Articolo di Adriana La Trecchia Scola

 

La difficoltà maggiore è capire l’ essere umano, anzi prima trovarlo. Viviamo in un mondo che non è neanche al tramonto, ma è diventato subumano o postumano, in cui predomina la tecnica con i suoi corollari. Forse gli stessi uomini sono diventati macchine sia nel corpo che nella mente: i desideri, i pensieri, gli sforzi sono di carattere meccanico e dipendono da un meccanismo. In realtà l’ uomo rimane incommensurabile ma quello che prevale è la misurazione e la quantificazione degli eventi. Bisogna essere performanti, giovani, alla moda, di successo (significa strumenti del consumismo). A questo punto non si può credere che la bellezza salverà il mondo, perchè risulta effimera e futile. Probabilmente non c’è spazio per la salvezza (è un’ illusione), ma solo per la memoria: il ricordo della nostra essenza, degli affetti più cari. Vivere consiste nel costruire se stessi e la propria vita fin quando permane una potenza vitale. Non si tratta di distinguere tra giovinezza e vecchiaia, che sono categorie indotte dal consumismo; ma di esprimere la nostra forza vitale. L’ ultimo film di Wim Wenders (Perfect Days) è stato interpretato come un elogio della felicità attraverso le piccole cose (quelle semplici che sono le più autentiche). In verità non si tratta di un manifesto della consapevolezza, quanto della motivazione. La felicità è inafferrabile perchè inconsistente, ciò che conta è coltivare i propri interessi a prescindere dal rutilante “gioco” esterno. In un mondo che impone degli standard omologati (uniformi per tutti) risulta rivoluzionario scegliere di non aderirvi. Il giorno perfetto si raggiunge quando riusciamo a fregarcene di quello che gli altri (gli estranei) pensano di noi e coltiviamo il nostro spazio (che diventa sacro) nel mondo.

 

Il songwriter di Denver John Grant non ha paura di sperimentare o anche sbagliare. Del resto lo dimostra la sua parabola artistica fatta di sali e scendi (come la sua vita in cui c’è un pò tutto: depressione, alcolismo, sesso pericoloso fino alla dichiarazione pubblica di essere sieropositivo). “L’ importante è non perdere la motivazione. Capire perchè stai facendo quello che stai facendo”. “Per me è un processo naturale, non mi sembra di fare niente di speciale. Insomma alla fine cosa vogliamo? Capire i nostri sbagli, capire come fare ad amare, ad essere amati, come gestire i soldi, la carriera, la famiglia. Queste cose qui. Quando scrivo un pezzo cerco  di togliere tutti gli strati inutili e arrivare all’ essenza. Ci metto un sacco di tempo, non mi interessa sembrare cool o ammiccante, riscrivo i testi per eliminare ciò che non conta”. Pur avendo trovato il suo posto nella lontana Islanda (a Reykjavík), John Grant si sente molto americano e sente sempre la mancanza degli Stati Uniti perchè la sua formazione nasce (pur tra tante difficoltà) in quel paese. Il 14 giugno è uscito il sesto album da solista di John Grant, The Art Of The Lie (L’ arte della menzogna), per l’ etichetta Bella Union. Il lavoro viene definito sfarzoso e cinematico con un bilanciamento tra temi drammatici (sia sociopolitici che personali) e la ricchezza degli arrangiamenti con l’ immancabile humor sottostante. Il titolo rimanda sarcasticamente all’ autobiografia di Donald Trump, The Art of the Deal (in italiano Trump:L’ arte di fare affari).
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