Articolo di Carla Murialdo
Adoro il personaggio del commissario Ricciardi: è un personaggio triste, ma incarna l’onestà, il voler dare una risposta ai morti che incontra nella sua vita. Siamo nel pieno periodo fascista, l’Italia è sul orlo della guerra e le leggi razziali vengono applicate ovunque. Nonostante questo il commissario deve indagare sull’omicidio di una giovane donna. In tutto il romanzo si respira quest’aria di precarietà; pur non essendo d’accordo con il regime il commissario, come la maggior parte del Paese, non crede ai venti di guerra, alla deportazione degli ebrei si pensa che non sarà mai possibile che possa capitare in Italia e invece a un certo punto si deve accorgere della tragica deriva dell’Italia. De Giovanni ci offre uno scorcio di quel periodo così travagliato, dell’aria che si respira. Chissà se avrà un seguito questa storia oppure ci lascerà in attesa. Sicuramente mi mancherà.
1939. L’Italia si prepara a vivere l’ultimo Natale di pace, ma un omicidio squassa il ventre della città. Quanta solitudine che c’è. In Europa la guerra è cominciata, eppure da noi qualcuno si illude ancora che sia possibile tenerla fuori della porta. E poi sta arrivando la più bella delle feste, quella dove si mangia, si beve, ci si abbraccia, quella in cui ci si scambiano doni con le persone care; non bisogna avere pensieri tristi. La solitudine, però, la solitudine vera, è difficile da scacciare. Puoi essere solo perfino se stai in mezzo alla gente, se hai una famiglia, degli amici. Soprattutto puoi essere solo se decidono che sei diverso, magari perché non sai parlare, o perché ami persone del tuo stesso sesso. O perché, dicono, sei di un’altra razza. Anche Erminia Cascetta era diversa, a modo suo. Aveva troppa voglia di vivere, perciò l’hanno uccisa. In questo tempo che accelera verso l’abisso, spetta al commissario Ricciardi e al brigadiere Maione scoprire chi è stato. La chiave di tutto, però, è sempre la solitudine. Che, a volte nemmeno lo sappiamo, ci siede accanto. «Potessi parlarti, ti parlerei della solitudine del cuore. E della condanna che hai comminato, senza nessuna pietà, e senza avere idea di quello che stavi facendo. Potessi parlarti, ti direi che alla fine la colpa è tua. Ma non posso parlarti, giusto? No, non posso. Perché sei morta».
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