegna, e pertanto non può essere cancellata o stravolta dal legislatore ad libitum, a mio avviso parlare di “famiglia naturale” può essere forviante.
Naturale, in effetti, non significa ferino. Da questo punto di vista, la famiglia composta da padre, madre e figli non ha nulla di naturale: in natura, normalmente le femmine (che possono avere solo una cucciolata alla volta) dopo il parto continuano ad accudire i figli, mentre i maschi (il cui scopo è quello di ingravidare il maggior numero di femmine possibile) se ne disinteressano del tutto. In altri termini, salve alcune eccezioni che, come al solito, confermano la regola, in natura esiste la madre, non il padre. Dunque, non esiste la famiglia.
Il padre – con tutto quello che comporta: scelta di una compagna per la vita, convivenza stabile, accudimento ed educazione della prole – è tipico del genere umano, è un’increspatura nel mare della storia, per dirla con l’autore di un bellissimo libro sulla questione. Non si nasce padri, lo si diventa, scegliendo continuamente il ritorno a casa, adottando continuamente il proprio figlio.
La cifra del padre è la nostalgia, immortalata per sempre in due delle più belle terzine di tutta la Divina Commedia: “era già l’ora che volge il disio \ ai navicanti e ‘ntenerisce il core \ lo dì c’han detto ai dolci amici addio; \ e che lo novo peregrin d’amore \ punge, se ode squilla di lontano \ che paia il giorno pianger che si more”.
Nella famiglia, la madre è giusta, amorevole, mentre il padre racchiude in sé un duplice ruolo: deve sì essere giusto, ma anche forte: garantisce la pace familiare (all’interno), tramanda i valori sociali (all’esterno). In questa dinamica familiare si crea quel “principio verticale” capace di costituire un modello per la crescita, da affiancare al “principio orizzontale” (l’uguaglianza di tutti) fondante i moderni Stati di diritto ma incapace però di innescare processi basati sulla responsabilità.
Altrimenti, “l’effetto è quello di retrocedere sempre più verso la dimensione del branco, verso l’irresponsabilità. A essere messa in discussione è la possibilità stessa della civiltà” (qui).
La famiglia va dunque tutelata non in quanto “naturale” (poiché, come detto, è naturale nel senso che preesiste alla legge, ma non lo è laddove si intenda che la stessa è propria dello “stato di natura”), ma in quanto propriamente “umana” (cioè base stessa della civiltà).
Senonché, come ben ha scritto, un paio di anni fa, Diego Fusaro, “se la famiglia comporta, per sua natura, la stabilità affettiva e sentimentale, biologica e lavorativa…, la sua distruzione risulta pienamente coerente con il processo oggi in atto di precarizzazione delle esistenze condotto spietatamente dall’ordine neoliberistico“.
Non è vero che il precariato preclude la costruzione della famiglia; è piuttosto vero il reciproco: è l’individuo senza radici, senza identità e senza storia che rappresenta non solo il perfetto lavoratore precario, senza progetti a lungo termine, senza necessità di una sede fissa di lavoro, ma anche come il perfetto consumatore, che utilizza quel poco che guadagna per acquistare beni di consumo, senza preoccuparsi di risparmiare per i propri cari, o di costruire qualcosa.
D’altro canto, il “padre” che non ha più un ruolo sociale, che non sfama la famiglia non è riconosciuto come padre. Di conseguenza, anche la famiglia non si riconosce più come tale. Fusaro, citando Lacan, parla di “evaporazione del padre”. Per dirla in altri termini: l’attacco neoliberista al welfare state passa anche dall’attacco a quel particolare tipo di welfare che è rappresentato dalla famiglia, intesa come luogo comunitario in cui vige l’etica della solidarietà.
Ovviamente, la dissoluzione della famiglia (per i motivi di cui sopra) passa anche per la retorica gender, per le stravaganze della c.d. multigenitorialità, per l’azzeramento dei diritti del bambino rispetto al capriccio dei genitori, per la propaganda a favore dell’omosessualità. Temi che si intrecciano anche con il malthusianesimo delle classi dirigenti liberal, che della famiglia tradizionale combattono anche, se non soprattutto, la naturale fecondità. Non a caso uno dei principali temi di scontro a Verona riguarda la legislazione in materia di aborto.
Ecco allora che si palesa il secondo acerrimo nemico della famiglia. Se prima abbiamo parlato dell’interesse economico al consumo e al lavoro precario, ora è il nichilismo che viene in primo piano. La società moderna ha nuovamente mangiato il frutto dell’albero del bene e del male e si è nuovamente sostituita a Dio, rendendo giusto tutto ciò che è possibile.
Ciò comporta la rimozione di qualsiasi norma morale. Nel racconto del Genesi, Adamo ed Eva – il genere umano – sono infatti posti di fronte alla scelta se accettare di dipendere da qualche cosa di più grande rispetto al loro ego nella determinazione del bene e del male oppure no; se costruire l’esistenza e il destino con questo qualche cosa (Dio, per lo scrittore sacro) oppure senza; se, insomma, essere gli arbitri assoluti di se stessi, di quello che fanno e di come lo fanno o se avere dei limiti esterni.
E la rimozione di ogni norma morale comporta il venir meno di qualsiasi limitazione all’agire.Quando Satana tenta Gesù nel deserto, tocca le corde più profonde dell’animo umano: la voglia di possesso (“se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane”), la sete di potere (“ti darò tutta questa potenza e la gloria di questi regni”) e – infine e soprattutto – il sogno dell’uomo di dominare la natura (“se tu sei Figlio di Dio, buttati giù; sta scritto infatti: ai suoi angeli darà ordine per te, perché essi ti custodiscano”). Ma se, all’epoca di Gesù questo sogno prendeva sostanza nella magia, esso prende oggi le sembianze di scienza e tecnica.
E qui il discorso parrebbe spostarsi dal piano sociale a quello medico. Dalla polemica sulla famiglia alla polemica sui trattamenti obbligatori, a partire da quelli vaccinali. Senonché, si scopre facilmente che l’attentato alla integrità fisica dei bambini è un modo per rimarcare la preminenza della potestà dello Stato su quella dei genitori.
Il cerchio si chiude. E dà un terribile senso di costrizione
Fonte: Il Blog di Luca Fantuzzi