A cura di Riccardo Gramazio_Ricky Rage
Port Arthur è una cittadina anonima del Texas, sulla costa del lago Sabine. Non ha molto da dire e da offrire, tutt’altro, è utile soltanto per la stazione ferroviaria. Gli abitanti del posto si somigliano tutti, tirano a campare, non hanno particolari ambizioni e sono ignari protagonisti del bigottismo derivante dalle più ferree morali americane. Anni ‘50 e ‘60, per intenderci. Fa tutto abbastanza cagare a Port Arthur, perché sogni e speranze devono per forza di cose fare i conti con l’apatia generale e con le regole non scritte, ma feroci del contesto. Le aziende petrolifere stanno arrivando o crescendo, ecco, quelle daranno orgoglioso futuro alla località texana.
Qualcuno però ha da ridire proprio perché vittima consapevole del sistema. Qualcuno vorrebbe qualcosa di diverso e di più luminoso per i propri figli. È il caso per esempio dei coniugi Dorothy Bonita East (1913-1998) e Seth Ward Joplin (1910-1987). Vabbé, io mi sbatto per raccontare storie interessanti e il cognome del secondo mi frega e spoilera…!
La coppia ha messo al mondo quattro figli, la più grande (ok, lo avete capito!) si chiama Jenis ed è nata il 19 gennaio del 1943, il giorno dopo la rottura dell’assedio di Leningrado dei sovietici da parte delle Forze Armate tedesche. Come i fratelli, la bambina viene stimolata e spinta dai genitori verso le bellezze dell’arte e verso la musica. Per la coppia la creatività rappresenta davvero la chiave principale per fuggire in qualche modo dalla gabbia apatica e passiva costituita da Port Arthur. Janis ha l’anima inquieta, sensibile e ribelle tipica di chi non ci sta, di chi ha bisogno di esternare le proprie emozioni. Da adolescente inizia a disegnare, a cantare e a suonare la chitarra. Legge moltissimo ed è sicuramente tra le menti più brillanti della Thomas Jefferson High School Pensa e veste a modo suo, proprio come i puritani della cittadina non vestirebbero mai, ed è sempre piuttosto trasandata. Janis non è bella esteticamente, è paffuta, ha l’acne, non fa nulla per integrarsi o per piacere, anzi, ma ha una personalità fantastica, nonostante le insicurezze tipiche della ragazza diversa. Ha ideali forti, odia le ingiustizie, le disuguaglianze, sente la necessità di affrontare con fermezza le problematiche (la località texana tra l’altro è piuttosto intollerante, razzista, retrogada e animata persino dal movimento del KKK) e il suo libro di riferimento è Sulla Strada di Jack Kerouac, testo che alimenta la sua voglia di libertà.
E cosa succede a una giovane di questo tipo? Ovviamente di subire il bullismo, di essere presa continuamente di mira da quei pezzi di merda dei suoi compagni di classe e dai coetanei in generale, che anziché apprezzare talento e pensiero anticonformista preferiscono umiliare e deridere. E non parliamo di scherzi stupidi, ma di attacchi cattivi è potenzialmente devastanti. Maiale e Uomo Più brutto del campus sono soltanto i più famosi e crudeli epiteti ricevuti da Janis, parole che nonostante tutto porterà dentro fino alla fine dei suoi giorni. Ferita dalla vita, dai mali della società e dai tanti bastardi incontrati, Janis fugge da Port Arhur, iniziando a darsi da fare nel mondo musicale a San Francisco. Nel ‘64 incide con Jorma Kaukonen (futura chitarra dei Jefferson Airplane) alcune demo blues e successivamente, grazie anche al manager Chet Helms, entra a far parte dei Big Brother and the Holding Company, gruppo storico della scena psichedelica. I primi due album della band, l’omonimo e soprattutto Cheap Thrills, 1967 e 1968, uniti ai concerti in giro per la California, regalano la meritata fortuna a Janis Joplin. La sua voce rauca, graffiata, disperata e fottutamente blues diventa presto popolare e amatissima. Da ricordare ovviamente le participazioni al Festival Pop di Monterey del 1967 e al mitico Festival di Woodstock nel 1969. In poche parole, la ragazza paffuta umiliata a scuola è ormai una vera propria rockstar, al pari dei grandi nomi dell’epoca, molti dei quali da lei anche frequentati. Immaginate le facce degli abitanti di Port Arthur, quando se la ritrovano di nuovo in città vestita da hippie e con le piume in testa: non hanno molto da dire, adesso, perché il Maiale è una celebrità ricca, un’artista amata, affermata e addirittura attraente. Chiamiamola anche vendetta personale, anche se in realtà il desiderio più nascosto della cantante è quello di sentirsi finalmente accettata dai suoi concittadini, da coloro che tanto male sono riusciti in passato a farle.
Perfetto lieto fine? No, purtroppo. Perché non c’è solo riscatto, in questa storia, non ci sono solo voce, musica, presenza scenica e continua ricerca artistica. Janis ha delle ferite impossibili da rimarginare, ha un malessere interiore indomabile e ustionante. Le droghe pesanti e gli alcolici trascinano l’artista nel baratro, senza darle scampo e possibilità. Solitudine, in fondo, a prescindere da tutto. Solutudine e fragilità, calpestate e martoriate dalle dipendenze. Debolezze che nemmeno la promiscuità carnale (la cantante frequenta e passa momenti intimi con un numero spropositato di uomini e di donne) in nessun modo può azzerare.
Il talento di Janis Joplin muore giovanissimo in un hotel di Los Angeles nell’ottobre del 1970, stroncato da un overdose di eroina. I maledetti ventisette anni della ragazza diventano polvere da spargere come oro nell’Oceano Pacifico, da appendere come fotografie nei corridoi più raffinati del grande palazzo del rock and roll. Perché Pearl, soprannome amatissimo dall’artista e tratto proprio dal titolo del suo ultimo album solista (pubblicato postumo nel ‘71) è e rimarrà lì, accanto alle grandi leggende della musica. Ma come possono bastare queste poche righe per renderle omaggio, quando non sono in grado di renderle omaggio migliaia di pagine e decine di biografie? La storia di Janis Joplin è tanto triste quanto impossibile da riassumere. Ed è una storia drammaticamente