Articolo di Emilio Aurilia

 

Ricordo di averlo visto la prima volta ad un antico programma televisivo del 1968 alle prese con la canzone “Il sole è di tutti” traduzione di “A Place In The Sun”, un pezzo alquanto in linea con le sue suggestioni soul che avrebbero in seguito caratterizzato l’intera sua produzione. Ne interpretò la versione italiana dopo un certo successo riscosso dal cantante Dino.

Lo possiamo ricordare altresì nel Sanremo del 1969, con la canzone “Se tu ragazzo mio” in coppia con Gabriella Ferri (!).

Stephen Judkins, classe 1950, conosciuto come Stevie Wonder, è stato di genio precocissimo iniziando la sua attività poco più che decenne, non a caso pubblica nel 1963 un album dal titolo “12 Years Old Genius”, da cui viene tratto “Fingertips” a generare interesse per lui.

Nato cieco ha sviluppato la sua sensibilità dedicandosi alla musica e, iniziando a suonare l’harmonica in uno stile divenuto inconfondibile, è poi riuscito a cimentarsi con successo con tutti gli strumenti base per un musicista (piano, tastiere, basso, batteria, clarinetto, percussioni e altro) e la sua conoscenza del ritmo e delle armonie gli forniscono enormi credenziali per il suo solido futuro.

Ingaggiato giovanissimo dalla Tamla Motown di Detroit si è fatto conoscere per la personale versione di “Alfie” di Burt Bacharach.

Molti suoi dischi saranno suonati interamente da lui o con l’ausilio di pochi session men, quasi mai determinanti.

Il brano del 1967 “I Was Made To Love Her” presenta un Wonder già maturo a sostituire il r&b con un sound più ricercato.

Dopo “Where I’m Coming From” (1971) di scarso successo benché il suo autore ci avesse scommesso molto, furono i successivi “Music Of My Mind” e soprattutto “Talking Book” (1972) da cui furono tratti l’energica “Superstition”, condotta da un irresistibile clavinet funky e la sognante elegante “You Are The Sunshine Of My Life”, riconoscibile dalla prima nota, che lo consacrarono (se ce fosse stato bisogno) al meritato successo, stabilizzato definitivamente con il doppio “Songs In The Key Of Life” (1976), senz’altro uno dei suoi prodotti migliori, con le indimenticabili “Love’s In Need Of Love Today”, “I Wish”, “Sir Duke” e l’orecchiabile indimenticata “Isn’t She Lovely” dedicata a sua figlia.

Il successivo “Stevie Wonder’s Voyage In The Secret Life Of Plants” (1979), egualmente doppio, non riflette la magia del precedente, ma subito rinverdita nell’apprezzata compilation del 1982 “Original Musiquarium n.1” e nella collaborazione con Paul McCartney nel singolo “Ebony And Ivory”.

Il 1984 è la volta della colonna sonora “Woman In Red” da cui viene estratta la fresca ballata “I Just Call To Say I Love You”, successo mondiale.

Wonder non è un musicista per la verità molto prolifico, segno indiscutibile di proporsi quando sente di aver qualcosa da dire.

L’ultima fatica “A Time To Love” , zeppo di partecipazioni, risale al 2005. Siamo quindi pronti ad una nuova emozionante uscita discografica.

Un personaggio assolutamente da conoscere e seguire che, benché lo si possa più inquadrare nel soul e nel R&B, le sue innumerevoli collaborazioni con musicisti rock, lo inserisce a buon diritto nella categoria.

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