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PICCOLE, MINUSCOLE COSE Intervista al cantautore Pasquale Provenzano

A cura di Riccardo Gramazio_Ricky Rage

Pasquale Provenzano è un autore giovane e interessantissimo. La cosa bella è che non mi sto riferendo soltanto al discorso prettamente musicale e artistico. Il cantutore siciliano si racconta nella maniera più genuina possibile, quella che più arriva all’appassionato che ha voglia di conoscere le storie, le filosofie celate dietro le canzoni. Questa è la lettura che cerco: entusiasmo, voglia di comunicare e semplicità. Le canzoni, alla fine contano soltanto quelle, e Provenzano sa scrivere e cantare bene le storie della vita, sa riportare fedelmente ciò che vede e ciò che prova. Per comporre il suo album di esordio si è chiuso in camera con le sue creature, ha imparato a proiettare i suoni nel personale e umile studio casalingo e ha inciso. Il prodotto finale è fatto di tante piccole, minuscole cose… apparentemente!

Ciao e benvenuto. Presentati ai nostri lettori…

Ciao! Grazie per l’ospitalità. Io sono Pasquale, scrivo e produco canzoni. Vivo sospeso tra Palermo e Prizzi, un piccolo paesino nell’entroterra siculo. Ho ventisette anni e scrivo praticamente da quando facevo le elementari. Malgrado ciò, il mio primo album è uscito solo quest’anno! Si chiama Piccole, minuscole cose ed è disponibile dallo scorso 27 gennaio, sia in formato fisico, che in digitale su tutte le piattaforme di streaming.

Piccole, Minuscole Cose, appunto, il tuo esordio discografico. Un disco intimo, profondo eppure orecchiabile. Cosa c’è dentro questo tuo lavoro? Tutto suppongo…

Di certo c’è “tutto” quello che ho vissuto finora. Fatta eccezione per un brano, NSIP. Si tratta di un album scritto tra il 2020 e il 2021 ed è un po’ “nome omen”, se ci pensi: un disco che si chiama Piccole, Minuscole Cose, prodotto interamente in casa mia… Più intimo di così! Se è profondo? Sì, credo di potertelo confermare perché, come dicevo, c’è dentro tantissima vita, che a sua volta getta le basi per tanta altra vita futura. Spoiler: c’è già del materiale inedito per un secondo album.

Il primo singolo è Vivo, che tra l’altro apre l’album. La canzone è accattivante, poppeggiante e di facile presa. Energia e bisogno di dire cose, citandoti, tante minuscole cose. Però il primo ascolto, soprattutto se distratto, potrebbe ingannare: il testo è molto, molto carico…

Era proprio questo che volevo fare. Sono felice di questa impressione. Forse ci siamo abituati ad accostare certe sonorità a dei contenuti scontati, tanto nella forma, quanto nella sostanza. Io volevo usare una strumentale carica, dal sapore 80s, per veicolare dei messaggi un attimo più “impegnativi” di quelli che siamo abituati a sentire in radio. Cito le mie reference da adolescente, donne e uomini che, da anticonformisti per eccellenza, sono stati trasformati in simboli del consumismo, come Frida. E cito ancora Falcone, Borsellino, parlo della mia vita privata (in modo più o meno velato) e tiro in ballo tematiche delicate, come le morti nelle scuole fatiscenti, le questioni legate all’adozione da parte delle coppie omosessuali e quant’altro… D’altronde, se ci pensi, “pop” vuol dire “popolare”. E queste tematiche sono popolari!

Un inno alla vita, nonostante rabbia, disillusione e buio. Insomma, siamo nella merda, siamo confusi e incattiviti, ma abbiamo il dovere di restare vivi. Cosa ne pensi di questa mia riflessione, chiaramente da affiancare al tuo brano?

È giustissima. Coerente con quello che penso. Voglio dire: guardiamoci intorno! È un casino. Ed io rischio quasi di prendermi del “boomer” solo perché sento il bisogno di essere sincero. Badiamo troppo alle cose futili. Per esempio, quanto tempo perdiamo a controllare una instagram story prima di pubblicarla? È un contenuto che sparirà nel giro di 24 ore, che la gente vedrà di sfuggita, e noi perdiamo un’ora per crearlo. Cavolo, se ci impegnassimo così nei rapporti il mondo sarebbe un posto migliore! Sta qui il senso di Piccole, Minuscole Cose. Quindi sì, siamo messi male. Ma c’è sempre del buono da cogliere e sta tutto nella nostra intimità. È da lì che dobbiamo ripartire.

Nel disco sono presenti anche le tue precendenti e convincenti pubblicazioni, canzoni che hanno fin da subito messo in risalto la tua concezione cantautorale. Ne parliamo?

Con piacere! Si tratta di brani, come già anticipato, scritti tra il 2020 e il 2021. Credo che il motore di tutto il processo creativo sia stata la mia stessa vita. Ciononostante – dai feedback che continuano ad arrivare – non è difficile, per chi ascolta, rivedersi in parecchie immagini presenti nei miei brani, soprattutto per quelli nati negli anni ‘90 o nei primi 2000. Potrei elencare un elemento per ogni singolo. Ad esempio in Multinazionale, il primo brano estratto dal disco, compare la felpa rossa che indossavo da teenager, in contrapposizione al maglione blu che mio padre indossava sopra la sua camicia. Dentro questa dicotomia c’è la sintesi di alcuni contrasti comuni a chiunque (genitori-figli, sinistra-destra, fuoco-acqua, ecc…). In Libri da un Beverly ci sono le Converse. Chi non ne ha mai indossate un paio? Il videoclip di Milioni di parole è praticamente una partita a Scarabeo (ho fatto una battuta, sì). Mentre in Non tremo più c’è il caos tipico delle nostre case da studenti fuori sede, giovani lavoratori dentro appartamenti condivisi, storie che durano un’estate o tutta la vita…

È molto bello quando riesci a trovare un interlocutore in chi ti sta ascoltando. Comunicare è la cosa che amo di più.

E già che ci siamo, cosa vuol dire essere cantautori oggi? Lo so, potremmo avventurarci e non uscire più dal discorso, ma dimmi la tua…

Esatto! Beh, essere cantautori significa questo. Essere specchio del tempo che vivi, dei posti e della gente che frequenti. La letteratura ha sempre il compito di raccontare un periodo storico. E i cantautori – prima – e i rapper – dopo – hanno fatto loro questa missione senza che nessuno glielo chiedesse. Ho l’impressione che, in questo viaggio, si vada sempre più verso delle scelte di stile minimaliste e, quando si scrivono versi un attimo più articolati, spesso questi risultano incomprensibili a un primo ascolto. Vuoi perché in giro ci sono sempre meno Cantanti (io per primo non ho mai studiato canto, né dizione) o perché Giorgia Meloni ha iniziato a osteggiare i termini stranieri solo da qualche settimana. Ma ancora oggi la scrittura non può non essere specchio del suo tempo. E quelli che viviamo sono tempi incerti e frenetici. Ci sono un sacco di ragazze e ragazzi che passano molto tempo da soli e silenziosi, nascondendosi dal mondo, passando intere giornate, settimane, mesi nelle loro camere. L’ansia è un dato sempre più comune e ha decine di sfaccettature e modi di manifestarsi. Chi si dedica all’arte coglie questi input in modo spontaneo e sente il bisogno di parlarne. Non vale solo per i cantautori.

L’amore poi, sempre presente nella vita di un artista, in tutte le forme possibili. Di fatto non hai badato a spese nemmeno tu. Cosa mi racconti, attraversando ovviamente le tue canzoni?

Non ne avevamo ancora parlato, è vero. Beh, in Piccole, Minuscole Cose ci sono diverse sfaccettature dell’amore. Non si parla solo dell’amore per lei/lui. Volevo parlare della mia famiglia, dei miei affetti, delle relazioni. In Milioni Di Parole parlo dell’amore a distanza, in Multinazionale parlo di un amore capace di insegnare senza nemmeno sapere. Poi parlo dell’amore che protegge, in Guardami Le Spalle. E di un amore che può far male, come in Hangover. Ma c’è anche l’amore verso sé stessi, come in Corso dei Mille, 178. Questo è il più importante di tutti perché, se manca, non credo si possa stare bene con gli altri. Insomma, che ci piaccia o no, l’amore è uno dei due motori del mondo (l’altro è il denaro). Si può non parlarne?

Non parliamone, meglio. Restiamo sulla musica. Hai voglia di raccontare la tua esperienza in studio? Come sono andate le cose, con chi hai collaborato, ma anche scelte. So che sei producer e polistrumentista…

Potrei raccontarvi di come ho allestito il mio home-studio nel corso del 2020 e di come l’ho spostato da Prizzi a Palermo. La pandemia è stata un colpo durissimo per i musicisti abituati a suonare nei locali. Io mi ero appena affacciato alla scena musicale palermitana, era il dicembre 2019. Durante le vacanze di Natale ero tornato in paese e, da lì o poco, mi sarei anche laureato, quindi immaginavo l’estate successiva come un’estate piena di concerti. Invece è finita che sono rimasto bloccato in paese e mi sono anche laureato da casa! Non potendo uscire a suonare dovevo inventarmi qualcosa… Così mi sono dato alla produzione. Ho allestito uno studiolo casalingo, con un vocal-booth di fortuna e un microfono preso in prestito da un amico. Laureatomi, ho speso tutti i soldi che avevo ricevuto in regalo per acquistare un nuovo computer, una tastiera midi, dei software per la produzione di musica, delle casse da studio e una serie di altri “piccoli, minuscoli” strumenti che servono per fare questo lavoro. La cosa bella è che sono laureato in giurisprudenza. Direte: hai studiato diritto per improvvisarti producer? No, non ci si improvvisa nulla. Ci vuole testa e passione, oltre che tempo. Giusto in quel periodo, di tempo ne avevamo abbastanza. Così ho deciso di impiegarlo in questo modo. Internet è uno strumento potentissimo, dal quale ho appreso e continuo ad apprendere tutto quello che serve in materia di produzione di musica. Le varie community presenti sul web hanno giocato un ruolo fondamentale in questo. Ci siamo riscoperti distanti da una vita, anche se non lo eravamo fisicamente. E ci siamo avvicinati perché abbiamo capito quanto fosse importante stare uniti. Sembra un paradosso, ma, senza la pandemia, non credo che sarei diventato parte – più o meno integrante – di questa nuova ondata di musica made in Palermo. È sul web che ho conosciuto l’etichetta discografica con la quale collaboro da oltre un anno: MIND.

Stai promuovendo Piccole, Minuscole Cose anche dal vivo?

Assolutamente sì. I live sono l’unica cosa che conta davvero. Gli stream e le views si comprano, per i concerti ti pagano la benzina per andare a fare altri show, con i quali – si spera – riuscirai un giorno a pagarti le bollette. Alla fine del 2022 ho messo su una band che mi accompagnerà in giro per tutta la Sicilia nel corso della prossima estate. Dopo il release party di Piccole, Minuscole Cose, tenutosi nella sala concerti di Mind House, abbiamo iniziato a mettere su una scaletta, della quale fanno parte anche un certo numero di cover, che renderanno più appetibili i nostri live. Non perché io non creda nella mia musica, ma perché in Sicilia la gente non è abituata a un’ora e mezza di musica originale. Esistono pochissimi posti frequentati da gente alla ricerca di musica nuova.

Quali sono gli artisti che più hai amato nel corso degli anni?

Questa è tosta. Su tutti, credo Dalla. Insieme al duo Battisti-Mogol, Lucio Dalla è stato fondamentale perché si sviluppasse la concezione di musica che abbiamo oggi. Quel loro modo di suonare “pop-olari” deriva dalla voglia di sperimentare e dalla contaminazione tra i generi. Certo, erano tempi diversi, c’erano più spazi aperti. Mentre oggi è tutto più stringente, c’è molto meno spazio (o forse c’è più gente che vuole fare musica). Ci sono anche meno finanze e il mercato è cambiato radicalmente. La musica non sta neanche più al centro! Siamo nell’epoca dei fenomeni di TikTok, che – da quello che sembra – non sbagliano mai un colpo e ti fanno sentire inadatto. In questo senso siamo bombardati da messaggi ansiogeni. Credo che prima – con le dovute differenze e le giuste proporzioni – si vivesse meglio.

Talent show. Favorevole o contrario?

Contrario, perché non amo la modalità con la quale si raccontano i percorsi dei partecipanti. Credo che si tratti più di televisione che di musica. È vero: dai talent sono usciti fuori dei progetti davvero interessanti, che hanno scritto e stanno scrivendo pagine indelebili di storia, ma non so se lo farei. Non vedo la musica come una gara. Penso inoltre che ci siano in ballo troppi soldi perché si possa non interferire con l’esito della gara stessa. Quindi che senso ha fare un talent se non sai già da prima che ti conviene farlo. Poi io non c’ho la faccia! E mi sono abituato a suonare davanti ad un pubblico più spontaneo e genuino.

Cosa non ti ho chiesto?

Non lo so. Io starei qua a parlare per ore!

Saluta i lettori di MDN, allegando tutti i tuoi link…

Grazie ancora per lo spazio concesso alla mia musica. Buona vita a tutti!

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