Interviste

TANTE INFLUENZE PER UN SUONO UNICO Intervista a Fedrigo, cantante dei Mater

A cura di Riccardo Gramazio_Ricky Rage

Prendete quattro talentuosi musicisti cresciuti con i grandi nomi nelle orecchie, metteteli insieme e lasciateli soltanto scrivere e suonare. Ve lo garantisco, il risultato finale non potrà che essere importante e soddisfacente. I bolognesi Mater provano quanto detto con il nuovo Vear, EP a dir poco riuscito. Le contaminazioni per loro sono molte, i ragazzi abbracciano Beatles e Cure, Jane’s Addiction e Bowie, robetta così, e potrei andare avanti quasi all’infinito. Metabolizzano e filtrano tutto, creando un mondo sonoro dai caratteri fortemente personali. Grande musica, insomma, che consiglio di recuperare subito, anzi subitissimo. E allora non perdiamo tempo e parliamone direttamente con il cantante Riccardo Fedrigo…

Ciao e benvenuto su MDN. Iniziamo il nuovo anno con te e con la vostra musica. Prima però, presentiamo la band ai lettori.

Ciao a tutti e buon anno! Siamo i Mater, da Bologna. Alessandro Donegà alla chitarra, Riccardo Roncagli basso e synth, Daniele Benasciutti alla batteria e poi io, che sono Riccardo Fedrigo e canto.

Il vostro ultimo EP è Vear. Composto da quattro pezzi, il lavoro mette insieme tutti gli elementi che nel tempo hanno caratterizzato il vostro sound. Vorrei andare più a fondo e sapere da voi cosa è possibile trovare nel disco…

Di comune accordo con (R)esisto Distribuzione, la nostra etichetta, abbiamo deciso di presentarci con un EP che facesse un po’ da apripista per il futuro, qualsiasi esso potrà andare a essere. Abbiamo individuato quattro brani fra i dieci e passa che avevamo proposto a Max (Lambertini) e Michele. Sul disco sono finiti quelli che mostravano meglio le varie sfaccettature di quello che facciamo, così, per dare un’idea il più completa possibile a chi ha voglia di conoscerci.

Si passa dal pop a tinte dark/new wave all’indie rock, e il tutto avviene in maniera del tutto naturale. Ciò che è facilmente percepibile è la capacità dei Mater di muoversi in più luoghi, senza tuttavia perdere di vista il proprio filo. Parlatemi del processo di composizione. Quali sono le vostre strade?

Le influenze sono abbastanza variegate: Ronk è un musicista incredibile e gli scorrono dentro i migliori anni ‘80 che si possano immaginare, Bena ha il cuore in UK e le mani che trasudano street rock, Done è spaventosamente poliedrico, un tessitore di trame instancabile e maneggia di tutto, dal dark all’indie, dal punk al grunge con una disinvoltura che spesso mi lascia attonito. Io sono un innamorato del rock d’autore, dai sixtie’s di Hendrix e Fab Four all’art rock degli Stone Temple Pilots, il che include tutta l’epopea di Seattle e di L.A., passando per il Bowie e la sua eredità sconfinata (quella linea che poi include Joy Division, U2 e arriva ai Pumpkins) fino all’alternative rock di fine 90’s e primi 00, tipo Karate, Motorpsycho e Settlefish. Ah, amo incondizionatamente i Jane’s Addiction. Ma se quello che volevi sapere aveva a che fare con il nostro processo creativo, per lo più funziona in due modi: o Done e Ronk mi mandano delle idee su cui metto testi e linee vocali, oppure cerco di creare dei nuclei chitarra e voce e li mando agli altri, non vedendo l’ora che li trasformino in qualcosa di molto più bello.

Le canzoni sono infatti tutte molto belle ed efficaci, capaci di creare come detto un mondo a parte. Davvero non saprei scegliere la migliore e, anche se mi sforzassi, sarebbe soltanto un discorso di gusto. Dato che stiamo parlando di un EP, avete voglia di presentarle una per una? Partiamo dall’iniziale Lollipop…

Intanto grazie. Lollipop è un caso a parte rispetto al resto, perché è una canzone che ho scritto più di dieci anni fa, prima della nascita dei Mater. Quando mi telefonarono alle 5 di un mattino di febbraio del 2010 per dirmi che mia mamma, dopo anni di calvario, era morta, la suoneria del mio telefono era Pictures Of You dei Cure. Il pezzo racconta di quella mattina lì e della sensazione di straniamento e di impossibilità di contattare la realtà che ho provato. Il mood pseudo dark è figlio naturale della suoneria del mio telefono. Ma sono felice di poter dire che il brano di Smith e soci è tuttora uno dei miei preferiti al mondo. Loro non ne avevano colpa.

Pesante e poetico allo stesso tempo, questo aneddoto. Liberiamoci della nostalgia e passiamo all’altro pezzo, Nothing…

Nasce dal ricordo di una vecchia storia d’amore finita male. Dopo mesi passati lontano dalla ragazza che mi aveva pugnalato ho pensato che, fra le foto che avevo di lei assieme a me e quelle che avevo visto in seguito di lei da sola, nel suo sguardo, non c’era niente di diverso. Da lì l’idea che quindi la mia presenza non cambiasse niente. Quindi il “nothing” ero io. Ho proposto ai ragazzi il groove di basso e batteria e qualche idea di chitarra. E da lì…

Feels like home è la più intima e intensa. La definirei una sorta di altalena emotiva e introspettiva. Voi cosa mi dite?

Nasceva come brano quasi acustico, folk, se vogliamo. È una dichiarazione d’amore al potere salvifico del palcoscenico. Done l’ha trasformata nell’animale strano, marziale ed evocativo che potete sentire tutti.

Più fresca e diretta la conclusiva I Lied. Questa presenta diverse atmosfere dell’indie britannico e, tra le righe, ci ho letto anche frasi beatlesiane, intendo a livello armonico. Vabbè, i Fab Four sono un po’ ovunque e nella musica di tutti. Pezzo riuscitissimo e fortissimo. Raccontatemi…

Grazie di nuovo. C’è tanta Inghilterra, lì. In primis il concetto di base che ho rubato a Sting: brano dai toni allegri e dal contenuto tematico triste e rancoroso. La chitarra in realtà è più dublinese che albionica, per capirci, e le parti vocali, soprattutto nei bridge e nei ritornelli strizzano decisamente l’occhio ai baronetti di Liverpool.

In studio avete lavorato con Michele Guberti, produttore che ho imparato a conoscere e ad apprezzare moltissimo. Come vi siete trovati con lui? E quanto siete soddisfatti di Vear

Il lavoro di Michele è stato a dir poco determinante per dare al nostro materiale un sound coerente eppure variegato. Contemporaneamente ha alzato, in un colpo solo, il livello del nostro impatto in modo esponenziale. Nessuno di noi aveva mai avuto occasione di lavorare con un produttore che fosse in grado di comprendere così in fretta le esigenze dei brani e di intervenire sempre nel modo più giusto, facendo sistematicamente la scelta migliore per valorizzare il pezzo. Ci ha sempre dato l’idea di sapere dall’inizio cosa volesse ottenere e di sapere come ottenerlo. Inoltre è un lavoratore instancabile. Una macchina geniale.

Attività live. Cosa state combinando?

Stiamo pianificando il nostro sbarco sul palco per portare Vear in giro. L’esordio è previsto per il 12 gennaio al Black Star di Ferrara. In anteprimissima posso poi dirti che a febbraio i regaz di Bologna che avessero voglia di venire a trovarci non resteranno delusi…

State scrivendo materiale nuovo?

Sì, continuamente. Qualche tempo fa un tuo collega mi aveva chiesto come si reagisce al blocco dello scrittore e io gli ho risposto che il blocco dello scrittore non esiste: a volte scrivi e a volte no. Ecco, in questi mesi siamo nel pieno della volta sì.

Bologna è storicamente una grande città artistica e musicale, piena di talento e di idee. Come stanno andando le cose nel capoluogo emiliano?

A dire il vero non lo so. È verissimo, quello che dici: a Bologna suonano tutti, continuamente. È così da sempre…quanto meno dal secondo dopoguerra, quando gli americani piantarono qui il seme del jazz. Da lì è venuto fuori il fermento che ha visto nascere Dalla, per esempio. E poi Morandi. Il ’77 universitario ha fatto da culla alla scena punk di Skiantos e Gaznevada, per fare un altro esempio. Fu poi lo stesso Dalla a incoraggiare Carboni e ad aprire la porta a Bersani. Intanto Vasco, che è bolognese d’adozione, creò con le sue mani il suo percorso del tutto unico.
Questo per quanto riguarda la storia antica e quella moderna. Su quella contemporanea personalmente posso dirti qualcosa fino ai primi anni ‘00, con l’alternative che diventava indie e che proponeva materiale estremamente interessante come Settlefish, Death of Anna Karina. Ma mi fermo qui, onestamente il passaggio da indie a it pop e l’avvento della trap mi sono completamente estranei. Non vuole essere snobismo, per carità, delle due ignoranza: ma di cosa ci sia in giro in questo momento non sa davvero nulla.

Cosa pensi allora del panorama musicale italiano. Mi riferisco al mainstream…

Parlo a titolo personale: tutto il male possibile. Non mi dilungo, che poi è un attimo passare da invidiosi. Ma ti giuro che se invidio qualcosa a chi va oggi per la maggiore sono i numeri, non certo i contenuti. Men che meno la forma. Gusti, eh, per carità…

Saluta i seguaci di MDN, aggiungendo tutti i vostri principali link

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